Titolo: Solchi
Data: 2009
Note: Prima edizione: giugno 2009
Pensiero e azione n. 12
SKU: pensiero-000012
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      Introduzione

      Breve indicazione

      Foglietto rosso cm. 10x7

      Foglietto bianco cm. 10x7

      Foglietto bianco cm. 10x7

      Foglietto bianco cm. 10x7

      Foglio bianco cm. 20x4

      Foglio bianco cm. 20x6

      Foglio bianco cm. 18x2,3

      Foglietto bianco a righe cm. 16x6

      Foglio bianco cm. 18x2,3

      Foglietto bianco retro nero cm. 15,5x9

      Foglietto bianco retro nero cm. 15,5x9

      Busta rettangolare usata spedita da Firenze il 27 giugno 1996

      Foglio bianco cm. 21x14,5

      Foglietto bianco cm. 10x7

      Foglietto bianco a quadretti cm. 8x10,5

      Foglietto bianco cm. 13x12

      Foglio colore paglierino cm. 38x10

      Copertina di quaderno colore arancio interno bianco cm. 21x30

      Foglietto bianco cm. 14,5x21

      Foglietto bianco cm. 21x15

      Parte di una busta di colore grigio spedita da Monaco il 12 febbraio 1997 cm. 12x17,5

      Foglietto bianco cm. 21x15

      Tre fogli di colore grigio cm. 21x29,7

      Foglietto bianco cm. 12x12

      Foglietto bianco cm. 15x21

      Foglio bianco cm. 16x22

      Foglietto bianco cm. 12x15,3

      Foglietto colore paglierino cm. 12x10

      Foglietto colore paglierino cm. 21x15

      Foglietto colore paglierino cm. 21x15

      Foglietto bianco cm. 10x10,3

      Foglietto bianco cm. 10x10,3

      Foglio colore paglierino cm. 21x29,7

      Foglio colore paglierino cm. 21x29,7

      Foglietto bianco cm. 21x15

      Foglio colore paglierino cm. 21x29,7

      Foglio colore paglierino cm. 21x15

      Foglio bianco cm. 21x29,7

      Foglio bianco cm. 21x15

      Foglio colore paglierino cm. 21x29,7

      Foglietto a quadretti cm. 10x13

      Foglio colore paglierino cm. 21x27,3

      Foglio marrone chiaro cm. 16x19

      Foglio bianco cm. 21x15

      Foglietto bianco cm. 12x12

      Pagina di rispetto di un quaderno cm. 15x20,5

      Foglio bianco cm. 21x29,7

      Foglio colore paglierino cm. 21x23

      Foglietto a quadretti cm. 10,5x13,5

      Foglietto colore paglierino cm. 12,5x20

      Foglio colore paglierino cm. 21x16

      Foglio a quadretti cm. 15x19

      Foglio colore paglierino cm. 21x29,7

      Foglio bianco cm. 22x28,5

      Foglio colore paglierino cm. 22x33

      Foglio colore paglierino cm. 21x26

      Foglio colore paglierino cm. 21x26

      Copertina di quaderno colore arancio interno bianco cm. 21x30

      Foglio bianco a righe cm. 17,5x22,5

      Foglio bianco a righe cm. 17,5x23

      Foglio bianco a righe cm. 17,5x23

      Foglio bianco a righe cm. 17,5x23

      Foglio bianco a righe cm. 17,5x23

      Foglio bianco a righe cm. 17,5x23

Introduzione

Entrare nell’attimo non è facile, bisogna strumentarsi in maniera adeguata, rendere sottili i propri strumenti, duttili e spregiudicati. Nella prospettiva tracciata a grandi linee, le cause antagoniste sono remote e quindi possono essere trattate con sufficienza. Nella parcellizzazione del dettaglio il nemico si accosta e si fa più vicino, perfino più minaccioso.

Questo libro conduce all’interno del mio laboratorio, mettendo a nudo i metodi di riflessione che applico, come pure la pericolosità della concretezza in cui questi metodi trovano applicazione. Meglio che altrove, in questi appunti spaesati e spaesanti, si può cogliere il senso di responsabilità che ognuno porta con sé di fronte alla impietosa presenza di ogni forma di oppressione e di ignoranza.

La produzione produce l’oggetto e la sua oggettualizzazione, cioè la sua caratterizzazione giuridica, il possesso. La vita non accetta queste condizioni, non può essere spiegata soltanto con cause meccaniche o fisiche. Il causalismo penalizza tutta la forza della vita, riducendola a una equazione in bilico tra meraviglia e fatalità. Nella vita qualche volta c’è un senso di fine del mondo, nella mia vita c’è. La mia morte produce la fine del mondo, almeno la fine del mondo da me creato, che poi è l’intero mondo possibile. C’è anche un senso di disperazione infinita, disperazione pura che nessuna conquista modificativa potrà appagare. Il naufragio in cui sono incappato venendo al mondo, il terreno su cui sono stato sbattuto, i frammenti che sono riuscito a mettere insieme, tutte queste estraneità sono riuscito, a fatica, a farmele diventare familiari, fino a poterle chiamare la mia vita, ma io so che la mia vita è altrove, in un altrove dove il territorio della cosa lascia la sua traccia, e dove mi sono spinto tanto oltre quanto potevano le mie forze, senza riuscire ad andare al di là delle tenebrose zone del vuoto, i confini dell’uno che è.

La vita è là che ha trovato origine, il destino può confermarlo. Sono stato originato dall’oscurità e nell’oscurità, ed è la notte che scolpisce ancora i miei ricordi, le forme modulate dei miei pensieri che riescono a risalire anche al di là del momento occasionale della nascita. Intuisco la mia vita come condizione ridotta, formalizzata, e come frattura violenta, la mia vita nell’azione, mi vedo agitarmi in me stesso e andare avanti come se fossi certo di come agire. Ma nell’azione non c’è certezza, c’è la verità che non è seguire una regola, quindi non avere dubbi, ma è essere la verità, avere tutti i dubbi e tutte le certezze, e altro ancora, l’amore al grado più alto, la tensione e la profondità che l’intelletto non potrà mai governare per quanti tentativi possa fare nella rammemorazione con la bocca piena di stoppa.

Venire fuori dalla parola è scandalo, venire fuori tentando di salvare quello che le parole nascondono per custodirlo. Non ho avuto un mandato, non so perché uso questo mezzo, potrei restarmene muto a guardare per anni il muro della mia piccola cella. Ogni tanto qualcuno dei forzati scuoterebbe le proprie catene per vedere se è ancora vivo.

La mia vita ha un senso soltanto se glielo presto io. Ma dove reperirlo? Non il senso della mancanza di senso, di tutto questo senso che viene continuamente palleggiato a destra e a sinistra, venduto nei supermercati e spacciato all’angolo di ogni vicolo buio. La qualità bussa alla porta.

In tutti i casi non si accede alla qualità senza coinvolgimento, e questo può anche essere precluso a chi si autocensura sentendosi un prescelto dal destino. In questo passaggio è richiesto uno sforzo di ulteriore concentrazione solitaria. Tutto può essere facilmente bloccato dalla paura o dal disgusto. Tutto sembrava pronto per la partenza verso la cosa e invece mi risveglio nel mio barcollante rifugio.

Il fare è stato la sirena al cui richiamo non ho saputo resistere. Nel fare c’è un male intrinseco che lo condanna alla conservazione. La sua anima è contorta e delirante, pensa a un raggelante passeggero, ma non è così. Non c’è cura per il fare, non si può implorare la pietà dagli occhi cerchiati, non si può andare via in silenzio. Né posso accettare questa condanna alla parzialità, non posso seppellirmi da solo con un riso secco e una lettera di addio. Come soddisfare questa esigenza? Come sfuggire al senso sotterraneo di conciliazione che la stessa domanda sottintende? Non voglio essere l’ultimo capro espiatorio.

L’ambito dove contraddirmi sommessamente è tanto vasto che corro il rischio di rifondare la potenza dei vecchi, tornare alla stoltezza conservativa. Non voglio più attendere la soluzione dall’esterno, da un rinvio all’infinito, da nuove possibili acquisizioni. Voglio essere qui me stesso, ora. E questo non per preservare la mia vita, ma per metterla a rischio. Le mie ferite sono le mie ancore, se rifletto su di loro mi radico nella immediatezza. La mia vita al riparo non è pensabile. Ma che mi importa di quello che tutti considerano un riparo? Esso potrebbe andare via, portato dalla bufera, e tornare infinite volte come le ruote del carro solare. La rammemorazione dice l’altro, racconta non fatti che attengono ad altri fatti, collegandoli nella narrazione, ma fatti che si collegano ad azioni, cioè intuizioni ed esperienze che non sono fatti, che possono modificare il dire perché non adeguato a dirli, ricordando l’allegoria e la metafora col suo aiuto a soccorrere ma non certo a risolvere l’essenza memoriale, la quale sta fuggendo mentre la traccia che lascia a tutta forza vorrebbe cancellarla.

La liberazione dalla prigionia della volontà e del fare quotidiano richiede un faticoso cammino, una lotta tremenda. Molti di questi appunti, che il lettore paziente, a volte, troverà scuciti e forse contraddittori, sono stati consegnati alla memoria precaria di piccoli pezzetti di carta, quasi sempre d’accatto, in condizioni difficili anche da immaginare. Il carcere non è un luogo che facilita sempre la riflessione. A volte impone una logica ferrea che incombe continuamente e non ammette tregua. Fermare il pensiero a lungo su di un problema filosofico, spesso, non è possibile, ecco quindi la necessità di piccoli appunti, che possano poi, in un tempo migliore, servire per lo sviluppo di quella riflessione che altrimenti sarebbe andata perduta per sempre.

Ecco perché, spesso, la stringatezza della notazione è accompagnata da una sorta di ansia, di nervoso rinvio, di incerto e problematico desiderio di rivincita, mentre il corpo è mortificato la mente, per non vacillare, si affida alla matita, al pezzo di carta, alla lettura occasionalmente rinvenuta.

Il segreto del mio tempo è che io vivo e faccio mie la maggiore quantità di relazioni, e questo è il processo di acquisizione della conoscenza, immergendo questa appropriazione, questo possesso, nella presenza del tempo, aleatoria per quel che concerne una sua possibile computazione, artefatta in ogni caso, ma concreta per quel che riguarda la caratterizzazione di un processo storico, di un momento in cui la mia appropriazione si viene a collocare.

Quell’io che stava in carcere all’inizio del secolo presente è lo stesso che era in carcere all’inizio degli anni settanta del secolo scorso, ma con profonde differenze. La permanenza, tra queste due persone, che poi sono sempre la stessa persona, diventa una questione di maschera, un segnale perché il mondo mi riconosca e riconosca l’impronta di chi lo crea. Al di là di questo, che poi è la vita all’interno del campo, non c’è niente di continuativo tra il contesto degli anni Settanta e quello di questo inizio di secolo, se non una continuazione che io stesso stabilisco, fissando coordinate storiche, o meramente cronachistiche, che per me sono provviste di significato e quindi si dispongono in un senso temporale con una direzione valida solamente per me. Vivo la mia vita ora, tengo in serbo quello che io sono stato e ciò riguarda il ricordo e l’accumulo della conoscenza, ma l’agire è un’altra storia e il tempo tradisce una sua estraneità a questa storia che gli deve essere raccontata più volte per filo e per segno, al che provvede la rammemorazione.

Alla mia età posso certo dire di avere accumulato un po’ di sapienza, privazioni commisurate l’hanno reso possibile, fatiche malvagie, tutto il fare che marcisce sotto il sole. Il vento gira e il mare aspetta il minuscolo rivo portato dal grande fiume. Immergersi nel sapere è come un bagno di terra dove mandrie di buoi hanno defecato per millenni. Non c’è niente di simile. Ti senti soffocare se non alzi la testa e respiri aria libera. Pensare è fratello di penare. I miei occhi cercano dappertutto e non vedono che pazzie, malinconiche pazzie e stupidaggini sotto forma di pazzie. Fra mille ne ho trovato pochi, e di questi pochi, dire quanti non sono scivolati via fra le mie dita non è possibile. Certo, non ho saputo condurre fino in fondo le mie cernite, ma non ho nemmeno prestato orecchio a tutte le ciarle.

Nulla nel fare lascia intendere lo straordinario compito di preparazione e di custodia, di armonizzazione dell’impazienza. Al contrario, sembra che la monotonia finisca per prevalere, ma non è così. Nel fare custodisco la chiave per aprire alla diversità. Ma è una custodia che solo io conosco, e non posso dirla perché nel momento che la dico riprende il predominio della certezza apparente della quantità. Il punto di rottura è sempre in me stesso, nella mia vita. È qui che cerco la via verso la qualità, ma incontro minacce e obblighi o briciole di libertà che qualcuno mi spaccia per la libertà. Occorre la follia della diversità per pensare possibile la via dell’assenza, occorre il coraggio dell’impossibile strada della qualità, occorrono potenzialità non valutabili nel mondo della modificazione. Non c’è una condizione pura e certa che posso indossare come il vestito della domenica, la mia ricerca è alla cieca, non conosco il fine che dovrebbe fondarmi, anche perché se di un fine si può parlare esso appartiene alla mia immediatezza, il resto non posso conoscerlo, al contrario posso essere conosciuto da una intuizione.

Non sono a mio agio nella coscienza immediata, ma questo potrebbe non essere un problema, se solo riuscissi a risultare estraneo al benessere palliato che mi propone il mondo che io stesso ho posto in essere. Le regole mi stringono alla gola, ma non è ancora una vera e propria impiccagione, riesco a prendere aria, a non andare già negli abissi dell’abbandono, dell’incoscienza. Sono portatore di sofferenza, ma anche sono vivo. Poiché Dio non c’è sono io stesso il mio Dio, mi rifletto nella mia stessa immagine e vado avanti. Se tutto dovesse chiudersi in questa fragilità stomachevole sarebbe una vita sprecata, ma io so che messaggeri sicuri mi hanno parlato di altri segni, che si trovano altrove ma esistono, si esprimono con qualcosa di differente dalle parole, ma esistono, si fanno intuire. Apro loro la confidenza del mio cuore. Tracce inconsistenti baluginano all’orizzonte nella notte e se vado avanti, ecco che finisco per calpestarle, sento le loro radici affondare nel terreno e dare sostegno ai miei piedi incerti, sento che il mio passo comincia a diventare sicuro, come se camminassi sul selciato di cemento del cortile che la guardia apre puntualmente ogni giorno alle otto e mezza, che ci sia il sole o che piova. L’aprire una prospettiva non sarebbe mai andare verso la nullificazione, quanto quella della oggettualizzazione definitiva. Invece il mio diventare altro, la mia possibilità che mi viene dal destino, è proprio fissata nel diventare quello che veramente sono. Questa verità è nella libertà, cioè nella qualità che sta nella cosa, nell’unica oggettività possibile, fino a quando mi reggeranno le vene e i polsi.

Un infinito vuoto non è definizione opportuna per la cosa. Il tutto non può essere nemmeno considerato un infinito pieno. Le due approssimazioni si equivalgono, bruciano la loro intensità senza riempirla, stancano la parola, ma non la mettono a frutto. L’intuizione dell’uno non prova la sua esistenza storica, non c’è modo di fissare questa intuizione in un accadimento, salvo che non si entri nell’ambito delle fantasie salvifiche, fare anche loro, ma sempre più prive di significato modificativo in un mondo come quello in cui vivo. È l’intero processo della immediatezza che riflette l’intuizione dell’uno, con la forza della sua assenza. Non c’è dubbio che nel fare, di cui gli effetti sono così miseri e improbabili, ci sia all’interno una forza enorme che mi spinge ancora di più verso il fare stesso, e questa forza, abbrutita e ridotta in schiavitù nell’attività produttiva, è ancora visibile negli slanci e nelle rammemorazioni. La mia vita intera riflette questo slancio e si apre all’avvenire che chiamo destino, e si prepara a interpretare i suoi segni che chiamo possibilità. L’assenza dell’uno costituisce il riconoscimento di questa relazione che mi spinge verso la diversità e spietatamente mi rinvia indietro, verso l’immediatezza.

Vivo ogni giorno attuando i dettagli inconsci di questa relazione, e la respingo solo quando la volontà riesce a riprendere il sopravvento. Il mio rapporto con l’uno, la mia vera e propria esperienza con la qualità, eccede la possibilità di una previsione o di un programma di viaggio, si rinserra in un cogliere e in uno smarrire che vivono la notte della paura ma anche il giorno della gioia. Il coinvolgimento non è abbraccio della gioia, che attirerebbe troppi imbecilli, ma riconoscimento del rischio e del dolore, tragicità del destino e assoluta mancanza di garanzia. La bellezza del viaggio nell’uno è che non ci sono imbecilli da quelle parti.

Qui stringo i lacci delle mie scarpe, ogni buon carcerato sa che senso hanno queste parole, e mi accingo a lottare. Speravo di riuscire a identificare i momenti in cui ogni appunto è stato redatto. Impossibile. Adesso, nel mettere mano a questa miriade di pezzettini di carta, a volte sbiaditi dal tempo, mi accorgo che non mi è possibile. Ma questo ostacolo non sposta di un millimetro una possibile fruizione.

Può accadere, come difatti accade, che molto di quello che dico non conclude verso la completezza, e questa sensazione, per non parlare di coscienza vera e propria, mi colpisce con la sofferenza del mancato appagamento. La condanna è continuare a volere questo mancato appagamento. Questo modo di considerare il problema mi mette di fronte a un meccanismo più visibile della volontà, anche se non totalmente controllabile o dominabile. Posso aggirarlo, posso metterlo in condizione di nuocermi meno che sia possibile. Questa prospettiva non sarebbe praticabile se dovessi aggirare il noumeno, non posso aggirare qualcosa che non conosco, che non potrò mai conoscere.

Conosco mezzi labirintici che sono in grado di mettere fuori tempo la volontà, di farle sbagliare il passo. La mia coscienza immediata non è in grado di arrivare completamente a questo risultato, e a quale risultato completo essa è mai in grado di arrivare? A nessuno. Avviandomi verso la qualità, nel procedere verso l’azione, mi rendo conto della necessità di questo aggiramento, devo sfuggire al controllo che mi riporterebbe dentro i limiti dell’autosicurezza, snaturando il mio coinvolgimento in un esercizio da parata militare. Io sono interiore a me stesso, la volontà non posso cacciarla dalla coabitazione che la mia natura ha instaurato con essa, ma posso ingannarla, trarla su di una strada sbagliata. Il dire, che qui impiego, è un continuo esercizio di stornare l’attenzione della volontà.

Godere della cosa è rendermi conto della sua presenza, qui, nella ferita stessa che apro nella realtà. La morte non cammina mai a ritroso. Una ferita che non è decisiva perché non vedo il lato nascosto del tessuto che colpisco. Se quella presenza parla al mio cuore dice poco alla volontà che insiste petulante. Godo quindi in modo indiretto di quella presenza che devo continuamente rammemorare per fissarla nel simbolo provvisorio del tutto. La mia voce resta immobile nell’aria. L’orecchio del mio lettore continuerà a udirla, forse come un’eco lontana.

La parola, questa parola, non è soltanto strumento del fare, ma può esprimere la forza vitale dell’azione che intende rammemorare, oppure si può inserire come strumento critico negativo nell’apparente solidità del fatto. Essa è innanzi tutto me stesso, è la mia parola, non mi rispecchia, che non potrebbe trovarne la maniera, ma mantiene me stesso in piedi di fronte alla realtà, mi interpreta e io che non so nemmeno che sia l’oggettività, mi sento oggettivamente rivalutato, promosso in viva luce da quello che dico.

So bene che questa parola non può né riportare in vita l’azione né salvarmi dagli errori del fare, non può distruggere al posto mio il male che mi si erge di fronte come cane rabbioso. La scena mi torna alla mente, ho letto l’odio negli occhi del nemico e l’ho scoperto più grande del mio odio, dopo tutto questo era solo una passione surrogata, nutrita di ideologia e buone intenzioni liberatorie, il suo odio era invece semplice sentimento distruttivo, solo che in quanto odio più puro del mio mancava di coraggio, cioè di quella passione radicale che può rendere possente sia l’odio che ho visto in quegli occhi, sia la stessa passione surrogata di cui sono andato tanto fiero. I pensieri della morte sono mortali, la morte no, riesce a consolare in certi momenti, essendo sempre la morte degli altri, mai la propria. Posso anche permettermi di essere clemente, il che non guasta.

Il me stesso di cui propongo la presenza davanti alla parola è la forma in grande e riassuntiva in cui vengono fatte le procedure immediate che caratterizzano la modificazione. Nella miseria della mia quotidianità io posso invischiare me stesso in modo tale da non riuscire più a trarmi fuori dalla matassa filamentosa che mi rende schiavo della volontà di controllo. Ma posso pure dare vita a un me stesso che si prepara per il coinvolgimento nell’azione. È questo me stesso che voglio porre di fronte ai frammenti di parola che qui vengono presentati. Questo oltrepassamento è letto dentro di me, dove è incisa l’impronta dell’azione, ma è anche nel dire della parola. Solo se sarò in grado di ascoltare il dire rammemorativo potrò capire meglio i segnali che vengono dall’impronta. L’impronta può esserci e può non esserci, io posso non avere mai vissuto l’esperienza diversa dell’azione, ma l’animo mio vi è preparato, il terreno è fertile, oppure sono un sasso infruttifero, uno sterile minerale. Devo mantenere un equilibrio che non mi appartiene, ne sono obbligato, non posso fare lavorare il cervello come vorrei, l’inquietudine mi troverebbe senza difese, una inquietudine inarrestabile invaderebbe ogni mia fibra, facendo diventare una sciagura la semplice realtà di essere chiuso in una cella di tre metri per due. Non voglio accettare questa eventualità pericolosa, ma non so se il non volerla accettare sia sufficiente a tenerla lontana. So ancora cogliere i miei momenti di abbandono e intuire i minimi riflessi della cosa, ma un improvviso sgomento si impadronisce di me, e ciò accade più volte al giorno. Mi sono inventato una tortura che utilizza uno strumento speciale che solo io posso impiegare. La vita si va riassumendo come nei quaderni dalla copertina nera dove da scolaro scrivevo i miei riassunti.

Adesso so in quali termini si avvia alla sua tragica conclusione la mia cinquantennale lotta contro la volontà, per un volere diverso, libero, veramente libero. Adesso so che vuole dire la nozione di perdita. Sono io che creo il mondo e io stesso che lo ripenso come inaccessibile, increabile, incompletabile, una patente allucinazione che mi suggerisce il proseguo continuo di queste pagine, tanto per dire qualcosa mentre si sta realizzando.

Nessuna fiducia nell’idea limite di una esistenza così come mi si presenta nella immediatezza quotidiana, nessuna certezza, sia pure sottoponibile a revisione. La perdita è una visione completa della vita, ecco perché la fuggo nel fare, che al contrario vuole essere conquista e mantenimento della conquista, cioè possesso e custodia di garanzia. La pura follia governa questa strana progettualità monca, vuota teleologicamente parlando, scavata nell’esistenza così come nell’abbandono e nell’esilio, una paradossale conquista senza nulla da mantenere, se non un fantasma di parola rammemorata, rovesciato sulla griglia di una nuova evidenza a posteriori, dove tutto sembra combaciare perfettamente se si eccettua il fatto, questa volta ancora fatto, volato via dalla terra desolata della cosa.

Ho governato l’esilio, una paradossale follia, quella che il demone mi indicava costantemente. L’altra follia, l’incursione operativa nella cosa, non potrò governarla alla stessa maniera, è un revelatum da usare come punto di appoggio. Rinunciare al possesso è l’unica soluzione possibile per possedere una perfetta incompletezza, ma guardato bene questo possedere è un abbandonare, un lasciare per via, una disperazione che disperando nuovamente crede di avere superato l’unica soluzione possibile dell’antica inquietudine, mentre non ha fatto che un salto di gallina. Certo, l’antica inquietudine è stata una esperienza diversa, la cosa non toccata è stata sperimentata, il mondo reale è entrato in me e io in lui, ci siamo radicalmente conosciuti, ma questo cammino incredibile nell’interno, il mondo reale assolutamente altro, non è forse una rinuncia alla capacità di pensare?

Piena di contenuto l’azione non ha senso, strettamente parlando in termini di significato, cioè non può essere percepita, valutata, pesata, misurata e controllata, tanto meno può essere voluta. Essa realizza la disperazione assoluta di chi è disilluso della propria creazione del mondo, di chi di questa creazione continua a ritenersi responsabile e vuole combattere la sua battaglia. La rivisitazione grazie alla parola distribuisce questo momento diverso, privo di tempo e di spazio, nella rammemorazione che è prodotto del fare. La parola non può incarnarsi in una esperienza diversa, di cui posso accennare solo con riferimenti indiretti, ma è un prodotto del fare inutilizzabile, pieno di senso e di scopo. Non potendo che accettare l’azione, che di per sé non ha senso, non ha altra soluzione che quella di un’ascesi fondata sul rilancio di fronte alla domanda fondamentale, tutto qui? Ma questo rilancio è possibile solo grazie all’affermazione della mia vita, non posso agire, o sognare di agire, agitandomi nel calduccio del mio letto, dopo avere assicurato al massimo la maniglia della porta.

Un itinerario quindi anche qui. Anche in questi Solchi che nessuno sospetterebbe legati da un filo se non logico almeno emozionale. La cadenza di un ritorno è data dalla possibilità che tutto il nuovo si compendi nel vecchio, nel di già accaduto. Il movimento ripresenta se stesso nel modulare le intensità, nel ridurle e nell’aumentarle. La replica è una sorta di seriazione sempre più complessa, una sequenza scimmiottata che vuole convincersi di ripresentare l’uguale a se stessa. Bagliori che denunciano la presenza di una fiamma introvabile. Una riduzione di questa intensità di ricerca conduce ad accomodamenti e artifici che confortano ma non convincono. La follia è uno stato della coscienza che si contrappone a quello quotidiano, alla normalità immediata. Strano modo per gestire l’intuire stesso al di là dei significati, a cui le mie strutture quotidiane mi hanno abituato, ce ne sono altre che propongono diverse letture.

L’eterno rilancio costringe il mio fare a prendere coscienza dei propri limiti, ad abbassare il suo orgoglio e a contemplare più a fondo la notte delle sue paure. Ciò non mortifica l’orgoglio come fatto in sé, ma fornisce una serie di occasioni per l’oltrepassamento, nuova e assolutamente diversa condizione che però ha in comune con gli atteggiamenti precedenti il modello dell’eccesso, il dionisiaco che esplode nel palpeggiamento della vita. Questo attacco alla vita è intensivo, anche se parte da un proseguimento di natura quantitativa, si intensifica e prende consistenza diversa. La costruzione di queste presenze è pertanto sempre contraddittoria, portando con sé più di quello che sarebbe legittimo in un testo personalissimo come questi Solchi.

Da qui la necessità della deviazione, tra quello che qui essi rappresentano come eccesso allo stato ipotetico e quello che la struttura originaria segmentata dall’intervento aveva come senso. La linea astratta, immaginaria, quella che originariamente era consentita, viene suddivisa in movimenti via via differenti, leggibili solo nel contesto che mi occupa. Il lavoro in questi casi non permette superficialità, in quanto di ogni condizione estranea, ma significativa per le sue potenzialità eccessive, sufficientemente intensa per essere colta, ci sono due possibilità immediate, una che non si può toccare con mano, che originariamente proviene da quella condizione estranea, che agisce comunque nel contesto in cui voglio condurla, e un’altra che prende vita secondo le mie determinazioni, solida e circoscritta, spesso lontanissima da quella originaria suggestione.

Il movimento complessivo di questi Solchi non ha articolazioni identificabili, tutto vi appare come non separato. Con maggiore accentuazione si parla della possibilità di apertura della coscienza immediata alla coscienza diversa e quindi a un itinerario della desolazione nel territorio della cosa. C’è, mischiata e sovrapposta, una critica negativa della logica dell’a poco a poco costruita sulla base della logica del tutto e subito. Il medesimo movimento fattivo, però sviluppato come rammemorazione dell’agire, come totalità del reale rivissuta attraverso il dire, come esperienza della parola. Ogni concetto è pertanto doppiamente articolato a distanza con impudico artificio, rinviando a qualcosa d’altro e presupponendo uno sviluppo che deve ancora venire, per motivi analitici.

L’insieme di questi movimenti rinvia a sua volta al movimento complessivo della realtà, che avrebbe dovuto essere il movimento iniziale, quello giustificativo per eccellenza, naturalmente in una logica dell’a poco a poco. La presenza dell’assenza è fortissima sollecitazione alla rinuncia, non un saluto sentimentale. Rinuncia ai legami e alle certezze per avvicinarsi alle incredibili e illogiche regole dell’assenza. Questa condizione comprende in sé la logicità dei legami, non potrebbe essere altrimenti, ma nella qualità non ritrovo il mondo della quantità, mi trovo di fronte alla sopraffazione assoluta di ogni temperanza e di ogni equilibrio.

Le Benevoli mantengono sempre lo stesso scopo incomprensibile, poiché è assenza di scopo, anche se mostrano la loro faccia piacente. C’è un senso in queste regole rovesciate? Non lo so, per quello che sperimento sono l’assolutamente altro, quindi non una forma di nuova armonizzazione.

Come tanti altri libri miei, anche questo non si lascia spiegare per intero, per cui il compito del mio presuntuoso prendere per mano, quasi certamente, resterà inadempiuto. Poco male. Ogni spiegazione è sempre un tentativo di tirare acqua al proprio mulino e il mio ormai ha poca farina da macinare e mi sembra che anche le mole siano quasi del tutto lise. Che ognuno vada avanti per la sua strada, in fondo non mi aspetto siano molti, fra i miei pochi lettori, quelli che non chiuderanno il libro giunti a questo punto.

Ogni passo nella mia vita si è maturato con un lasciare alle mie spalle rovine e accampamenti distrutti, fuochi spenti e capelli scompigliati, ora non può essere diversamente.

Non per rimettere in ordine il ripostiglio, ma per infiammare in spazi aperti, distese deserte a perdita d’occhio, venti impetuosi e pressanti nel loro stizzoso ululare canino.

Con tutto questo non c’è un vero e proprio ripensamento o, peggio ancora, non c’è in me un volgermi indietro e individuare i punti focali dell’errore commesso e sanato. Ogni contraddizione resta aperta per sempre, dà il suo contributo annegandosi nel processo vitale, non componendosi in un livello superiore. Ogni meccanismo dialettico mi è stato da sempre estraneo. Non provengo da una ignoranza maggiore per accedere a una minore, sono sempre nella medesima ignoranza, o per meglio dire nella medesima ansia di conoscere, che è l’altro aspetto della conoscenza, i due aspetti sono complementari come le due facce di Giano, posso guardarle una a una, non nello stesso tempo.

Ma io voglio andare in un mondo diverso, dove non c’è bisogno di questa progressione da usurai, dove tutto è presente con tutto. Quel mondo l’ho vissuto nelle sue scoscese dimore montane, so che esiste, anche se non ha le coordinate spaziali topiche e devo ricostruire ogni itinerario con le parole della rammemorazione. La spina dorsale mia è ancora diritta, i miei acciacchi sono altrove. Lo scandalo dell’estrema estraneità può essere contenuto o impacciato dalle rammemorazioni, ma non può mai azzerarsi. Riguardo e cautela non impediscono l’elevarsi dello strazio di fronte all’estraneità crudissima dell’altro, alla visione balenante della desolazione, alla presa di coscienza che la instancabile e fiera sequenza delle quantità è solo finzione. Il rispetto e la conservazione che tutela sono elementi che preparano la morte, come pure lo stesso fervore evocativo, nella inutilità, potrebbe rivelarsi apprendistato di morte.

Eppure sento la forza, dentro di me, di alzare ancora alto il grido di libertà che mi urge nel petto, contro ogni logica gradualista e contro ogni buonsenso spicciolo, i due carabinieri che mi hanno sempre procurato più anni di carcere di tutti gli altri. La volontà filosofica è quella chiaramente sottintesa di ricondurre ogni tentativo non ortodosso sotto il dominio della logica dominante, quella che ho chiamato logica dell’a poco a poco, facendo in modo che la cattiva organizzazione del mondo che violenta e opprime, possa continuare a reggersi grazie ad aggiustamenti progressivi. Questo nel migliore dei casi, con la forza, nei peggiori.

Il non accettare un mondo da me creato in base all’allontanamento della qualità è considerato un disturbo funzionale che può essere fatto rientrare nella casistica delle idee balzane, contorte e, alla fine, anche tollerabili, purché queste idee si sottomettano alla modificazione in opinioni, in genere etichettate come artistiche o creative, e quindi diano il loro personale contributo al mantenimento dell’intero meccanismo repressivo. Oggi, in epoca più evoluta dal punto di vista dell’amministrazione coercitiva, si dà una grande importanza a queste idee, alla loro produzione sotto forma di opinioni e al relativo recupero che rendono possibile.

Nessuna tesi, per quanto estremista, può evitare, in linea di principio, di cadere in questa trappola ed essere macinata e riprodotta non solo in forma innocua, ma più di tutto in forma funzionale alla gestione del potere. Solo l’azione, con i suoi processi trasformativi, e la rammemorazione che quell’azione rende intelligibile dicendola, e questo è un problema fino ad adesso solo sfiorato in questo lavoro, sfugge a questo recupero e desta gli incubi della repressione.

Ricominciare daccapo, sempre e dovunque.

Nessuno aspetto della rammemorazione può essere considerato secondario nel riprendere nelle mie mani le fila dell’azione, questa ormai conchiusa. Non riapro così l’azione, ma la rammemoro. L’oblio sarebbe una colpa mia e un oltraggio al destino che ha osservato il mio attivo intervento nella cosa, compartecipe della mia tensione.

Posso confidare nella parola? Non lo so, almeno non lo so fino in fondo. Non so in virtù di quale alchimia la parola potrebbe documentare l’azione. L’asse attorno a cui ruota questo problema è il mio cuore, non il mio intelletto. Quest’ultimo è di certo uscito rafforzato dall’esperienza diversa, ma non è in grado di fronteggiare un discorso approfondito fatto alla parola, non è in grado di osare uno scontro all’ultimo sangue. Il mio cuore sì, ed è per questo che è proprio nel mio cuore che si trova depositata la traccia dell’azione, non testimonianza da cancellare, ma realtà indelebile che anche volendolo non posso fare sparire. Solo al di là del punto di non ritorno non ci sarebbero né il problema della parola rammemorante né quello del mio cuore e della traccia attiva in esso contenuta.

Tutto l’oltrepassamento non è una procedura, non ci sono manuali di istruzione né mappe, solo errori e cancellature, ma nello stesso tempo desiderio di ricominciare sempre daccapo. La libertà, la stessa libertà, è l’unica mappa della qualità, l’assolutamente desolata libertà. La cosa è solitaria nel suo ridondare la voce dell’uno che è, l’unica eccezione è la mia presenza attiva, lo sconquasso unico nell’atmosfera rarefatta è il pulsare rumorosissimo del mio cuore stanco.

Della qualità ho soltanto rappresentazioni, immagini. Il silenzio che circonda ogni singola intuizione non indica assenza di connessioni che non riesco a dire, posso quindi ritenere che in queste zone intermedie la qualità dilaghi senza che io ne sia cosciente. I riferimenti del senso, per come li catalogo nella modificazione, non contraddicono questa ipotesi, anzi la confermano. Quelle intuizioni sono in relazione con gli oggetti che mi circondano e posso considerarle come segni del mondo modificativo. Le zone oscure della totalità hanno una certa affinità con le mie esperienze quotidiane. L’estraneità totale è nella totalità, non potrebbe essere diversamente. Nel momento in cui fisso un rapporto intuitivo di questa natura mi approssimo alla qualità, ma quel rapporto posso proporlo solo in termini oggettuali. Sono figlio della quantità. Molti ribelli non si sono liberati di Dio, imprecano solo contro la catena. Non so che farci, per me non ho mai avuto una catena del genere, tra me e Dio non c’è mai stato niente. Io stesso sono Dio, ed è a me stesso che mi rivolgo nei momenti di debolezza, e prego non di avere la forza, che quella l’ho, ma di essere capace di non abbandonarmi alla sventura. Pertanto, nessuna proposta.

La parola è respinta alla fine e si ritrova mutila e cieca, può però ritornare nella totalità e qui riprendere un compito privo di quella sostanza quantitativa che tanto la premia altrove. Opera distinzioni ma è cieca a quella concretezza diversa che insiste a non potere descrivere. Che posso dire di ciò che è stato detto una volta per tutte? Ripetere, rammemorare, ricordare, sfumature del dire che si aggirano più o meno impotenti nel territorio della cosa senza riuscire a raggiungere quei risultati a cui aspirano. Mancando lo scopo nella qualità, la cui visita da parte mia è espressione di alta inutilità, tutto si riassume nell’esperienza stessa, i due estremi mancando si ricongiungono nella circolarità della cosa che li ospita indifferente alla loro differente proposta. Non posso dividere la mia coscienza diversa, quando essa è nella qualità è di già oltre la domanda suicida, è al di là, cioè è nella immediatezza che può soltanto rammemorare. L’assenza può essere udita solo nelle interconnessioni di questi movimenti. Ognuno la deve sentire da sé, forse nel suo cuore, o nella pancia, se preferisce, e agire. Altrimenti resterà sulle rive del fiume aspettando la puzza della putrefazione. Ma a puzzare, alla fine, sarà solo il suo cadavere.

Il materiale accumulato dalla percezione è esaminato dal dolore e dall’amore interpretativo, sottoposto alla luce bruciante dei sentimenti che discutono con la quantità che si è racchiusa nel senso orientato verso di me, non mi limito a impiegarlo nella modificazione, ci convivo sia pure nelle condizioni di vita caratterizzate dalla quantità.

Tutti i turbamenti, i dispiaceri e le ansie della vita immediata li trasferisco su questi flussi percettivi, generando così sviluppi interni che non posso prevedere per la loro capacità incontrollabile di risonanze multiple. In definitiva, la totalità della mia conoscenza, anche quella che non riesco a vedere in questo momento, sta dettando le parole che scrivo.

Non sono capace di fissare rapporti diretti, man mano che le parole si presentano e vengono inserite nel computer dove sto lavorando, ma questo fatto modificativo, e creativo, avviene. Io sto costruendo il mondo e tutto il mio passato si indirizza in questo costruire. So che il fare, questo fare che faccio in questo modo, è come una sorta di ulcera mentale, so anche che sono pochi quelli che onorano il proprio fare, pochissimi quelli che lo fanno senza avere di mira né soldi né fama, ancora di meno quelli che fanno di tutto perché questa esclusione sia possibile. Se mi fissassi un itinerario lineare dovrei partire da alcuni elementi conoscitivi, selezionati a priori, e concludere secondo regole condivise senza eccezioni, in maniera corrispondente a quelle regole.

Io preferisco restare qui, all’interno del mio fare, preparandomi ancora una volta al coinvolgimento e all’avventura. Preferisco non parlare di questa preparazione, che dopo tutto mi appare secondario, e rinviare invece la parola, la parola rammemorativa, a dire l’azione. Immagino allora possibile che le riflessioni interpretative possano essere con me nella cosa, elementi strumentali dell’azione, e l’azione possa essere rammemorata per diventare, ancora una volta, elemento di una ulteriore ricerca interpretativa capace di trasformare perfino la stessa percezione, l’orientamento del senso. Impossibile conciliazione di passato e futuro.

La presenza vive perché è totale concrescenza di sé, non perché parallele coordinazioni la proteggono dall’universale volgere del tempo, non è un luogo matematico, non rotola a seguito del vomere. Niente può confrontarsi se non per via nominativa, ma qui il risultato è ridicolo e modesto.

La rottura dei dogmi, del livello regolativo delle corrispondenze è davanti a me, proseguo con un contrasto attenuato, sono io stesso il contrasto, l’altro, l’assenza, e sono sempre io l’ovvietà della presenza e il sogno che mai muore. Nel conflitto la rammemorazione che ripresento è desiderio di altro ancora che ravviva in me l’ansia dell’oltrepassamento. L’immediatezza che presiede alla parola rassoda quello che questa dice e l’intesse elevandolo al rango di poesia. Illazioni che si ripetono e che entrano nella capacità retorica di costruire labirinti. La fredda temperatura della ragione si alza e scioglie le corrispondenze troppo rigide. L’avventura è così perfino nella preparazione, nel gelido oggi, che la rammemorazione accalora, che rende presente, fortemente sentita, la presenza dell’impronta.

Il cuore è così nell’oggi, non in un ricordo nostalgico di tempi perduti, è nell’oggi, nell’oggi che appare circondato di muri di cinta e di guardie armate, nell’oggi che vivo, non in un racconto nero fatto ad arte per spaurirmi. Non rappresentazione di qualcosa di assente, ma illustrazione di una presenza che dell’assenza ha fatto il proprio motivo di essere. Sacrificare alla chiarezza quello che si ha da dire è una cattiva intenzione che ho coltivato per qualche tempo. Poi mi sono ricreduto. Non solo la chiarezza non esiste ma è camuffamento pernicioso perché doppio, almeno se voglio dire quello che ho da dire, la volontà non può fare altrimenti, se non lo facesse si autonegherebbe.

Non voglio commentare le mie carte.


Trieste, 12 aprile 2008

Alfredo M. Bonanno

Breve indicazione

Non è facile per me individuare a quale epoca, e quindi a quale occasione, queste annotazioni vanno riferite. Una distinzione temporale potrebbe essere fatta, anche partendo dal tipo di supporti cartacei dove esse sono state scritte, differenti a seconda della situazione in cui mi trovavo, nella maggior parte dei casi carceraria. Ma non essendo in ogni caso né significativa né certa, preferisco evitarla.

Per questi motivi gli appunti che seguono sono caratterizzati da una traccia che indica il tipo di supporto cartaceo dove si trovavano nel momento in cui li ho riordinati per la pubblicazione.

* * * * *

Scrivere è mettere da parte quello che pesa di più, il bagaglio di un lungo viaggio che dura tutta la vita. Alla fine è quello che si vuole tenere con sé che andava scritto, ma questo si dovrebbe sapere leggere tra le righe. Lo scrittore nasconde accuratamente questo possesso che lo denuncerebbe come impostore.

Foglietto rosso cm. 10x7

Repressione maggiore. ↔ Distinguere tra repressione e lotta per liberarsi non significa non vedere i limiti di quest’ultima, che in genere si riscontrano nella scelta degli obiettivi intermedi e nell’uso dei mezzi.

Imbroglio democratico. ↔ Nella realtà politica il misticismo è diventato reazionario e il razionalismo democratico. Non si tratta che di una conseguenza del valore eccessivo dato all’astrazione. I punti estremi della razionalità e del misticismo sono ugualmente senza valore, contrari al desiderio di ogni uomo, al suo desiderio di vivere.

Allungare la mano. ↔ Ab antiquo possiedo l’arte di allungare la mano al momento propizio, certo dell’occasione che mi viene davanti. Dovessi perderla, me ne rammaricherei per tutta la vita. Non è cibo per utopisti. Cogliere questi movimenti prodigiosi significa lasciare cadere la guardia, se no la loro sensibilità variegata l’avvertirebbe.

Venire dalla fame. ↔ La fame è fame di qualche cosa in cui il di è genitivo soggettivo e oggettivo, fame di qualcuno e fame di qualcosa, fame di un essere e fame dell’essere, il per sé è l’essere strutturato dalla fame, ossia l’essere che è a se stesso la sua propria privazione di essere, e l’essere, di cui è privo il per sé, è l’in sé.

Il movimento. ↔ Il movimento è il segreto circolare che ammette il distacco dell’orientamento come continuazione oggettuale, ma solo come fatto marginale, come movimento orientato dalla parte del senso. Per altro, nessuna produzione riesce a distruggere completamente il ricordo della cosa, anche se tutta l’effettualità modificativa è tristezza e accomodamento.

Jean Grave. ↔ Autore di Quarante ans de propagande anarchiste, Flammarion, coll. “L’histoire”, Paris 1973.

Il calcolo del minimo sforzo. ↔ La coscienza si adatta, scopre piccoli misfatti e li nasconde come un poliziotto di prima nomina sopraffatto dalle prove, si scava una trincea che regge secondo la linea di minore pressione. Insomma, ognuno tira a campare. L’assiste una logica utilitaristica, riunione di ogni nefandezza, che consente di spiegare tutto sulla linea del minimo sforzo. Quando questa linea si rompe ci deve essere un motivo di altissimo valore morale, un grande amore, un grande ideale.

La maturazione dell’azione ↔ L’azione è coinvolgente, non ammette residui, non considera la contemporanea esistenza del campo con interessi specifici della coscienza immediata, dislocati altrove. Il mondo ha smesso di battere.

Anarchismo. ↔ Victor Serge. “L’anarchismo ci prendeva per intero perché ci chiedeva tutto, ci offriva tutto: non c’era un solo angolo della vita che non rischiarasse, almeno così ci sembrava. Si poteva essere cattolici, protestanti, liberali, radicali, socialisti, anche sindacalisti senza nulla cambiare della propria vita, e per conseguenza della vita: bastava dopo tutto leggere il giornale corrispondente; a rigore frequentare il caffè degli uni o degli altri. Intessuto di contraddizioni, dilaniato in tendenze e sottotendenze, l’anarchismo esigeva anzitutto l’accordo tra gli atti e le parole (cosa che in verità esigono tutti gli idealismi, ma che tutti dimenticano, addormentandosi): per questa ragione andammo alla tendenza estrema (in quel momento), quella che mediante una dialettica rigorosa arrivava, a forza di rivoluzionarismo, a non aver più bisogno di rivoluzione. Eravamo un po’ spinti dal disgusto di un certo anarchismo accademico molto assennato, di cui Jean Grave era il pontefice ai “Temps nouveaux”. L’individualismo era stato appunto allora affermato da Albert Libertad, che ammiravamo”.

Foglietto bianco cm. 10x7

Modello di ricerca. ↔ Il modello di ricerca è anch’esso uno strumento, forse un contenitore di strumenti, una forma di laboratorio, come ho avuto modo di dire più volte, per quanto ridicolo possa apparire o disadatto al grande compito della mia vita, che poi sarebbe quello di vivere cioè di essere quello che sono, esso è sempre il luogo dove posso trovare la mia strada.

Società attuale. ↔ La visione della società attuale, zeppa di comunicazione e di antenne, non comunica più di quello che faceva la società che l’ha preceduta, persa dietro la catalogazione di altri oggetti in altre atmosfere. La disperazione di fondo è identica. La consolazione e l’illusione, anch’esse identiche.

Società nuova. ↔ È come il mondo nuovo immaginato dagli utopisti, costruito con i pezzi staccati e incollati del mondo vecchio. Al contrario, l’accorto Hegel aveva notato che l’originalità è sempre identica alla vera oggettività.

Strutturalismo. ↔ Collaboratore di Lévi-Strauss, Lucien Sebag indicò nel pensiero mitico non solo uno strumento per interpretare e comprendere i rapporti sociali presenti in una comunità, ma un “modello di organizzazione di questi rapporti”, tale da generare esso stesso i rapporti sociali e contribuire alla costituzione ed elaborazione delle istituzioni sociali. Certo, è necessario procedere con cautela nel tentativo di descrivere un popolo, i suoi riti e le sue istituzioni sociali assumendoli direttamente dai loro miti. Esiste, come si è visto, una forte simbologia che rende impossibile il loro utilizzo come fonte documentaria nel senso stretto del termine, ma che permette però di accedere alle categorie non coscienti di quel popolo.

Schema mito. ↔ La storia completa il mito e questo quella, come il sogno completa la veglia e le immagini che in questa quello ricordano.

Scienza. ↔ Qualsiasi applicazione tecnologica ha delle conseguenze sociali. La capacità di prevedere queste conseguenze, sfruttando quelle positive ed eliminando la pericolosità di quelle negative, è alla base di ogni impiego di strumenti approntati dalla tecnologia. Per quanto sia stato affermato a più riprese che l’attuale sviluppo della scienza permetta di prevedere queste conseguenze, la cosa non è vera. Non si tratta di una menzogna pietosa, quanto di una premessa ideologica su cui fondare il dominio tecnocratico.

Individuo. ↔ Del mio dolore sono compartecipi tutti, anche se non lo sanno, e così io singolo sono compartecipe del dolore, e della gioia di tutti. Ecco perché è intollerabile la schiavitù di un solo individuo. Perché un solo individuo, anche lontano da me, rappresenta, da solo, la totalità della realtà e quindi comprende anche me stesso. La sua schiavitù è anche la mia, per questo non posso tollerarla con la scusa che è un dolore lontano e a me estraneo.

Minoranza. ↔ Ma c’è un modo indiretto, involontario per la grande massa, ma studiato e pilotato da una minoranza intelligente e vogliosa, ed è il modo di riproporre in blocco una nuova catalogazione di grossi pezzi dell’archivio. Minuti e consistenti grovigli di senso, indifferentemente, vengono riportati alla luce per nuove sistemazioni. Si fa e si disfà. L’industria produce per l’archivio e non riserva rancore. Il consumo è un modo di archiviare. Il mercato è un immenso luogo della catalogazione. La moda è il gioco ripetitivo di questi periodici prelevamenti di senso, rimescolamenti ritmici.

Massa. ↔ Walter Benjamin. “La massa è una matrice dalla quale attualmente esce rinato ogni comportamento abituale nei confronti delle opere d’arte. La quantità si è ribaltata in qualità, le masse sempre più vaste dei partecipanti hanno determinato un modo diverso di partecipazione. L’osservatore non deve lasciarsi ingannare dal fatto che questa partecipazione si manifesta dapprima in forme screditate. Eppure non sono mancati quelli che si sono pervicacemente attenuti a questo aspetto superficiale”.

Tensione. ↔ È importante sapere che la tensione attiene alla cosa e al suo dispiegamento.

Teoria. ↔ La teoria è nell’esperienza stessa della vita, nel modo in cui gli altri portano alla mia attenzione quello che fanno, nei sentimenti e nelle delusioni, nelle gioie, nella doratura fasulla di tutto quello che entra in me leggendo, studiando, vedendo, parlando, ascoltando e anche modificando, interpretando e trasformando. Non c’è un luogo della teoria e uno della pratica, se non come ipotesi remota e astratta, quindi di per sé sospesa, ipotizzata come fantasma fuori del mondo.

Pratica. ↔ Trattandosi di individuazioni relative alla differenza tra pratica e teoria è sempre meglio proporre l’esempio più complesso al posto di quello più semplice, almeno nell’ottica non dimostrativa che impiego. Il movimento messo in moto dalla immediatezza deve avere di già una sua insolenza trasmissiva, portare ricompressa in sé un’irrefrenabile forza di accumulazione percettiva, che se non viene sviluppata riduce il contatto a un comportamento accidentale, qualcosa che è venuto fuori per errore, mentre la realtà stava orientandosi differentemente.

Avanguardia. ↔ Sono opaco a ogni nozione d’avanguardia, quale che sia.

Jacquerie. ↔ George Sorel. “Il mito è prodotto dalla spontaneità della rivolta delle masse, non è mai né terminato né cristallizzato. L’utopia è una composizione di istituzioni immaginarie, un modello a cui si potrebbero confrontare le società esistenti per commisurare il male e il bene che ne risulterebbero. Come qualsiasi istituzione sociale, l’utopia può essere discussa e indirizza gli spiriti verso riforme precise. Al contrario, il mito politico non è scomponibile in parti che si possano applicare in modo parziale. Il mito non si discute, si impadronisce degli uomini e anima la loro lotta”.

Foglietto bianco cm. 10x7

Il problema dell’ideale. ↔ L’ideale oltre il reticolato dei limiti, la prigionia degli oggetti geometricamente assurdi, spietati.

Globalità del movimento. ↔ La narrazione permane significativa al massimo grado perché ricollega gli elementi del passato in un’unità logica sovradeterminata, di per sé non necessaria, in grado però di fornire via via esempi di globalità del movimento. Singolarmente presi questi esempi non sono significativi, cioè nessuno di loro è la mia vita e, ogni volta, posso riprendere in un nuovo esempio il racconto dapprincipio. Ma, tutte le volte che la narrazione si dipana, viene fuori la libera imitazione, l’attenzione per quello che ora faccio nel dettaglio delle minuzie passate, e questa preoccupazione è cura, quindi ritorno, ritorno alla mia vita.

Fantasma lontano. ↔ Spesso è un fantasma lontano ancora più pallido delle regole di buona creanza elaborate dalla ragione degli uomini dabbene. Nell’inquietudine è la paura che parla, la paura di non esserci un senso nel mondo, la paura che tutto sia un’illusione.

Parmenide. ↔ “È necessario il dire e il pensare che l’essere sia. Infatti l’essere è, il nulla non è. Queste cose ti esorto a considerare. E dunque da questa prima via di ricerca ti tengo lontano, ma, poi, anche da quella su cui i mortali che nulla sanno vanno errando, uomini a due teste, infatti è l’incertezza che nei loro petti guida una dissennata mente. Costoro sono trascinati, sordi e ciechi a un tempo sbalorditi, razza di uomini senza giudizio, dai quali essere e non essere sono considerati la medesima cosa e non la medesima cosa, e perciò di tutte le cose c’è un cammino che è reversibile”.

Lo Stato da abbattere. ↔ Da un punto di vista strettamente razionale la ragione non considera differenti realtà e apparenza, purché ambedue facciano parte del medesimo mondo convenzionale. Nell’ambito del quale la non differenza fra questi due aspetti della vita, si traduce in realtà essa stessa, e delle più consolidate, basta pensare alla funzione regolatrice dell’ideologia. Gli svolgimenti presenti del dominio dello Stato hanno chiarito questa equivalenza, dimostrando arretrata la tesi nicciana che affermava fondata sull’utile la preminenza assegnata al vero nei riguardi dell’apparenza. Oggi, forse, volendo precisare meglio, il rapporto si è capovolto. Comunque, poiché di questo non si è mai sicuri, è sempre bene dire che apparenza e realtà per il dominio razionale si equivalgono.

Foglietto bianco cm. 10x7

Il mito operaista. ↔ Tradizionalmente, l’elemento rigido della composizione del problema tecnico dell’impresa non erano tanto le macchine, per quanto grandissimi impianti manifestavano evidentemente una rigidità e una pesantezza che finivano per rendere necessari grossi investimenti e lunghe attese di redditi futuri, quanto invece il costo del lavoro. La rigidità di questo elemento è andata crescendo nell’ultimo secolo fino a raggiungere i tetti massimi del periodo degli anni Ottanta, almeno nei Paesi a capitalismo avanzato. La resistenza sindacale ha giocato un ruolo non trascurabile in questo processo di irrigidimento del costo del lavoro, ma principalmente ha influito la stessa latente combattività operaia, la resistenza ad ogni tentativo padronale di ritagliare conquiste di già avvenute, fino ad arrivare all’automatismo delle rivendicazioni, come nel caso della scala mobile, e quindi ad un trasferimento degli aumenti del costo del lavoro sul livello dei prezzi, con l’innesto di meccanismi inflazionisti prima salutari al capitalismo e poi sempre meno governabili, se non altro in termini politici e di pace sociale.

La lotta sul fronte del desiderio. ↔ Il desiderio è sempre più forte di ciò che stringo fra le braccia, mi parla con accenti più profondi e convincenti, descrive la mia rovina mano a mano che la produce in dettaglio e così apprendo della mia fragilità, della vanità di ogni costruzione che alza le sue strutture orgogliose verso il cielo, convinta di durare per sempre. Se riuscissi a trarre insegnamento dalla distruzione, ma non posso, il mio sogno qui, nella proporzionata illusione del quantitativo, è quello del mattone sopra mattone, del potere semplicemente tale, presente e futuro.

L’operaismo vede nella fabbrica il centro dell’universo capitalista. ↔ Col vago termine di livello di produttività, i sistemi tayloristi del passato prendevano in considerazione gli standard ai quali bisognava riportare continuamente il lavoro operaio in particolare, allo scopo di adeguare l’elemento manodopera alla formazione tecnica aziendale nel suo insieme, cioè alla piena utilizzazione degli impianti esistenti. La risoluzione di questo problema è stata da sempre affrontata col ricorso ai sistemi di controllo. Non per nulla la fabbrica del passato sorgeva spesso su vecchi edifici adibiti prima a caserme o a prigioni. In fondo queste tre istituzioni sono intercambiabili dal punto di vista strutturale. Il panottico benthamiano poteva impiegarsi in tutti tre i settori.

La fabbrica da conquistare. ↔ Dobbiamo qui ammettere, senza pudori, che alla base di qualsiasi rifiuto della produttività quotidiana ci sta l’inquietudine, esperienza che facciamo tutti e che non riusciamo a risolvere se non acquietandola o sconvolgendola. Solo nell’ipotesi dell’acquietamento interviene la ragione a fornire giustificazioni a posteriori. Nella fase dell’esaltazione dell’inquietudine, non c’è discorso che tenga, sullo sfondo c’è solo l’intuizione, un prevedere le vicende dell’accadimento prima che la recita abbia inizio, come la prescienza di chi va a teatro avendo prima letto la commedia che si reciterà. Questa intuizione ci permette di avere il sospetto che dietro la realtà accumulata e i movimenti della coscienza immediata, sulla cui acquiescenza ci addormentiamo ogni notte, ci può essere un’altra realtà che la ragione nasconde e non svela come invece sembrerebbe. Questa realtà l’avvertiamo nei nostri movimenti vitali, nei desideri, nelle idee confuse che spesso si sovrappongono alle riflessioni codificate, nei sentimenti, nei bisogni, tutti elementi che spesso sono a portata di mano e che ci affrettiamo a protocollare per fornire loro un visto d’entrata in questa zona della realtà, pur sapendo benissimo che dovrebbero poter liberamente restare altrove, in quella regione assolutamente ignota, il cui accesso spesso avvertiamo gelosamente custodito proprio da coloro che dicono di essersi assunti il compito di fare chiarezza e pulizia. C’è forse qualcuno che non ha avvertito ciò? Che non lo ha capito, anche senza saperlo spiegare, mille volte nella propria vita, in mille occasioni differenti? Qui non si tratta di intuire essenze o princìpi d’identità, si tratta al contrario di intuire un sospetto, l’esistenza d’un imbroglio e di una realtà artefatta, fabbricata, che è quella stessa nostra realtà, quella cui diamo una mano e un sostegno, non quella del nemico, perché il nemico siamo anche noi stessi.

Foglio bianco cm. 20x4

Banditismo. ↔ Chi sono i banditi? Perseguitati dalla legge, guardati con timore dai ricchi, spesso esaltati dalla povera gente, i banditi sono stati da sempre oggetto di studio per i sociologi e materia per le ballate popolari. Diciamo subito che il banditismo è fenomeno diffuso in tutte le società contadine o a prevalenza contadina. Non che esso non esista o si sviluppi anche nella condizione di vita urbana, anzi possiamo dire che oggi è proprio qui che il “fuorilegge”, se possiamo usare questo termine nel suo esatto significato di “trovarsi al di là della legge”, trova il proprio terreno più adatto, ma non si tratta del banditismo di cui vogliamo occuparci, del banditismo che nella specifica situazione sarda negli ultimi quattro secoli è stato l’espressione più diffusa. Il bandito sardo è un bandito che viene fuori da un contesto contadino, che conta su questo contesto, che sotto molti aspetti è portatore dei problemi della società che lo ha prodotto. Per questo motivo ci pare utile in questo primo capitolo porre dei raffronti con altre condizioni contadine ed altre espressioni di banditismo, per come si sono venute sviluppando nel corso dei secoli. Naturalmente questi riferimenti saranno per forza di cosa piuttosto succinti, ma bastanti per inquadrare il problema ed evitare di presentare la questione come circoscritta soltanto alla situazione della Sardegna. La prima caratteristica del bandito è data dalla sua ribellione contro un insieme di elementi che gli si presenta come oppressivo, quindi ingiusto e soffocante. Esaminando la serie delle biografie che inseriremo nel presente lavoro, ci si accorgerà come questo è un motivo conduttore costante. Dietro e dentro ogni bandito ci sta quindi un ribelle. Il ribelle. Ribelle è colui che si contrappone alla realtà che lo circonda, che si rifiuta di accettarla in quanto tale come un tutto obbligatoriamente razionale, che dice di no. Spesso questa ribellione, come vedremo, trova connessioni organizzative a livello collettivo, coloriture sociali, aspetti rivendicativi di riscatto e di liberazione, ma per il momento dobbiamo fermarci qui. Il ribelle è un individuo isolato che si alza contro la società e colloca il suo gesto nella situazione che più crede opportuna. Per quanto non sia questo il luogo più adatto per affrontare il problema occorre dire in breve che esistono almeno due letture del fenomeno della ribellione individuale. La prima tende a fissare una condanna assoluta, un rifiuto giustificato spesso con argomenti di natura genetica o biologica. La seconda lega la propria tesi ad una interpretazione storicistica dell’uomo come fenomeno che si sviluppa nel tempo, ma comunque condizionato da una precisa situazione sociale ed economica, contro la quale l’individuo prende coscienza ed agisce. Forse una considerazione più attenta alla realtà avrebbe potuto formulare un’ipotesi meno determinista, capace di vedere i fatti per quello che sono, e in primo luogo che ogni uomo pur vivendo in una data situazione, e da questa traendone considerevoli condizionamenti, ha la facoltà di cercare nella vita di tutti i giorni un proprio itinerario di liberazione. Il bandito sceglie questa strada. La sceglie ricorrendo a scelte ed impiegando mezzi che dispiacciono ai gestori della cosa pubblica, ma questo non toglie la caratteristica essenziale della sua scelta, quella di presentarsi come un fatto individuale che ha considerevoli conseguenze sociali. È di questo fatto e di questa scelta che parliamo in questo libro. Per chi voglia affrontare seriamente il problema del banditismo, condizione essenziale è di chiarire in profondità il rapporto tra individuo singolo e società, quindi il rapporto tra ribelle e società. Il ribelle non è un asceta, la mortificazione della carne gli ripugna. È un passionale, un uomo che si salva dalla schiavitù delle passioni ammettendole e valutandole nei loro aspetti positivi. Per questo è un uomo autonomo, in quanto si assume, davanti a se stesso, le proprie responsabilità. In questo senso la sua scelta, come gli sembra con tutta evidenza, è la scelta di un processo di liberazione. La formazione del mito. Veniamo adesso ad un altro aspetto, non meno importante, del ribelle: la sovrastruttura che si cristallizza sulle sue opere, il suo mito. Nessuna delle ricerche correnti ci può dare notizie in merito alla stratificazione morale che influisce all’interno dei gruppi ribelli e condiziona anche gli individui ribelli. Se il desiderio millenaristico finisce spesso per trascinare le masse, la personificazione di questo millenarismo in alcuni individui, che per le loro doti personali si prestano a questo processo, finisce per creare il mito. Il ribelle gode quindi del suo mito, le ballate popolari e i cantastorie lo glorificano. Il personaggio di Rinaldo è il più amato dal popolo in tutto il ciclo dei Paladini della corte di re Carlo. La sua figura di nobile guerriero e di coraggioso brigante esalta l’immaginazione popolare.

Idee di Proudhon. ↔ Franco Della Peruta. “Si andò così delineando tra il 1849 e il 1852 una germinale corrente socialista, influenzata dalle idee di Proudhon, la quale ebbe il suo esponente più conseguente in Carlo Pisacane. Questi sistemò le sue concezioni nei Saggi storici-politici-militari sull’Italia, ultimati nel 1855 (due anni prima di partire per la tragica spedizione di Sapri), nei quali sosteneva che la rivoluzione avrebbe dovuto mettere capo a una società collettivista e antiautoritaria fondata su libere comuni contadine”.

Ricorso a ritroso. ↔ Ogni movimento non ha una causa, le possiede tutte in una volta. Così è contingente e determinato nello stesso tempo. Il pensiero della differenza mi appartiene, è il mio pensiero. Le sue angosce sono le mie, ripercorrono a ritroso il percorso dei contenuti che ho fornito e preparano il segno del mio cammino, registrano le condizioni della mia invenzione futura. Non riesco a coglierlo come pensiero che si apre alla diversità. I segnali che ricevo sono quelli conchiusi della monade.

Finalismo ed evoluzionismo. ↔ Avevo da tempo escluso l’ipotesi, pure essa scientifica, di un finalismo intrinseco alla realtà, dentro cui bisogna includere anche l’evoluzionismo, proprio perché ogni finalismo contrasta con il relazioniamo in modo radicale e insuperabile.

Scopo come espressione del campo. ↔ Lo scopo è per me sempre una espressione del campo, un elemento progettuale della parzialità.

Foglio bianco cm. 20x6

André Girard, Anarchistes et bandits, edizioni “Temps Nouveaux”, Paris 1914, pagine 23. ↔ Nato a Bordens in Occitania, nel 1860, militante anarchico e sindacalista, il cui vero nome sembra essere stato quello di Max Buhr. Collaboratore de “Les Temps Nouveaux”, di Jean Grave, di cui era buon amico, ma anche de “L’Action Social”, di Bernard Lazare, de “L’Art Social”, di Gabriel de la Salle e de “Le Journal du Peuple”, di Sébastien Faure. Nel corso del Congrès Anarchiste de Paris dell’agosto del 1913 fece parte dei membri designati per costituire la nuova Federazione Comunista Anarchica. Uno dei fondatori de la cooperativa “Le Cinéma du Peuple”. Nel 1915, con Charles Benoît, si opporrà al Manifesto dei Sedici, rappresentato da Kropotkin e Grave, pubblicando un libretto col titolo Un désaccord.

Foglio bianco cm. 18x2,3

Der Rosenkavalier. ↔ Opera comica in tre atti di Richard Strauss.

Gustav Mahler1. ↔ “Chi spara nel buio [si riferisce al musicista] non sa a che mirava né che cosa eventualmente ha colpito”.

Felix culpa. ↔ Il mito assorbe la colpa, la cancella assimilandola come un corpo digerisce il cibo.

Gustav Mahler2. ↔ “Die Stadt Krank sei und es aus Gewinnsucht verheimliche”. (La città era malata e per sete di guadagno celava il suo morbo).

Im Ganzen (nel complesso). ↔ Nel complesso questo mio pormi di fronte alle acquisizioni e il loro rendersi disponibili, appartiene esso stesso a un modello che si muove e sfugge a una precisa determinazione. È il modello logico della conoscenza fondato sull’a poco a poco.

Benedetto Croce, Saggio sullo Hegel1. ↔ “Hegel è di quei filosofi, che hanno fatto oggetto del loro pensiero non solo la realtà immediata, ma la filosofia stessa, contribuendo per tal modo a elaborare una logica della filosofia. Anzi, a me sembra, la logica della filosofia (con le conseguenze che ne discendono per la soluzione dei problemi particolari e per la concezione della vita) fu il segno a cui egli rivolse lo sforzo maggiore della sua mente. Coincidentia oppositorum”.

Benedetto Croce, Saggio sullo Hegel2. ↔ “Il problema degli opposti è un problema del quale conviene chiarire accuratamente i termini, se si voglia intenderne la gravità e la difficoltà. Il concetto filosofico (che, come si è ricordato, è universale e concreto), in quanto concretezza, non esclude, anzi include in sé le distinzioni: è l’universale in sé distinto, e risultante da quelle distinzioni. Per esempio, la fantasia e l’intelletto sono concetti filosofici particolari, rispetto a quello di spirito o attività spirituale; ma non sono fuori o sotto dello spirito, anzi sono lo spirito stesso in quelle forme particolari”.

Offenheit (lealtà). ↔ La virtù eroica del coraggio, o meglio della lealtà con se stessi, quella dote eccellente che permette di partecipare a viso aperto alle sedute dell’unico tribunale che può veramente condannare, quello che si tiene dentro di me, questa virtù la si conquista sapendo affrontare il silenzio, lontani dal clamore del successo, racchiusi in quel luogo dove le parole risuonano ancora familiari perché parlate da un numero umano di persone, non dall’ampio snaturamento che celebra soltanto il meccanismo.

Benedetto Croce, Saggio sullo Hegel3. ↔ “Il concetto filosofico è universale concreto; e perciò pensamento della realtà come, tutt’insieme, unita e divisa”.

Offenheit (apertura). ↔ L’apertura è sempre un’opera di alta inutilità. In ogni caso, l’oggetto che ne viene fuori, pure essendo prodotto dell’immediatezza a tutti gli effetti, può costituire elemento non trascurabile di altre aperture, a causa della propria difficoltà a inserirsi nel campo in piena comunità produttiva, se non altro di intenti. La distanza del gioco dal fare è grande ma non assolutamente altra.

Benedetto Croce, Saggio sullo Hegel4. ↔ “L’opposizione è sì il negativo dell’unità, ma in quanto negazione è a sua volta un positivo (negazione della negazione), per cui il movimento logico non è semplicemente unità degli opposti, ma sintesi dell’unità e dell’opposizione, le quali appaiono rispetto a questa sintesi, unica reale, come due astrazioni: fuori della sintesi, gli opposti sono impensabili”.

Usque ad infinitum. ↔ L’antropocentrismo di Goethe lo porta a chiedersi, nel Wilhelm Meister Wanderjahre, come possa l’uomo contrapporsi all’infinito? Come, se non unendo dentro di sé tutte le forze spirituali che tendono verso tante direzioni, e chiedendosi, puoi tu osare soltanto di concepire te stesso in seno a questo ordine eterno della vita, senza che non si mostri anche in te un mirabile movimento di rotazione attorno a un centro puro?

Edmund Husserl. ↔ “Del tutto ovvia, per il pensiero naturale, è la possibilità della conoscenza, ma nello svegliarsi di una riflessione legata all’atteggiamento filosofico il rapporto tra la conoscenza e il suo oggetto diventa molto difficoltoso e assolutamente non scontato, anche perché nella conoscenza è data la natura ma anche l’umanità coi suoi vincoli sociali e con le sue realizzazioni culturali. L’ontologia è quindi un monito alla presunzione di sapere obbligandoci a prendere in esame il senso stesso del sapere e della verità”.

Assenza di ordine interno nella realtà. ↔ Nella totalità del reale l’assenza di ordine è subito visibile dalle prime battute della interpretazione, finendo per descrivere con pienezza un disordine fondamentale della cosa che è certamente possibile considerare anche come un ordine diverso, del tutto non compatibile con quello che mi risulta tanto familiare nel campo.

Foglietto bianco a righe cm. 16x6

Il dispiegamento non è l’ordine della realtà. ↔ Il dispiegamento non è la riprova di un metodo e nemmeno l’impiego del metodo stesso, non è un processo di conoscenza, almeno non più di quanto il vivere sia conoscere se stessi.

Grigio e vario torreggiare. ↔ Ogni invito alla saggezza non è un evento sacerdotale, è povertà e piacere intimo, non scuote i pilastri della storia. È la conoscenza che conosce i segreti della pubblicità e che fa tuonare le trombe fino in fondo alla valle dei morti, dicendo di non temere per il loro risveglio. La gioia della mia povera saggezza è libertà.

Big bang. ↔ L’ipotesi cosmologica che si definisce con il termine big bang parte dal presupposto di una grande esplosione iniziale, da un cominciamento, ciò ha fatto rassomigliare questa elaborata analisi scientifica più che altro a un rifacimento matematico della genesi biblica, ovviamente aggiornato con i tempi moderni.

Funzione d’onda. ↔ Non è soltanto sottolineata l’impossibilità di individuare la particella come un oggetto, ma è specificato che questa ipotesi considera la particella come esistente in tutti i punti descritti dalla funzione d’onda e ognuno di questi punti è in relazione con tutti gli altri, in relazione di movimento.

Implicazione relazionale. ↔ Questo modello, con tutte le limitazioni tipiche dei modelli, presenta una caratteristica importante, quando si riferisce a particelle non visibili al microscopio, come è la particella ipotizzata dalla teoria del big bang, non ritiene possibile l’individuazione oggettiva, nel senso di qui e non là, ma parla di una funzione d’onda, che sarebbe la versione matematica della mia relazione o, almeno, un certo modo di considerare modellisticamente la implicazione relazionale per dirla più correttamente.

Movimento della particella. ↔ La particella, inizialmente molto piccola e ad altissima densità, si ipotizza essere proprio una particella sulla base del modello matematico suggerito dalla fisica quantistica.

Implosione ed esplosione. ↔ L’esplosione non può considerarsi come uno sviluppo nel senso temporale o spaziale, non può neanche considerarsi come una esplosione vera e propria o come una implosione. Nulla infatti vieta di considerare il movimento come un fatto implosivo della stessa particella, non essendoci spazio né all’esterno né all’interno della stessa particella, anzi non essendoci nemmeno la possibilità di pensare allo spazio se non riducendolo al concetto specifico del campo.

Teoria scientifica. ↔ Nessuna teoria scientifica può accaparrare diritti su di una ipotetica verità di fatto, ma solo può fornire contenuti per una ulteriore rielaborazione interpretativa, purché questi siano di già stati sottoposti a una selezione diretta a escludere quei contenuti che palesemente contrastano, anche in chiave analitica, con i fondamenti di una filosofia relazionale.

Foglio bianco cm. 18x2,3

La partecipazione al dispiegamento. ↔ La coscienza vive paurosamente la sua partecipazione al dispiegamento, si sente trascinata in un movimento che se non le è estraneo, certo non le è congeniale.

Conoscenza come attivazione dell’oggettività. ↔ La conoscenza è il risveglio, la riattivazione di questa segreta comunanza oggettiva, ed è perfezionamento, completamento di una parzialità artificiale che deve essere superata.

Apparenza dell’oggetto. ↔ Producendo l’oggetto, e accettando la logica quantitativa dell’accumulazione, io non lo conosco, anzi riduco la mia conoscenza alle procedure che si devono realizzare per coprire la realtà e rattrappirla all’apparenza dell’oggetto.

Limiti del campo. ↔ Produco una quantità enorme di condizioni oggettuali, cioè strutture agenti in maniera relazionale nel mondo da me creato, ma questa vasta estensione reticolare non mi assicura la completezza del mio fare modificativo. Sono solo in questa considerazione, ma ne parlo, sono solo ma lo dico, entro cioè in una relazione complessa che individua i limiti del campo in cui mi trovo, ma anche enormi potenzialità.

Intrusioni abbastanza uniformi. ↔ Alla fine mi devo decidere per una intrusione magica nell’archivio, per un profondo scavo che solo la saggezza sa produrre, sempre mantenendosi nell’ambito del fare.

Intuizione della totalità. ↔ L’intuizione della totalità è qualcosa di diverso che non può considerarsi come la somma delle singole intuizioni relazionali specifiche.

Coinvolgimento e diversità: atto. ↔ Il coinvolgimento è un atto della coscienza che rifiuta il dominio della volontà e si avventura in un territorio sconosciuto, una sorta di malattia dello spirito è stato definito con una terminologia inaccettabile, ma è principalmente un’avventura dagli aspetti pratici e non solo vivente nelle immaginazioni aspre e insinuanti di un pensiero esaltato.

Continuazione nei due livelli superiori. ↔ La conoscenza è, secondo l’insegnamento ineludibile del senso comune, acquisizione di strumenti e impiego pratico degli stessi, faccende queste che corrispondono al primo livello della concretezza per quel che succede agli strumenti e agli altri due livelli per quel che succede all’impiego pratico preceduto da una revisione critica e da una interpretazione.

Conoscenza = effettualità. ↔ Mi si potrebbe obiettare che nel primo livello della concretezza il fare coatto produce oggetti e anche gli strumenti della conoscenza sono oggetti e pertanto sarebbe logico concludere per una conoscenza oggettuale e non trasformativa. Nel fare non c’è mai la giusta decisione, la volontà controlla che non ci sia.

Volontà inquieta produce strumenti non oggetti. ↔ Una volontà inquieta lavora alla produzione di strumenti non più di oggetti, la differenza è sottile e potrebbe essere inattiva, cioè potrebbe non risultare produttrice di diversità, questo è un altro problema, ma come differenza esiste e la si deve tenere presente.

Inadeguatezza conoscitiva dell’accumulo. ↔ L’inadeguatezza e la confusione mi circondano, io stesso sono il mio ritornello.

Uscita dalla dimensione temporale. ↔ Uscire dalla dimensione temporale fissata dalla catalogazione in cui l’oggetto si muove tra un qualcosa che c’è prima e un qualcosa che ci sarà dopo, per arrivare a una dimensione circolare in cui l’oggetto smarrisce e ritrova la sua connotazione oggettuale rivestendo altri aspetti che propongono trasformazioni nella totalità relazionale.

Funzione della volontà. ↔ È irritante ammettere che la funzione della volontà è proprio questa, reggere il mondo, crearlo secondo alcune regole, mantenerlo su certe corrispondenze.

Coerenza interna della realtà. ↔ Sono davanti all’assenza del concetto di coerenza per come sono abituato a trattarlo in termini analitici, ma l’obiezione può rientrare in altro modo, cioè riferendosi alla totalità del reale che, in quanto tale, potrebbe avere se non altro la coerenza del proprio essere totale, cioè compiuta in ogni sua parte.

Dispiegamento della natura contrario all’idea di ordine. ↔ Presupporre un ordine di sviluppo significa ipotecare un dispiegamento nel tempo e non un dispiegamento semplice come è quello della natura. In merito al problema del cominciamento, che deve essere risolto se si vuole parlare di un ordine interno alla realtà, come se esso esistesse in modo immediato nella modificazione e in modo radicale nella trasformazione mentre l’interpretazione si pone come passaggio dal cominciamento immediato a quello radicale.

Ordine e disordine. ↔ Nella realtà considerata in modo totale ordine e disordine si confondono insieme.

Ordine = scopo della totalità. ↔ L’ammissione di un ordine nella realtà implicherebbe necessariamente un’altra ammissione quella di uno scopo diretto a soddisfare un bisogno, ma uno scopo che abbia le caratteristiche della totalità, che sia lo scopo di tutti gli scopi possibili, sollecitato dal bisogno di tutti i bisogni possibili.

Critica del finalismo. ↔ Una delle classiche critiche al finalismo esacerbato, così come venne precisato in ogni dettaglio dal tentativo di Leibniz, partiva dal presupposto che se non accade nulla di imprevisto nel migliore dei mondi possibili allora non c’è creatività ed inventiva nell’universo e il tempo diventa vano.

Critica del finalismo bergsoniano. ↔ La curiosa conclusione di Bergson è dovuta a un errore di valutazione del tentativo di Leibniz. Difatti, nel finalismo leibniziano il tempo diventa abbastanza confuso e del tutto inconsistente per una coscienza che riuscisse a porsi acropoli di tutte le cose, ma questa intuizione fu dovuta al fatto che il suo autore era un grande matematico e che si rendeva conto della inconsistenza oggettiva del tempo, per cui mi sembra erroneo attribuire al finalismo l’assenza del tempo.

Finalismo = accettazione del tempo e dello spazio. ↔ In qualsiasi modo si ponga il problema, anche nell’aspetto finalistico ridotto suggerito da Bergson, sia che si debba tenere presente l’abitudine al fare più che la tendenza al pensare, per cui prima ancora che creatore io sono artigiano, c’è da dire che sia pure nel senso comune il finalismo procede sempre come accettazione del tempo e dello spazio. Il guaio è dipeso dall’avere considerato possibili solo due soluzioni, quella del processo che propone sempre aspetti differenti e annulla la ripetizione, e quella dell’identità che realizza la ripetizione annullando il processo.

Finalismo = determinismo. ↔ Costituito il finalismo, con un semplice rovesciamento di prospettive si ottiene il determinismo meccanicistico, dove da cause accertate ineluttabilmente si raggiungono effetti precisi. Il procedimento è lo stesso solo che l’obbligazione anziché essere posta dopo viene anticipata.

Finalismo ampliato e ridotto. ↔ Un finalismo ampliato finisce per ammettere un carattere di scorcio e di previsione affidandosi non alla singola azione ma alla legge che regge la realtà, alla sua logica interna, mentre un finalismo ridotto si limiterebbe ad ammettere che se non si può prevedere la serie delle conseguenze di un’azione si può però cercare di capire quello che è successo dopo che la stessa si è realizzata.

Platonismo: funzionamento del catalogo. ↔ Che Platone abbia colto una parte essenziale della natura umana nella catalogazione è tanto evidente da costituire, dopo molto tempo, un argomento aperto per tutti, non per nulla è stato anche affermato che tutta la filosofia è un commento a Platone.

Ancora sulla catalogazione. ↔ La coscienza immediata non è l’individuo, ma soltanto una sua parte, per cui il fare investe la volontà e rientra tutto nella coazione. La decisione è sempre un abbozzo, un gesto, perfino l’ultimo gesto di saluto sull’apertura resta sempre un fare. Ma l’uomo ha anche una facoltà diversa, cioè l’agire, e in quest’ambito non ricerca più la catalogazione ma anzi la pone in dubbio e la critica in modo negativo.

La coscienza prigioniera. ↔ Molti accettano questa condizione da incubo per paura di andare incontro a qualcosa di peggio.

Foglietto bianco retro nero cm. 15,5x9

Cattivi pensieri. ↔ Troppe le cause che influenzano la volontà e molto forte l’influenza di quest’ultima sulla vita nella sua quotidianità a volte ripetitiva, a volte oscura e carica di cattivi presagi.

Terreni minati. ↔ Per tempo ho minato il terreno tutto intorno rendendomi impossibili carriere lavorative e pubblicazioni in case editrici che si considerano più importanti.

Iniziazione dell’occhio. ↔ Il dispiegamento dell’assetto relazionale non pone contraddizioni interessanti, non esalta progetti precisi, né ruoli guida dell’oggetto, sottolinea improvvisamente nessi che spesso sono insopportabili per la volontà, in quanto fanno affiorare possibili relazioni ormai affievolite, sensibilità tutt’altro che oggettuali, nostalgie che contrastano con l’occhio freddo della immediatezza, con l’impietosità delle sue diagnosi, con la volontarietà circoscritta delle scelte.

A tentoni. ↔ Procedo a tentoni, profondamente convinto del fatto di non riuscire che a illudermi. Mi muovo in una prospettiva intuitiva, immaginaria, non mi attengo alle derivazioni che combaciano perfettamente, non ho più l’età per baloccarmi con questi giochetti.

Critica della partecipazione. ↔ So che la mia partecipazione al dispiegamento non è adeguata, sono quasi al risveglio di un sonno pieno di sogni. Non vedo ancora bene, manco di dettagli, eppure sono certo di essere nel vero.

L’equivoco della coerenza. ↔ Il coerente, gonfio di sé, dorme tranquillo, la coerenza non dorme, io dormo con difficoltà, ma il mattino fa entrare la luce tra le sbarre della finestra e la trova là, nessuno può averla vista dormire, nessuno può chiederle che pensa di se stessa.

Critica del fittizio. ↔ La volontà nella sua intenzione di controllo persegue un ideale fittizio di qualità, una deformazione della qualità effettiva che permane altrove e staccata. Non c’è un’eticità del controllo e del dominio, come non c’è un’etica politica in senso vero e proprio.

Miserie marginali. ↔ La volontà è sempre l’antitesi della sconfitta, per questo riesce a capire poco della vita e ha trasformato il campo in un terreno di misure e specificazioni, ma io devo avvicinarmi alla sconfitta, non posso accettare il gioco assurdo e inumano della vittoria, nessuno vince mai, i vincitori non esistono, ogni vittoria è sempre pagata con un grandissimo contributo di miserie e sacrifici, anche da parte del vincitore, anche nelle piccole faccende di ogni giorno, perfino nella costruzione degli strumenti.

Il nulla e l’altro. ↔ Il nulla non è, serve solo, come uno schiavo muto, l’essere suo padrone mettendolo in condizione di essere esattamente quello che è.

Manuale ad uso degli increduli. ↔ La scandalosità dell’apertura latente nell’interno più recondito della coazione è la sfida costante alla ragione, la sorpresa che si nasconde all’infinito nelle attese più scontate, l’arditezza della incredulità nell’ambito circoscritto della prigionia, la presunzione meravigliosa del raggio di sole che penetra attraverso le sbarre.

Foglietto bianco retro nero cm. 15,5x9

Ubi pecunia, ibi ecclesia. ↔ Con Agostino, nelle pagine più tese, mi trovo improvvisamente oltre il diaframma delle preoccupazioni, sue non mie, come la principale, la giustificazione della ricchezza della Chiesa ormai alle soglie della disfatta o del rafforzamento, le soglie della morte. Da lui parto a volte per avventure intellettive indistruttibili, esperienze che lasciano il segno nelle mie riflessioni.

Distruzione. ↔ Il senso immane, profondamente inserito nella parola, è la distruzione, il disordine, il caos.

Teoria e pratica. ↔ L’azione è il luogo e il tempo conchiusi in cui non ho più l’idea del mondo che ho creato, in cui non ci sono parole o spiegazioni, in cui cultura e conoscenza, teoria e pratica, si fondono in un tutto assoluto fuori del tempo e dello spazio, mentre io vivo la mia vita totalmente in quel presente che non ha passato fuori di sé, né avvenire che lo aspetti da qualche parte.

Icona. ↔ Farsi incontrare dall’uno è sempre possibile, posso sempre lasciare che il fare si perda in se stesso, che non mi fornisca occasione di andare oltre, e che l’uno si immobilizzi in una icona che non posso districare dalla cornice che l’assenza riferisce ma non giustifica.

Acconsentire. ↔ Affermare e acconsentire senza domandare è un atto pio, una opera di misericordia che disgusta.

Preferisco tacere. ↔ Nella cosa sono il silenzioso, il privo di parola che agisce nel solo modo convincente, il modo discorsivamente impossibile.

Buttare via. ↔ Ricominciare da capo e buttare via tutto, e ricominciare e lottare e perdere eternamente.

Boccheggiare. ↔ Mi strappo via dalle catene e non condivido più la sorte dei miseri che boccheggiano crudelmente nella sicurezza e nella garanzia.

Concedere. ↔ Il dolore, tutto il dolore del mondo, il male che dilaga e che sembra non accettare freno alcuno, non ammette il lusso di concedere largo spazio alle riflessioni pacate della logica.

Dare. ↔ La percezione, nel permettermi di dare vita al mondo che mi circonda, mi porta notizia della qualità perduta, impedendomi pertanto di vedermi nella mia possibile completezza.

Enfasi. ↔ Scrostata l’enfasi, resta una sorta di ovvietà del coinvolgimento, tale da rendere impossibile un altro modo di pensare la diversità.

Fortuna. ↔ Uomini dotati di un grande senso di equilibrio, grandi costruttori e artefici della propria fortuna, realisti impassibili e possessori di un grande numero di strumenti, anche camuffati di attività, sono da commiserare.

Giocare. ↔ Chiudere gli occhi di fronte alla inconsistenza di ogni difesa è assurdo, significa investire in una Maginot che prima o poi deve dare i suoi dolori, una obbedienza alle regole del gioco che impediscono di giocare.

Ho. ↔ Il rifiuto mi apre le porte della esagerazione vertiginosa, dell’eccesso nella negazione, prospettive che negano ogni genere di gelosia riguardo quello che ho e i suoi moderati furori.

Busta rettangolare usata spedita da Firenze il 27 giugno 1996

Quest’opera. ↔ Non declama una ricerca, non si sforza di fare parlare parlando, non parla, essa è avendo lasciato dietro di sé quello che pretendeva di essere rigoroso e misurato.

Un’àncora. ↔ La salvezza modificativa, modesta ma concreta, è il progetto che tutto raccoglie nella sua unitarietà indivisa.

Ad maiora. ↔ La quiete oscura del riferimento la distanzio per disinnescarla in un movimento progressivo, ma così facendo la custodisco dentro di me, impedendomi di portarla fuori secondo i canoni oggettuali della conoscenza.

Anche io. ↔ Anche io li guardo mentre si allontanano e lascio che l’autobus mi porti via verso il deserto.

Sì. ↔ Il segreto esiste ed è possibile andare a vederlo, scoprire il velo che lo cela, affrontare le serpi dell’inganno, queste parole sono sembrate, anche a quei pochi che hanno voluto udirle nella loro completezza, farneticazioni di uno spirito perduto.

Come è. ↔ I guai cominciano proprio alla fine, quando, come è inevitabile, ci si pone la domanda, ma il mondo è tutto qui? È ovvio che la risposta è negativa.

Fare. ↔ Mi sento privato della qualità, eppure è solo allontanandomi da essa che posso costruire il mio mondo, le mie percezioni, e quindi rivolerla indietro. Voglio sottrarmi a questa sottrazione, a questa perdita. Non potendolo fare, perché il fare è proprio quella perdita, ecco che la migliore soluzione resta la mia perdita, che io venga sconfitto.

Ed eccomi qua. ↔ Non sono pauroso e l’opacità non mi fa arretrare. Sono perfino testardo di orme segrete, quindi eccomi qua, il risultato è questo carcere e queste righe scritte nel vocio impazzito di cento poveri esseri alla deriva.

Non posso agire. ↔ Non c’è un ponte diretto tra azione e destino, non posso agire per costruire il mio destino, il semplice caso mi mette subito fuori strada.

Devo. ↔ Andare lontano, lontano dal mio cuore, lasciare che i problemi di quest’ultimo vengano gestiti da lui, senza un appoggio esterno.

Io. ↔ Gli occhi fiammeggiano, il sangue canta, le ossa si dilatano, grondano le lacrime e rivoletti rossi zampillano. Il loro scherno e il loro terrore dura un minuto, o mesi interi. Io solo ho la chiave di questa parata selvaggia.

Amo. ↔ Nella modificazione la mia morte, quella che dovrei costruire qualitativamente, resta esclusa per sempre, mi prospetto, e amo prospettarmi, una sorta di vita eterna, dove il sogno spietato e comico della giovinezza resta sempre davanti agli occhi.

Dire. ↔ Se esistono limiti a ciò che posso capire, e quindi dire e fare, questi limiti non dipendono solo dalla bontà dei mezzi di valutazione, cioè di analisi.

Avere1. ↔ La penetrazione è comunque una delle attività caratteristiche della coscienza, e può avere aspetti differenti.

Dare. ↔ La costituzione di una teoria relazionale capace di dare conto del movimento circolare della realtà, è ancora da venire.

Volere. ↔ Il volere vedere tutto, acceca.

Della. ↔ La tristezza della sua visione della vita fa il resto.

Che è? ↔ Domanda che da Platone in poi si attacca a tutta la realtà.

Avere2. ↔ Al di là di tutto quello che il meccanismo accumulativo può di già avere realizzato.

Lavoro. ↔ La strada della certezza si avvia così nel lavoro d’arte verso la cosa ma procede parallelamente alla sconfitta dell’immediatamente utile.

Cosa. ↔ La cosa è assolutamente libera.

Cose. ↔ Per mettere le cose a posto basterebbe poco, almeno per quel che mi riguarda. Un gesto, comodo e conclusivo. Ma sarebbe un’ulteriore chiusura, un privilegio pesantemente orientale, privo della leggerezza che porta con sé il gioco, il brivido del possibile.

Vuole. ↔ Chi mi vuole ricacciare giù, semplicemente costringendomi a riflettere, lo odio con tutte le forze, potendo lo uccido subito, o lo scredito e lo disprezzo.

Arriviamo. ↔ Se analizziamo attentamente le emozioni incontrollate di un uomo, arriviamo presto a una figura femminile.

Assolvere. ↔ Il fatto di essere da sempre in guerra esime dalla dichiarazione ufficiale di guerra, faccenda puramente formale che non può assolvere, come di fatto non assolve, i massacratori che hic et nunc esercitano il mestiere di assassini.

Aspettare. ↔ Senza aspettare secolari ricollocamenti, si può dire che i risultati non sono mai stabili, ma cambiano di continuo.

Foglio bianco cm. 21x14,5

Nella interpretazione. ↔ La logica del tutto e subito la si può vedere operare nella interpretazione e, solo in parte, nei movimenti oggettivi di compenetrazione.

All’interpretazione. ↔ La deformazione non può leggere quello che c’è sotto perché all’interpretazione mancano le regole, anzi la mancanza e la distruzione di queste sono appunto le condizioni primarie dell’interpretazione.

Senza interpretazione. ↔ Non c’è dubbio che il folle coglie appieno la condizione essenziale del mondo, e si sente libero di rifiutarla fino in fondo, fino all’estremo annullarsi della sua volontà nella cosa, senza interpretazione.

Una interpretazione. ↔ Accumulando inquietudine e parole le nascondo al loro stesso significato, le distolgo per una interpretazione simbolica e deformativa che è in fondo la loro vera essenza riunente, ormai perduta.

L’interpretazione. ↔ L’interpretazione mi ha accompagnato sulla soglia conclusiva di tutte le completezze.

Una ipoteca. ↔ L’ipoteca relazionale si può cancellare solo per astrazione, ponendo nel campo una libertà emozionale o intellettiva, a seconda dei gusti, totalmente sorretta da protocolli.

Una idea. ↔ La morte ancora una volta può presentarsi sotto l’aspetto allettante della costruzione, del possesso, dell’arricchimento immediato, dello sviluppo di una idea che nasce all’interno del meccanismo e si dipana come intreccio di compiutezza verso uno scopo.

Una immediatezza. ↔ Il contatto è per via relazionale, quindi con una immediatezza trasferita, ma che non per questo è meno immediata del contatto diretto.

Una ipotesi. ↔ La sospensione della utilità è solo una ipotesi di prospettiva, nella pratica non c’è modo di chiamarmi fuori, le catene sono troppo strette verso l’esterno e ogni porta è stata murata da tempo.

Buonsenso. ↔ Bottegaio, ripetuto a lungo, scade in caricatura. La bolgia produttiva del mondo mangia ogni fare e lo vomita come oggetto, però non può mangiare le mie immagini fosse pure il circo di Oklahoma, non potrebbe riuscirci senza la mia viscida collaborazione.

L’orientamento. ↔ È facoltà autonoma che si arricchisce, come la nominazione e la produzione fattiva col contatto diretto con la coscienza immediata così riorganizzata, e non è presenza costante e globale di quest’ultima.

All’orientamento. ↔ Non c’è modo di approfondire la sconfitta, se non ricollecandosi alle percezioni.

Dell’orientamento. ↔ La conoscenza che posso avere di me stesso è solo quella parte che la stimolazione dell’orientamento riesce a darmi, separazione tra quantità e qualità.

Dell’inquietudine. ↔ Per i cercatori di calma non alberga in essa la felicità, è meglio che levando le tende si indirizzino altrove, dove per loro è l’orrore per altri, come me, è la speranza di liberarsi dell’inquietudine.

La concretezza. ↔ Il problema principale della filosofia è la concretezza della vita e l’interazione tra la condizione reale del campo e l’uomo che in essa produce, mettono il segno su un diverso aspetto.

Della concretezza. ↔ L’interpretazione e la trasformazione, come livelli della concretezza, sono parte del dispiegamento pure essendo attività della coscienza. Esse difatti non possono pensarsi come contenuto di un qualcosa che si indica come contenente. In pratica, ricorrendo alla logica dell’a poco a poco ottengo un risultato abbastanza simile, ma si tratta di accorgimenti modellistici per fini precisi di utilità. Non appena si riflette meglio sul problema si finisce per capire che questi strumenti sono traditori, la realtà sta diversamente.

Dell’evidenza. ↔ Per la coscienza immediata non si tratta di altri modi di essere se stessa, a esempio in maniera rovesciata, o di varianti su possibilità sconosciute, ma si tratta di parti o coperture, che nell’approfondimento si scoprono attinenti a quel senso della evidenza che si coglieva in modo diretto, a galla.

Dell’efficacia. ↔ La teoria della efficacia specifica delle strutture e delle altre circostanze, resta in grande parte ancora da elaborare, e resta come la carta dell’Africa prima delle grandi esplorazioni, una terra conosciuta nei suoi contorni, nei grandi rilievi e corsi d’acqua, ma il più delle volte, salvo qualche regione disegnata bene, sconosciuta nei particolari.

Dell’intera concretezza. ↔ Metto dentro tutta l’alchimia di pensiero della intera filosofia occidentale, ma non ne traggo punti di riferimento.

Di immediatezza. ↔ Pensare la relazione come semplice possibilità di contatto significa impoverirla all’ipotesi aristotelica di immediatezza, cioè di oggetti che si toccano.

Una ipotesi. ↔ La diversità conduce direttamente all’ammissione che la nostra mente è divisa in due parti, una attiva, che alimenta la coscienza in maniera interrotta, e una passiva che lascia depositare dentro di sé la progressiva alimentazione.

All’ipotesi. ↔ Non sto qui rifacendomi all’ipotesi limite del cadavere che se è oggetto non è coscienza, ma proprio all’ipotesi della coscienza della cosa o di una coscienza nella cosa. Ciò è comprensibile solo ricordando la comune partecipazione al dispiegamento.

Dall’ipotesi. ↔ L’errore di una certa considerazione della natura, la quale parte dall’ipotesi di una sorta di spirito animatore che si troverebbe imperfetto o diminuito all’interno dell’involucro oggettuale mentre sarebbe superiore nella coscienza, animazione da cui verrebbe l’idea e la stessa constatazione del movimento, risiede, come tanti altri errori, sempre sulla pretesa antropocentrica.

Nell’ipotesi. ↔ Ogni movimento relazionale, anche il più infinitesimale, produce un cambiamento in questa totalità, la quale è sempre diversa e, nello stesso tempo, è sempre uguale perché contiene esattamente tutte le relazioni possibili. Ciò sbarazza il movimento anche con l’idea di consumo necessario, indispensabile nell’ipotesi non relazionale in cui forze incontravano resistenza e consumi venivano bruciati.

Come è. ↔ Proprio l’imposizione della temporalità, pensata come una condizione della natura, insieme alla spazialità e a tutto quello che in un modo o nell’altro non considero coscienza, ha finito per annegare in un nominalismo logico ogni tentativo di approccio alla realtà, come è accaduto nel caso clamoroso di arrivare a pensare che la natura funzioni secondo le mie equazioni e non, come sarebbe stato più ragionevole supporre, che queste equazioni sono soltanto una ipotesi mia su come funziona la natura.

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Bando alle chiacchiere. ↔ I deliri abbondano ma il tessere è faccenda quotidiana che cerca di sfuggire alla quotidianità consumando l’olio della vita. Non ha bisogno di molte parole, queste si ammonticchiano solo nelle giustificazioni, nei pergolati peripatetici, nei vantaggi del denaro e delle chiacchiere.

Nuovo libretto. ↔ Che altro hai fatto, con l’affaticarti, perfino nell’ambito di una coraggiosa ricerca interpretativa, se non aspettare di mettere avanti onestamente le tue credenziali, se non proprio il libretto della pensione?

Provocazione. ↔ Nella coscienza immediata, fin dentro la sua mania di controllo, si annida una provocazione dilagante e instancabile, complessissima, che si dibatte spontaneamente tra l’accettazione e il rifiuto del catalogo.

Le chiacchiere al bando. ↔ Il cosiddetto spirito inumidisce gli occhi, dilaga nelle nostre chiacchiere e raggiunge un’assolutezza che gli permette di raccogliere concordanze dove non ce ne sono, quasi fosse capace di riportare a nuova vita con unghiate precise il senso depositato, che invece sta semplicemente continuando a fioccare, strato sopra strato.

Nuovo articolo. ↔ Non sono forse davanti a un articolo di fede? Il fatto è che questi cosiddetti progressisti hanno in mente un modello d’altri tempi, il quale è fondato a sua volta su di un’ipotesi ufficiale e una nascosta, detta fra i denti e mai ammessa se non nel caso di estremisti rivoluzionari dalle idee poco chiare.

Nuove pezze d’appoggio. ↔ L’eccesso rompe i limiti, indispone, sconnette, disarticola, ecco perché non è un processo finito, circondato da appoggi e da pezze giustificative, non accetta imitazioni e non riconosce ostacoli insuperabili posti e supportati in nome dell’utilità.

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John Maynard Keynes. ↔ “Newton non fu il primo dell’età della ragione, bensì l’ultimo dei maghi, dei Babilonesi e dei Sumeri”.

John Kenneth Galbraith. ↔ Sogni di benessere.

Karl Marx. ↔ “Hegel si è posto dal punto di vista dell’economia politica moderna. Concepisce il lavoro come l’essenza, come l’essenza che si avvera dell’uomo, egli vede solo il lato positivo del lavoro, non quello negativo. Il lavoro è il divenire per sé dell’uomo nell’ambito dell’alienazione o come uomo alienato. Il solo lavoro che Hegel conosce e riconosce, è il lavoro astrattamente spirituale. Quindi quel che costituisce in generale l’essenza della filosofia, l’alienazione dell’uomo che conosce se stesso o la scienza che pensa se stessa alienata, Hegel concepisce come la sua essenza, e quindi può di fronte alla filosofia precedente ricapitolarne i diversi momenti e presentare la sua filosofia come la filosofia. Quello che gli altri filosofi hanno fatto, concepire i singoli momenti della natura e della vita umana come momenti dell’autocoscienza e più precisamente dell’autocoscienza astratta, Hegel lo fa in base al fare della filosofia, perciò la sua scienza è assoluta”.

Francesco Ferrara. ↔ Evidentemente tutte le letture di Frédéric Bastiat, da Ferrara fino ai nostri giorni, sono state letture politiche. Certo, dice Bastiat, noi non pensiamo che tutto vada per il meglio. Io ho fede piena nella saggezza delle leggi provvidenziali e, per questo motivo, ho fede nella libertà. La questione è di sapere se noi abbiamo la libertà, se queste leggi agiscono o la loro azione non è turbata dall’azione opposta delle istituzioni umane.

Alban William Phillips. ↔ Gli economisti più pragmatici continuano ad utilizzare la curva di Phillips. Tuttavia, al contrario della curva statica che fu popolare negli anni Sessanta, la nuova curva può sopportare alcuni cambiamenti, così che seguire una certa politica può avere differenti risultati in differenti periodi temporali, il trade-off può peggiorare (anni Settanta) o migliorare (anni Novanta).

Vilfredo Pareto. ↔ Mille miglia tra Nietzsche e Pareto, ma a volte le grandi distanze chiedono solo grandi navigazioni.

Bastiat. ↔ Una straordinaria riflessione la trovo nelle pagine di Bastiat, il fondatore dell’armonia e in economia politica. Solo che il suo pensiero arriva a tutt’altre conclusioni.

David Ricardo. ↔ Posso avanzare l’ipotesi che l’opinione, espressa da una persona che non abbia una preparazione scientifica specifica, riguardo quel che accade quando due biglie si urtano, come nell’esempio precedente, traduce in concetto concreto la qualità del movimento, a esempio immaginandosi questo movimento come impeto o impulso o altro, e considerandolo esprimibile in pochi altri concetti qualitativi come lento, veloce, con i relativi diminuitivi o maggiorativi. Ma non è detto che un ragionamento simile venga fatto quando si propongono problemi che, per alcuni versi sono invece simili, come potrebbe essere il rapporto greshamiano tra moneta cattiva e moneta buona, o il funzionamento del cosiddetto paradosso di Ricardo.

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L’altra faccia dello scemo. ↔ In solitudine d’animo mi faccio affliggere dallo scemo parlante, allo stesso modo piango al mio cuore indomito per affrontare le asperità del libro che voglio leggere fino in fondo o della formula matematica che non capisco più.

A fil di polemica. ↔ Sono stato un polemista indiscreto, continuo a esserlo, anche se penso che molte polemiche del passato erano solo strumenti per accedere ad altre condizioni di polemica che tali non potevano più sembrare, proponendosi come speculazioni positive, se non proprio costruzioni vere e proprie.

Senza una ragione. ↔ Si tratta solo di giochi dell’interpretazione che collocano la ragione discorsiva nel senza ragione, nella indeterminabile estensione dell’uno. Insistere in modo estremo, ossessivo, insistere in un rinvio che non trova requie, come se fosse possibile dalla quantità portare la qualità alla condizione di completezza.

Il Leviatano nudo. ↔ C’è il pericolo di restare prigionieri dei propri problemi, della miseria che mi porto dietro, delle paure e delle introspezioni. C’è il pericolo di dare spazio a un Leviatano onnivoro che modella se stesso sulla immagine dell’accumulo. Questa è, più o meno, la logica.

Una proposta. ↔ Partendo dalle esperienze positive dei Bookfair, riteniamo si possano fare alcune riunioni periodiche, più frequenti, per meglio conoscerci e coordinarci. Queste riunioni al momento si potrebbero fare a Trieste, dove abbiamo un locale a disposizione, e pensiamo possano avere una frequenza almeno di una volta ogni due mesi, allo scopo di non diluire troppo nel tempo le tensioni e le iniziative che potrebbero venire fuori da questi incontri. Siamo anarchici che pensano possibile partire da queste iniziative minime per costruire quello che al momento nessuno sa precisare con certezza. Anarchici contrari a ogni formalismo e a ogni burocratizzazione, quindi anche a quelle forme indirette di organizzazione troppo schematiche che qualche volta hanno attecchito anche all’interno dello stesso movimento anarchico. La conoscenza reciproca è la base essenziale da cui partire per verificare se fra di noi c’è un minimo di affinità per analizzare le possibilità, poche o molte che siano, che abbiamo per agire contro chi ci governa, amministrando la nostra vita, e contro tutti i meccanismi repressivi che ci controllano e ci soffocano quotidianamente. Di già lo sforzo di individuare gli elementi essenziali del nostro essere anarchici in una società come quella che ci ospita tutti, pure nelle diversità economiche e politiche che ancora permangono nelle diverse situazioni geografiche, merita l’occasione di alcune riunioni perché non sempre quello che sentiamo nel nostro cuore, a partire dal nostro desiderio di ribellione, riusciamo a comunicarlo al compagno che ci sta più vicino. Ma ciò è solo una parte. Siamo contro il mondo che ci ospita, contro il lavoro che ci schiavizza, contro il potere che ci misura e ci controlla, contro la scienza che alimenta ogni ritrovato tecnologico che ci asfissia e pregiudica la nostra libertà, siamo contro ogni divisione di settore, anche quelle che cercano di specificare interventi rivoluzionari solo per alcuni e non per tutti. Siamo contro una concezione dell’anarchismo che vede la vita quotidiana separata dalla propria cosiddetta militanza. Quello che viviamo tutti i giorni, anche questo è lo scopo della nostra ribellione e uno degli stimoli più essenziali del nostro anarchismo. Si potrebbe allungare a dismisura la lista di questi punti che per noi restano essenziali e quindi importanti da discutere, punti da cui partire per studiare anche futuri interventi concreti contro tutto quello che circondandoci tenta di inglobarci e di controllarci. Non vogliamo però dilungarci. Pensiamo che questo nostro bisogno, forse, potrà essere condiviso da alcuni compagni, ed è a questi ultimi che ci rivolgiamo. Discutiamo insieme, con passione.

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La distruzione necessaria. ↔ La distruzione necessaria è stata scritta di getto nel febbraio 1968. Mille problemi urgevano dentro di me, avvolti nel bisogno di assolutezza che ingigantiva sempre di più. Proprio questo bisogno dettava i limiti del quadro interpretativo: uscire dalle regole, rompere con la sentenza uniformante che mi ospitava, dire questa rottura, dirla al più presto, a qualsiasi costo.

Potere e contropotere. ↔ Una raccolta di pensieri era proprio l’ultimo dei miei programmi di lavoro. Sia per una certa quale mia incompatibilità con la struttura di una raccolta del genere, tutta affermazioni categoriche, sia perché preferisco la maggiore articolazione del discorso di ricerca e di riflessione, alla necessaria stringatezza e lapidarietà dei pensieri.

Saggi sull’esistenzialismo. ↔ Nei miei anni giovanili, quando sentivo pienamente l’influsso dell’esistenzialismo positivo, mi ero convinto che il problema fosse un continuo riproporsi di domande e risposte, tentativi di soluzioni e possibilità di ritornare sull’argomento e sistemare tutto diversamente e questo lo vedevo nella realtà concreta, nei giudizi sintetici, mentre era diverso nei giudizi analitici, dove un problema poteva venire posto e risolto per il semplice motivo che nel suo stesso porsi non era problematico. Ma tutto questo discorso aveva un certo goût de néant.

Saggi sull’ateismo. ↔ Sostanzialmente dovuta a due momenti ben distinti del mio lavoro questa raccolta è stata opportunamente divisa in due parti. Una prima parte, di riflessione teorica, articolata su problemi non di contrapposizione teologica ma d’ingerenza concreta nel fenomeno dell’ateismo, una seconda parte, di più immediato interesse storico, diretta alla scoperta di nuove forme ateiste, proprio dove la critica storica ha finito per alzare le braccia dichiarando ultimato il lavoro di analisi.

Teoria dell’indeterminazione. ↔ Werner Karl Heisenberg riconducendo la meccanica quantistica nella prospettiva dell’utilizzo, ne fissa i limiti dell’uso corretto, che sono quelli della teoria dell’indeterminazione.

Paul-Henry Thiry d’Holbach. ↔ La concezione dell’uomo come organizzazione di diversi elementi, è fatto di grande importanza nel pensiero illuminista e in particolare di Holbach per quanto non trovi la possibilità di uno sviluppo analitico. L’uomo è un prodotto della natura, questo vuole dire che la materia è eterna, la creazione dell’uomo può essere indipendentemente nata nel tempo o praticamente esistente da sempre in funzione dell’esistenza di una determinata coordinazione di fatti naturali, finita la quale, finisce anche l’esistenza dell’uomo. Conseguentemente, diventa superfluo il concetto metafisico di qualcosa esistente fuori della natura. La paritetica condizione dell’uomo con le altre espressioni naturali è una intuizione di Holbach.

Donatien Alphonse François de Sade. ↔ Opera validissima quella del marchese, e stranamente in contrasto con l’indole e le conquiste dei tempi suoi. Del secolo dei Lumi accetta parte del razionalismo, ne elabora le estreme conseguenze con grande padronanza, tanto da poterlo considerare uno dei migliori conoscitori dei “tempi nuovi”, ma accanto a tutto ciò lascia sopravvivere le antiche paure e le antiche predilezioni. Accanto alla ragione rivive il sabba stregonesco, accanto al ragionamento l’ingiuria sanguinosa, accanto al razionale rifiuto di Dio l’invettiva sacrilega.

Kurt Lewin. ↔ Il campo è lo spazio vitale di un organismo, la totalità degli eventi possibili da cui deriva il comportamento dello stesso organismo.

Henri de Saint-Simon e Marx. ↔ Il terreno comune è quello del metodo con cui esaminare la società intesa come totalità di classi contrapposte tra loro. Quella che per Saint-Simon era la contraddizione di classe (anche violenta) tra borghesia e industriali (produttori), diventerà in Marx una contraddizione di classe violenta all’interno della stessa classe degli industriali, tra proletariato e borghesia. Allo stesso modo sarà molto importante, anche per Marx, il concetto dell’avvento dei produttori sulla scena della storia, avvento considerato inarrestabile e necessario, oltre che risolutorio del conflitto di fondo tra non produttori e industriali. L’avvento del proletariato, come risolutore definitivo della filosofia nella prassi, sarà per Marx un riprendere le vaghe formule di Saint-Simon in modo più preciso e dettagliato. La lettura dell’umanesimo di Feuerbach costituirà, sempre per Marx, la chiave per penetrare indenne all’interno della fortezza metodologica hegeliana, per apportarvi quanto di nuovo e di vitale era andato elaborando il pensiero degli utopisti francesi e, in particolare, quello di Saint-Simon.

Aldo Capitini. ↔ Uomo di prassi, lottatore e simbolo di un certo modo di condurre la lotta, Capitini seppe, nel momento stesso in cui assumeva un ruolo “politico”, rivisitare questo ruolo per respingerlo, almeno nella cristallizzazione che l’ipoteca profonda dell’istituzione finisce per gettare nel significato di “politico”. Contro questa integrazione la sua soluzione era quella che proviene dal basso, che contrappone al potere centrale quello di tutti, il potere dei centri sociali, delle assemblee deliberanti e consultive diffuse nella periferia.

“Proximus Tuus”. ↔ Periodico socialista torinese della fine dell’Ottocento.

Finanza cattolica. ↔ Le Casse rurali furono un mezzo organizzativo operante nel settore dell’economia per strutturare le forze cattoliche o di ispirazione cattolica. Furono, è naturale, anche uno strumento per alleviare certe situazioni di grave insofferenza determinatesi a seguito di una gestione imprevidente delle forze finanziarie statali e della piaga centenaria dell’usura. Caratteristica del mondo contadino è la scarsità di numerario, cosa che obbliga spesso i coltivatori, per far fronte ai pagamenti in contanti (acquisto di sementi, pagamento di gabelle, rate di mutuo, ecc.) a far ricorso a prestiti sui quali, nel mercato libero del denaro, gravano interessi ed usura. I prestiti venivano fatti in genere da persone benestanti, ex proprietari terrieri che si erano stabiliti in città investendo i capitali sia in fabbricati che in prestiti ipotecari. Altre volte erano gli stessi proprietari che prestavano ai coloni e ai massari il frumento per la semina e quanto occorreva per i bisogni della coltura, ricevendone un rimborso in frumento e in denaro al momento della produzione. Le Casse nascevano, quindi, anche per venire incontro ad un bisogno molto sentito dai piccoli coltivatori diretti, quelle di avere un certo quantitativo di denaro contanti a costi non proibitivi.

Educazione gesuitica. ↔ I primi anni della “Civiltà Cattolica” sono caratterizzati dallo sforzo condotto dai Gesuiti per riaffermare il loro prestigio, per riorganizzare la struttura del loro ordine e, in un raggio più ampio, per rafforzare le fortune del papato compromesse recentemente dai moti rivoluzionari del 1848. In questo programma più vasto si inseriscono programmi minori che, via via, concorrono efficacemente a irrobustire il primo. Uno di questi ultimi è costituito dalla questione dell’educazione, dibattutissima e assai sentita nell’Italia dell’epoca, proprio perché la propaganda liberale aveva sostenuto la necessità di educare il popolo, come premessa di un reggimento politico razionale. Per motivi simili, ma più specificatamente diretti al risveglio delle masse, un discorso assai vicino al precedente, facevano i democratici. Infine, sullo sfondo, si andava profilando quella critica da sinistra al mazzinianesimo, sostenente appunto il principio della lotta di classe, in base alla quale entravano in Italia i primi sintomi dell’organizzazione e dell’idea socialista.

Jus primae noctis. ↔ Le origini di questo istituto sono nella costruzione giuridica voluta ed attuata nei secoli dalla Chiesa. Infatti quel primo momento in cui la notte del matrimonio veniva ad assumere una particolare condizione morale e giuridica veniva ben presto superato in pratica dalla cupidigia sempre crescente delle organizzazioni religiose chiamate a farlo mantenere intatto nel tempo. Furono queste, infatti, ad applicare una larga serie di tasse per consentire l’unione sessuale dei coniugi nella prima notte di matrimonio. L’antico significato etico, assurdo per quanto si vuole ma di chiara origine morale, almeno dal punto di vista strettamente religioso, veniva ben presto superato in semplice limitazione della libertà individuale, da cui nasceva un diritto positivo in chi questa libertà poteva limitare a pretendere una qualche cosa per non applicare la sanzione limitativa. Da ciò alla richiesta di denaro il passo non poteva essere lungo, dalla richiesta di denaro alla richiesta di una prestazione in “natura” e più direttamente afferente alla speciale caratteristica della limitazione, il passo doveva essere ancora più breve.

Pëtr Kropotkin. ↔ La favola dell’esistenza del mondo che si tocca, che si fabbrica, bello, buono, regolato dalle leggi positive dell’etica, possibilmente riscontrate anche fra gli animali, insomma, l’illusione che per certi aspetti fu anche quella dell’evoluzionismo di Kropotkin, ha fatto il suo tempo e appartiene agli orrori del passato, non per nulla questa sorta di evoluzionismo buono, del principe anarchico, si concluse tristemente con il Manifesto dei Sedici e con l’accettazione della prima guerra mondiale contro gli Imperi centrali.

Educazione. ↔ L’educazione alle cose facili e chiare è una delle condizioni del dominio, la struttura della scuola dopo i “decreti delegati” ne dà ampia verifica. Riguardo il ruolo degli insegnanti, della loro qualificazione e dell’approfondimento della ricerca scientifica Maurizio Lichtner ha scritto: “Oggi gli insegnanti svolgono alla meno peggio il ruolo di riproduzione dell’assetto sociale borghese, solo nell’inefficienza e nella confusione; ma questa inefficienza è l’unico modo a quanto pare, di continuare a svolgere il ruolo assegnato. Ecco perché ha senso per noi parlare di nuova professionalità dell’insegnante, perché oggi qualsiasi serio sviluppo professionale (che implica moltiplicazione ed articolazione delle mansioni, maggiore utilizzazione di capacità e conoscenza scientifica, uso di tecniche, ecc.), finisce per contrastare col modo di riproduzione assegnato alla scuola dalla classe dominante”. A prescindere dalle discutibili considerazioni sulla professionalità qui è chiaro che il compito che lo Stato assegna all’insegnante è quello di riprodurre un assetto di cose, quindi non può dargli poi il compito di trasmettere strumenti che se impiegati correttamente (in senso rivoluzionario) distruggerebbero quell’assetto di cose. Lo Stato si barcamena e cerca di dare il meno possibile, trasferendo a livelli di classe sempre più alti e ristretti, la circolazione di quegli strumenti che sono necessari per la gestione del potere.

Michail Bakunin. ↔ Quando ci siamo macchiati del grosso peccato di dare inizio alla pubblicazione delle Opere Complete di Bakunin, abbiamo premesso al primo volume un’introduzione che, trascurando deliberatamente problemi di collocazione storico-temporale, affrontava la validità e i limiti dell’opera di Bakunin oggi, per noi, per tutti coloro che sono impegnati nella lotta politica e sociale. E se di Bakunin, giustamente, si può anche morire, si può, se è ben colto il momento dell’analisi, trovare spunto vitale di non trascurabile riflessione su problemi vicini a noi più di quanto si creda. Perché non è tutta una questione di rifiuto della metafisica e di accettazione della scienza, come non è tutta una questione di droghe pesanti che fanno sfigurare il buon vecchio vino come droga popolare del secolo scorso. Alcuni problemi, come quello delle classi, del rapporto minoranze-masse, della concezione dello Stato, dell’essenza strutturale del potere, degli aspetti controrivoluzionari del partito autoritario, ecc., sono problemi ben vivi anche per noi e, certamente, da non potersi guardare con sufficienza.

Max Stirner. ↔ Un pensatore non fornisce strumenti utilizzabili sempre allo stesso modo e con identica fortuna. La sua lotta con le cose, per scoprirne i rapporti e i contenuti, è anche lotta col tempo. Nel grande crogiuolo dei significati, l’opera del pensatore si evolve, pur restando consegnata all’immutabile isolamento delle pagine di un libro. Nuovi processi di creazione vengono alla luce a seguito di nuove letture, nuovi contenuti, nuovi fattori di interpretazione. Spesso è una nostra stanchezza (o paura) che ci impedisce di leggere bene e coraggiosamente. Quello che non vogliamo trovare finiamo per non vederlo, e la critica di parte finisce così per accedere, per debolezza, alle letture di comodo, monumento incrollabile cui ricorriamo per aiutarci ad esorcizzare un senso troppo chiaro, ricevendone un aiuto grazie alla suprema ottusità accademica.

John Maynard Keynes. ↔ “La difficoltà non sta nelle idee nuove, ma nell’evadere dalle idee vecchie, le quali, per coloro che sono stati educati come lo è stata la maggioranza di noi, si ramificano in tutti gli angoli della mente”.

John Kenneth Galbraith. ↔ “La tecnostruttura è autoreferenziale, e non risponde di fatto a nessuno, se non a se stessa”.

Pensiero economico greco. ↔ Anche i problemi economici prendono vita, man mano, nell’ambito del generale spirito speculativo dei Greci, ma non riescono a diventare trattazione organica e definita, cioè non riescono a destare l’attenzione metodologica di nessuno degli studiosi greci, pur così attenti e desiderosi di precisare la parte normativa del loro lavoro. Questa manchevolezza esteriore ha indotto a disprezzare la trattazione di quei problemi e a concludere per una, più o meno assoluta, refrattarietà della cultura greca alla rilevazione dei fenomeni economici e al loro studio. Oltre ad una difettosa metodologia, altri elementi contribuirono ad impedire una trattazione organicamente determinata dell’economia.

Pensiero economico romano. ↔ Friedrich Nietzsche. “Forse niente stanca tanto, quanto la vista di un vincitore permanente, per due secoli si era visto Roma sottomettere un popolo dopo l’altro, il circolo era concluso, tutto il futuro appariva alla fine, tutte le cose erano disposte per uno stato di cose eterno, sì, se l’impero edificava, lo faceva con la recondita intenzione dell’aere perennius, noi, che conosciamo soltanto la malinconia delle rovine, difficilmente possiamo immaginarci quella malinconia, di tipo del tutto diverso, delle costruzioni eterne, da cui si doveva cercare di salvarsi come si poteva, per esempio con la leggerezza di Orazio”.

Pensiero economico dei Vangeli. ↔ Le notazioni economiche dei Vangeli, convergono tutte su quel Discorso della Montagna che, giustamente, è stato considerato come uno statuto da accettare per garantire l’accesso al regno di Dio. Dal nostro punito di vista la più importante delle Beatitudini è quella dei poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli. Questa versione è quella più attendibile di Matteo, mentre in Luca l’assenza delle parole “in spirito” contribuisce a dare al termine “poveri” un’assolutezza ancora più imbarazzante.

Ferrovieri antifascisti. ↔ Alfredo M. Bonanno, Ristrutturazione: esigenza del dominio borghese. Frammenti di storia antiproletaria. Pubblico impiego e ferrovieri dal 1919 all’avvento del fascismo, ed. MAB, Torino 1980, pagine 32.

Critica entomologica. ↔ L’ape e il comunista, in “Corrispondenza Internazionale” nn. 16-17 Ottobre Dicembre 1980, pagine 308. Divideremo il nostro lavoro in due parti. Nella prima vedremo tutti i punti in cui l’analisi del trattato di entomologia teologica ricorre allo strumento dell’intimidazione intellettuale e tutti i punti in cui afferma delle sentenze teoriche inappellabili dichiarando che la verità è quella che viene qui fornita perché è così e basta, in quanto così è stata fissata, una volta per tutte, dai sommi padri della chiesa marxista. Questo lavoro potrà sembrare superfluo e sarà quasi certamente monotono, però ci pare indispensabile per sventare sia il meccanismo di intimidazione che si vuole fare agire sul movimento rivoluzionario, sia l’architettura teorica che dimostra così le basi fragilissime su cui ha fondato l’intera costruzione.

Conflitto sino-russo. ↔ I discorsi e le tesi si fanno sempre più confusi. Sono divenuto simile alla civetta sulle rovine. Imbroglioni e apocalittici di ogni tipo mi circondano, per cui dovrei veramente andare alla ricerca di tracce troppo sbiadite cui affidare il mio destino. In fondo, faccio presto a convincermi che il brusio non nasconde altro che chiacchiere e che tutto si aggiusta quando che sia nel tempo, anche la guerra ignobile, col suo modesto contributo di dissenso onesto e calcolato come l’occhiuta elemosina che il ricco propina al lazzarone sulla soglia della chiesa.

Saggi di storiografia. ↔ Mi sembra che l’ultima parola sulla storia, con tutte le illusioni di vario genere che essa suggerisce, si possa dire nel modo più semplice: o essa è nulla, o è la realtà, e questa ultima eventualità mi pare la più accettabile. Però, essendo la realtà, non è altro che il movimento delle relazioni e va quindi spiegata nei modi e seguendo i processi che di questo movimento sono caratteristici, senza sovrapporre sviluppi idealisti assolutamente inesistenti e diretti soltanto a supportare specifici obiettivi di controllo e di dominio. La triste conclusione dello storicismo è che con esso si è perduta la concretezza del soggetto, la sua capacità di farsi strada nel mondo. Alla fine esso, intrappolato nella rete del progressivismo filosofico, si è rivelato semplice affermazione speculativa, mentre la realtà è fatta di relazioni che danno vita a movimenti concreti che sono sempre, nello stesso tempo, capaci di produrre individui muniti di doppio versante, soggettivo e oggettivo, per quanto diversamente proporzionato. L’indagine di questa realtà, nel suo insieme totale, non potrà mai prendere l’aspetto di un fatto oggettivato, ma come un insieme relazionale dove siamo inseriti noi stessi, mentre nel caso di una prevalenza dell’accumulazione, e quindi nel caso di una temporanea vittoria della parzialità, saremmo noi stessi a trovarci inseriti in un processo di oggettivizzazione. Possiamo vedere e costruire un’angolazione particolare, il nostro campo, e da questa angolazione produrre pratiche e teoriche capaci di dare vita a persistenti e resistenti strutture, ma con ciò non possiamo mettere definitivamente a tacere i processi che la nostra coscienza inquieta genera nella vasta rete di flussi che la circonda e nei cui confronti essa è, di volta in volta, ora centro e ora periferia. Noi siamo questa realtà concreta, non l’ipotesi astratta elaborata dall’idealismo o quella altrettanto astratta elaborata dal materialismo positivista o dal realismo naturalista.

La teoria economica di Proudhon. ↔ Il Système des Contradictions Economiques, ou Philosophie de la Misère (2 voll., Paris 1846), costituisce un importante tentativo di padroneggiare i problemi della scienza economica. Tratta dei valori economici, della divisione del lavoro, delle macchine, della concorrenza, del monopolio, dell’imposta, del bilancio commerciale, del credito, della proprietà individuale, della proprietà collettiva, della comunità dei beni, della popolazione, del lavoro. Il tentativo di Proudhon è quello di dimostrare che tutti questi concetti dell’analisi economica sono contraddittori gli uni con gli altri in quanto portano a risultati opposti a quelli che in teoria sono i fini della scienza economica. Ecco perché bisogna rinunciare ai pregiudizi dell’economia politica classica, da un lato, e alle utopie comuniste dall’altro lato. In Proudhon il comunismo utopico si confonde spesso con il collettivismo socialista, di questo errore non verrà mai fuori. Egli vuole porsi in contrasto contro le due potenze che si disputano il governo del mondo e si anatemizzano con il fervore di due culti ostili: l’economia politica e il socialismo. Se la prima è la serva della routine, il secondo non è altro che l’annunciatore dell’utopia. L’una nega la ragione, l’altro l’esperienza. L’una è la religione della forza, l’altro la religione della miseria.

Estetica. ↔ L’assolutamente altro partecipa nella mia valutazione estetica e la costituisce. È lo spicchio d’angolo della cosa che si riflette nella bellezza ed è anche la mia capacità di fruirne non avendone paura.

Teoria del linguaggio. ↔ Se potessi realmente penetrare nella dimensione puntuale della totalità delle relazioni possibili, senza fare ricorso alle convenzioni di campo, troverei che niente è di già fatto, ma tutto e in corso di formazione. Questo fondamentale significato della filosofia relazionale non riesco a esprimerlo se non indirettamente, facendo ricorso a strumenti come il linguaggio che sono convenzioni irreali, praticamente di quella irrealtà che è comunque sempre realtà, perché non esiste qualcosa al di fuori di essa, ma aventi una natura talmente affievolita, natura di senso, da non riuscire a dire quasi niente su tutto ciò che invece mi interessa sapere. Il problema torna a essere quello di dire l’indicibile, visto che non c’è altra possibilità di avvicinarsi alla realtà relazionale.

Copertina di quaderno colore arancio interno bianco cm. 21x30

Descrizione. ↔ Hans Georg Gadamer. La descrizione heideggeriana del circolo ermeneutico segna una svolta importante. Infatti, le teorie precedenti quelle di Heidegger si attengono tutte ai quadri di una relazione puramente formale tra il tutto e le parti.

Sfumatura. ↔ È il contenuto che sembra quasi schiudersi e Proust propone uno sforzo afferrandosi alla linea del tetto, a una sfumatura della pietra, per imprigionarlo ma senza riuscirvi, come se sopra ci fosse un coperchio.

Il mondo nella immediatezza. ↔ Arthur Schopenhauer. “Per questo abbiamo chiamato il mondo fenomenico suo specchio e sua oggettività, ciò che la volontà vuole è sempre la vita, appunto perché questa non è altro che il manifestarsi di quel volere attraverso la rappresentazione, perciò è la stessa cosa, è solo un pleonasmo, quando invece di dire semplicemente volontà diciamo volontà di vivere”.

Il taglio. ↔ Gli scambi che ho con il mondo sono sempre legati alla percezione, quindi si reggono sulla logica, sia essa quella dell’a poco a poco, come quella del tutto e subito, che per quanto questa ultima sottoponga a critica negativa la percezione e il taglio della qualità, resta sempre una logica del mondo, comprensibile e intuibile nelle limitate periferie del mondo stesso.

Concetto1. ↔ Le conseguenze dell’affievolimento e dell’intensificazione seguono l’andamento dei flussi e si propagano secondo il senso circolare. L’alchimista Jan Baptista van Helmont trae il concetto di gas da quello di caos.

La zona del taglio. ↔ Per avere accesso a questa nuova profondità bisogna conoscere le tracce lasciate nella zona del taglio, arrestare la volontà indagatrice.

Senso. ↔ Nella parte di massimo affievolimento, il senso si fa sottile, non scompare e arriva a coprire le tracce dell’avvenuta separazione.

Accettazione. ↔ Accettare è esercizio per spiriti forti, per i mai saziabili. I deboli dovrebbero educarsi al rifiuto e, ancora meglio, alla ribellione violenta. L’accettazione, per i primi, è anche preparazione al mostrarsi vero, per i secondi solo un posto d’arrivo dove gettare l’àncora e morire.

Insicurezza. ↔ L’insicurezza non è soltanto una valutazione della realtà collegata alla constatazione di incompletezza, è una condizione della vita per come è vissuta, cioè della effettualità sia modificativa che altra.

Morte. ↔ Gilgameš trova in fondo all’acqua la pianta della vita, che rende gli uomini capaci di sfuggire alla morte.

L’altra immediatezza. ↔ Partecipando l’altra immediatezza della propria esperienza, la oggettualizzo per proporla in termini quantitativi non essendoci modo di comunicare se non con le parole.

Differenza1. ↔ La differenza si sente respinta e si chiede il perché, mi accusa e io l’accuso, niente è più facile di puntare l’indice contro qualcuno. Il freddo glaciale è un suggeritore di stanze schermate.

Una unione vitale. ↔ La mia vita cambia, e io la sposo più intimamente. È una grande emozione quella che provo con questa diversa unione vitale con me stesso.

Una unione diversa. ↔ La ventata vitale proveniente dalla forma non mi lascia in pace, mi attanaglia come se aspettasse una risposta, mi chiama a vedere me stesso dal punto di vista casuale, a guardare una unione diversa, mentre tutto attorno a me macina il solito meccanismo.

Desolazione. ↔ Qual è lo stile della desolazione, lo stile che ritroverò nella cosa? Posso adesso fare un’ipotesi, visto che dopo si tratterà solo di un’esperienza puntuale?

La vita. ↔ La desolazione caratterizzerà sempre questo territorio sconosciuto, dove un muoversi cauto e sonnolento sembra caratterizzare la vita.

Lettura della tensione. ↔ La tensione del dispiegamento ha caratteristiche estetiche, nel senso dello stile, dell’eleganza, categorie però troppo impoverite nel campo per dare indicazioni sufficienti. Un conto alla rovescia. Per me, questo movimento della forma è assoluta desolazione, difatti nell’orientamento è proprio la tensione che allontano, per dare alla realtà un movimento con un senso comprensibile.

Differenza2. ↔ La differenza è una struttura come quella che, per quel che mi riguarda, sono solito chiamare coscienza immediata. Quello che so, riguardo la mia coscienza immediata, non posso duplicarlo per la differenza. Questa si offre come conchiusione, come differenza da me.

Affinità. ↔ Gli elementi d’affinità sono dentro la coscienza diversa e costituiscono i punti di riferimento del movimento della diversità nell’inquietudine.

La leggerezza. ↔ E non era forse la leggerezza del piede quella che mi mancava? Se sono più leggero perché non parlare di questa leggerezza?

Tra. ↔ Condizioni mantenute tra parentesi che invece hanno la loro importanza.

Il mondo e la sua logica. ↔ Questa logica si costruisce nella modificazione, a poco a poco, cioè si produce, viene fuori in un certo modo, seguendo certi procedimenti di produzione e rispettando lo scopo dell’utilità, simbolo stereotipato di seduzione consumista.

L’emergere di qualcosa. ↔ La coscienza immediata nel suo insieme vuole una risposta e rifiuta di convivere ancora nel contatto con l’ignoto, e predispone quanto necessario all’emergere del noto.

Contatto. ↔ La penetrazione è un contatto che fa emergere il senso e allontanare la tensione.

L’oltrepassamento. ↔ La vita dell’uomo è racchiusa in un carcere con due uscite, l’oltrepassamento e la morte.

Oltrepassamento e contingenza. ↔ Nell’oltrepassamento non è la contingenza che si accresce, quanto un emergere di qualcosa d’altro, forse il pessimismo della vita?

Iniziazione. ↔ L’avere visto una strada nel pantano non è detto che sia una soluzione, potrebbe rivelarsi una iniziazione molto dolorosa.

Sapere inutile. ↔ Il sapere inutile si converte in utile conoscenza, allo stesso modo in cui la presenza si è convertita in assenza per la cosa, cioè presenza nel campo.

Il qualcosa orientato. ↔ Il qualcosa è quindi un’approssimazione en géomètre all’orientamento, un incidere della mia attenzione percettiva sulla cosa. Il mistero del mondo mi guarda da sotto questa operazione di orientamento, ma io sono troppo allenato nel mestiere di salvarmi la vita, non riesco a preoccuparmi fino in fondo.

La qualità. ↔ La vicenda della cosa, mi dà la qualità che mi manca, e questa non si trasferisce semplicemente nella mia narrazione, la trasformazione propone cambiamenti impensabili al modulo modificativo.

Qualità nella cosa. ↔ Se la coscienza potesse capire il dispiegamento, come movimento intrinseco della qualità nella cosa, sarebbe anche capace di riprodurlo nella concretezza modificativa, cioè di produrlo come oggetto.

Sperimentare. ↔ Se difendo, a ogni costo, questa espressione della quotidianità, perché è la sola che conosco, la vita di tutti i giorni, non posso sperimentare una vita diversa, in cui è tutto diverso, anche il fluire delle relazioni.

Coscienza diversa. ↔ La coscienza diversa si è ormai staccata dalla immediatezza, e questa rimane tesa e vigile, segue la diversità da lontano, almeno finché riesce a farlo, diventa inseguitrice e amante, ripetitrice prolissa di solitari movimenti, inventrice sempre inattesa di nuovi giochi e nuovi amplessi.

Capire. ↔ Occorre capire il concetto di irrimediabilità, di coinvolgimento totale, che non ammette mezze misure, processi di una logica che reggono un altro modo di vedere la realtà, non parafrasi stilizzate.

Il Trattato. ↔ Uscire dal Trattato con nuove prospettive, rompere le tavole della legge in modo che questo gesto rimanga incomprensibile, lasciare che altri scavino nelle parole e con le parole si balocchino. Immani le eventualità che tutti ripresentino la medesima incompiutezza, l’ignoranza della cosa.

Necessità del progetto. ↔ Sono per un progetto attivo che si indirizzi verso la cosa, non sono per la tesi contraria in base alla quale mi ucciderei a poco a poco, con tutte le carte in regola, raccogliendo al mio letto di morte gli eredi a cui lasciare le misere briciole di uno spiluccare la vita che non è mai stato un vero e proprio banchetto.

Abbandono. ↔ L’abbandono è fonte continua di scoperta conoscitiva, ma non ha una grande forza di accumulo, spesso risulta deprimente l’attesa dell’evento che si apre promettendo non si sa bene che, ma le speranze sono tante.

L’altro orientamento. ↔ L’orientamento positivo non può essere superiore a un altro orientamento, qualora questa distinzione reggesse fino in fondo, in quanto fa sempre parte della grande famiglia dell’accumulo.

L’azione. ↔ Gli uomini della libera azione sono in svantaggio rispetto ai liberi pensatori, poiché gli uomini soffrono più per le conseguenze delle azioni, che per quelle dei pensieri.

Esperienza nel campo. ↔ Il campo è certamente un’apparenza, ma è l’esperienza con cui mi misuro continuamente.

Unificare. ↔ Rinunciare alla vittoria per la vittoria non è sacrificarsi, come l’essere uno non è unificare ciò che è separato.

Concetto2. ↔ Condivisibile il concetto che la conoscenza sia un viaggio, perfino di andata e ritorno. La notte è il suggerimento più intenso che mi indirizza la cosa, la notte e il mare, l’immensità che lascia intuire la totalità. Potenti simbolismi che non è facile mettere a frutto, che non è nemmeno facile sradicare.

L’orientamento. ↔ La qualità è un obiettivo di per sé senza paragoni con il dominio della quantità e il fatto che quest’ultima possa reggersi su una serie di surrogati della qualità, non risolve il problema del bisogno e del desiderio di quello da cui l’orientamento ha privato l’accumulo del senso.

Articolazione. ↔ Spesso l’articolazione del valore è complessa e riassume, in formule astratte, una famiglia di residui con caratteristiche omogenee, cioè un sistema unificato dal senso, dal depositarsi del senso. Lo svolgersi di queste unificazioni è interessante in quanto indica di già, nell’ambito del medesimo processo di archiviazione, i percorsi di una possibile esperienza altra.

Concetto3. ↔ L’orientamento, insieme alla nominazione, conchiude il concetto, lo propone come elemento quantitativo, lo codifica, lo accumula. Ogni conoscenza è selezione, ritaglio, scelta degli argomenti che mi interessano, per cui risulta destinata all’incompletezza, ma anche alla riconferma delle intenzioni conoscitive.

Insufficienza. ↔ Non avrei saputo che cercare se non avessi cercato nella insufficienza e nel delitto. Quando tutto consiglia la calma, l’unica scelta ragionevole è una vita convulsa. Spezzare il cordone che lega alla condizione collettiva di schiavitù. Reagire, rompere, negare, criticare, svelare, movimenti da condominio.

Dell’utilità. ↔ Dentro di ognuno si nasconde il delatore pronto a tradire, non appena la paura lo prenderà alla gola davanti alla manifestazione della pienezza. Tronchi segati a metà, per lungo. È la pura essenza dell’utilità pubblica. Il risentimento viscerale contro chi riesce a penetrare più a fondo e meglio.

Movimento. ↔ Il mondo, cioè l’insieme dei fatti prodotti, è una configurazione che si estende attraverso il movimento della produzione. Dentro certi limiti di significatività, questo movimento circoscrive e delimita il campo.

L’estensione. ↔ La semplicità della cosa propone un avvicinamento che non abbisogna di condizioni preventive o di misurazioni successive, è l’estensione sicura di sé, presente a sé in tutti gli aspetti della relazione.

Libertà nel campo. ↔ I riflessi della libertà nel campo modulano le sfumature della coscienza immediata andando via via verso una maggiore immobilità del senso, cioè movendo dall’uomo fino ai minerali e passando per tutte le gradazioni strutturali che si chiamano col termine “vita”.

Elaborazione del concetto. ↔ L’elaborazione colta del concetto, quindi il movimento cui partecipa anche la volontà, si riversa come movimento relazionale nella ragione. La ragione concepisce il campo come universale e di questa falsa valutazione se ne fa una regola continuamente commisurata alle regole del campo. Questa falsa totalità sta come accumulo nel campo e lo rende idoneo a servire da base materiale alla produzione di oggetti.

Movimenti iniziali dell’immediatezza. ↔ Mi sento come se possedessi il dono di darmi io stesso la realtà, di rendermela palpabile in base al riflesso dei movimenti dell’immediatezza. Un sogno austero di risolvere tutto nel campo, senza sforzo e senza pericolo, tutto nel chiarore della certezza. Accettare la finitezza come affievolimento della vita.

Creare il mondo. ↔ Creare il mondo è legiferarne le regole. Io lo creo continuamente, ed è di queste regole che ne va di mezzo. La diversità non è un fatto creativo, almeno non lo è nel senso che normalmente viene dato a questo termine. Legifero e munisco di senso, ecco che faccio nel campo, continuamente.

L’immediatezza. ↔ L’immediatezza non può sospendere il fare, perché essa è fare e vive in un mondo che è esso stesso fare, e ciò segna non solo i suoi limiti, ma anche l’inesorabile enigma del suo destino. Può però riconoscere limiti e destino e procedere oltre, oltrepassarli.

Concetto4. ↔ Nella cosa non è possibile nessuna specificazione, l’orientamento non sceglie nella cosa, ne sollecita il dispiegamento che permette di dare senso unitario agli elementi percettivi preesistenti alla coscienza immediata, che così si riassumono nel concetto.

Ragione. ↔ L’iniziazione, mediante certi contrassegni, consente una comprensione di sé che non potrebbe essere raggiunta nel campo con l’impiego concettuale della ragione senza perdere il contatto. Si tratta di capire l’inconcepibilità, quello che non è pensabile, e di capirla in quanto tale, cioè coglierla per quello che essa afferma col venirmi incontro, non con quello che potrebbe dire, visto che non ci sono parole che possono specificarla.

La cognizione del campo. ↔ La cognizione del campo è questa delicata sfumatura dell’ascolto e dell’attesa, non solo il pesante riferirsi all’automatismo dell’accumulo.

Una nuova forza. ↔ Cercare il tutto nel frammento, pensare di identificarlo in modo oggettivo è stupida esercitazione. Nel frammento c’è però la traccia del tutto, il residuo del sogno ambizioso e totale, l’intramontabile vita della qualità dove il frammento stesso getta le sue radici, dove annega e risorge a nuova forza e a nuova linfa.

Scendere. ↔ Nominare non è soltanto una procedura concettuale. Essa può scendere più in profondità, può cioè scavare alle basi del linguaggio, nella capacità della parola di produrre l’oggetto, quindi di fissare l’orientamento nella prospettiva del campo. Dietro questa capacità c’è la volontà di controllo. Molte aquile scendono dai loro nidi selvaggi per vivere con le talpe.

Inquietudine e immediatezza. ↔ Nell’oggetto, al di là di ogni possibile invenzione della immediatezza, la quale cerca sempre di sfuggire in questo modo ai suoi problemi di inquietudine, non esiste disinteresse. Ogni elemento si colloca al suo posto perché ivi lo ha indirizzato la coazione del fare, il progetto produttivo.

Il dono di sé. ↔ Il significato che voglio dare al termine coinvolgimento in questa narrazione è quello di una proposta cortese ma ferma che l’immediatezza indirizza a se stessa nel dono di sé. Una proposta dura, nella sua preventiva non conflittualità, chiara nelle premesse per quanto nello stesso tempo foriera di misteriose conseguenze.

Desiderio. ↔ Quando Lucio sollecita Aristomene a spiegargli i motivi della sua trasformazione da uomo in asino e viceversa, è cosciente del fatto che la causa può essere stata soltanto il proprio desiderio di voluttà e la propria curiosità, quindi tutto viene ricondotto all’esperienza punitiva e l’elemento fondamentale delle metamorfosi è da Apuleio stesso collocato nel passaggio salvifico piuttosto che nell’iniziale passaggio verso l’ignoto.

Prevalenza. ↔ L’assetto relazionale del campo ha una prevalenza quantitativa e quindi unifica in una serie di corrispondenze regolamentari tutti i movimenti significativi, cioè non talmente affievoliti come fossero inesistenti.

L’afflusso dei contenuti. ↔ Se li interrogo a denti stretti, la loro grande massa resta muta proprio nell’estremo afflusso dei contenuti, un fiume in piena, un mare in tempesta che si rovescia sulla mia povera domanda, per metterla a tacere.

Parlare la diversità. ↔ Il modo in cui posso parlare la diversità è quello che parte dalla mia condizione di rischio. Dal momento del coinvolgimento, il mio dire non sarà mai più quel dire distaccato e artefatto del campo. Sarà un dire coinvolto, pauroso, inquieto, aperto, diverso, mascherato, distorto. Non sarà più diretto e retto dai protocolli del campo.

La coazione. ↔ La coazione a fare non è solo obbligo a produrre, ma principalmente a produrre secondo le regole. Ogni rottura delle regole, se avviene per inavvertenza, non è una rottura vera e propria, è una inadeguatezza che il processo quantitativo dell’a poco a poco colma e sistema con relativa facilità. La coazione crea la storia umana come storia del fare e, essenzialmente, questa è svolgimento delle regole che reggono il fare.

Il campo trasceso. ↔ Restando nello spazio tutto può essere il non manipolato, può essere il trasceso, modificato, fatto e rifatto, ma in fondo tutto non riesce a superare il muro confinario dentro cui rimane il racchiuso. Ma la libertà è diversa, come è diversa l’azione.

La sconfitta. ↔ La sconfitta è una droga sottile, non la si può accostare in punta di piedi, occorre avanzare con decisione. Lo scopo dell’inutilità è la qualità, cioè il non scopo distruttivo, nessuna costruzione può avere solo la quantità, ma ha un velo residuale che, nella cosiddetta opera d’arte, si attaglia, avvolge come un sudario, la qualità.

Il completamento. ↔ L’oltrepassamento annuncia che il completamento è possibile, e getta questo annuncio spaventoso nel pieno della legittimità di ragione, ma di una ragione diversa. Un dibattito tra sordi.

La cosa e il mondo. ↔ Il movimento circolare è continuo ma non può essere considerato un passaggio diretto tra la cosa e il mondo. Ogni volta che mi avvicinerò a questo movimento dovrò guardarmi dall’entusiasmo per i particolari, dal solito gioco delle evidenze concordanti.

L’incertezza della certezza. ↔ L’incertezza mi alimenta e mi sprona, mi obbliga adesso a un contegno coerente, ma io la depisto per territori solo a me noti. Antico indagatore di concordanze, perseguo adesso il libero stormire delle inutilità. Non credo alla soluzione tautologica dell’archivio, al precetto virtuista dell’accumulo, scettico e nichilista, signore del dubbio ma anche della certezza, sciolgo i nodi come mi aggrada tagliando corto con la disperazione dell’abitudine e con la cecità dell’ovvio.

Versante oggettivo. ↔ La coscienza immediata propone due versanti, il versante oggettivo e quello oggettuale. Tutti e due questi versanti presentano movimenti di intensificazione e di affievolimento.

Desiderio di completezza. ↔ Il territorio della cosa ospita la tensione della verità, e io lo so, ma come si conosce qualcosa da lontano, come una carta geografica rovesciata delle modeste possibilità che il mondo della coscienza immediata offre tutti i giorni, senza arrivare a soddisfare il desiderio di completezza, di perfezione. Non appena cerco corrispondenze tra il campo e il territorio della cosa non trovo niente, nessuna relazione si raccorda, non esistono rapporti leggibili in termini di senso. Ogni relazione si estranea e si apparta, finisce per affievolirsi.

Il fatto. ↔ Il fare non conferisce un predominio sul fatto perché il fatto è fare del fare, quindi sono sempre due movimenti che si incrociano integrandosi nel movimento.

Due realtà? ↔ Ci sono solo movimenti di affievolimento, una specie di fronda ctonia, che fanno sparire il campo e apparire la cosa, non due realtà diverse.

L’oltrepassamento della immediatezza. ↔ L’immediatezza non può essere cancellata con l’oltrepassamento. Posso di certo, con il salto nella cosa, andare fino a un punto di non ritorno, ma non sono io a proporre la domanda radicale, non posso più proporla, sono ormai completamente desolato, e non importa in che modo possa essere definita, guardandola dall’esterno, la mia condizione.

Il fare. ↔ Comunque, la memoria mi inganna e mi sostiene, mi inganna in quanto mi conforta nella mia richiesta di sicurezza e così ricostruisce il passato acconciandolo a questa richiesta, mi sostiene in quanto è su di essa che innesto il fare modificativo che scandisce la mia quotidianità.

Fare il mondo. ↔ Il mio atto è tanto estraneo al fare del mondo, al mio fare il mondo, che di colpo, nel semplice gesto del saluto, diventa seno, cuore, materia intrinseca della cosa. Senza volerlo mi insinuo nella cosa e in essa permango alle condizioni diverse che la cosa pone al mio permanere e di cui io non ho cognizione preventiva. È quindi la cosa che mi scopre diverso, mentre nella mia rammemorazione sono io che scopro la cosa.

L’accumulo. ↔ Non si può raggiungere la qualità aumentando l’accumulo di quantità.

La vita come incertezza. ↔ Un allentamento del controllo costituisce l’altro aspetto del raccoglimento della vita e della sua intensificazione. I due movimenti si incontrano reciprocamente e concorrono a creare una condizione di incertezza supplementare.

L’organismo. ↔ La comune matrice delle emozioni la verifico intuitivamente, nell’acutizzarsi di tutte le capacità della coscienza immediata, nel precipitarsi della volontà a intensificare il controllo, nell’acutezza intellettuale che l’organismo produce attraverso movimenti riflessi, circolazione di determinate sostanze, ecc.

La rigidità. ↔ Pensare non significa soltanto constatare, ma comprendere, e non si può capire se non si smuove la rigidità del dato di fatto, la sua irrevocabilità, se non si scopre fittizia la sua chiusura e, avendolo liquidato, se non si accetta se stessi come interlocutori a rischio. Ma riflettendo bene tutto ciò è impossibile mantenendosi nell’ambito del semplice produrre. La manipolazione di oggetti non prende in considerazione l’atto del manipolare, manipola e basta.

Del parlare. ↔ La struttura è pertanto l’ultimo recesso della copertura, l’ultima occasione del parlare per evitare di dire quello che andrebbe detto. Nessuna filosofia come quella relazionale vive il dramma del dire con oggetti impropri, come il linguaggio analitico che non le appartiene.

Il progetto mio nel mondo. ↔ Questa duplice possibilità del progetto della cosa di essere detta nel progetto e dal progetto mio nel mondo si riassumono in una pressione dell’assenza e in un rivelare che manifesta la maschera, il velo che torna ineluttabilmente al suo posto.

Sull’apertura. ↔ Nell’oltrepassamento non sono una tabula rasa, sono quella mia vita la cui immagine unitaria più completa e più carica di senso, salutava sull’apertura il mondo, senza per questo desiderare di tornare indietro.

Tutto qui? ↔ Nella cosa il tutto qui? non è pensabile se non nel momento in cui si può essere sovrastati dall’intensificazione. Completata l’esperienza nella cosa è il mondo che ho completato, non il me stesso che pensa.

Nella cosa. ↔ La narrazione è l’orientamento complesso dell’esperienza nella cosa, cioè del sapere inutile, orientamento partente ancora una volta dal mondo e diretto a realizzare la rammemorazione di quella esperienza, che così diventa la trasformazione attiva del mondo nei limiti del mondo. La poesia è probabilmente il modo più intenso di vivere la rammemorazione. Una morbida magnificenza.

L’azione e la trasformazione. ↔ Regalarsi il piacere supremo della festa. Essa cresce insieme alla trasformazione e al segno che da essa l’azione riesce a prendere, segno di una diversità che il fare non possiede.

La parola del destino. ↔ Sono proprio io quello che il destino chiama a realizzare, cioè a impiantare la possibilità nella realtà. Quella parola mi identifica, e sono ancora io che debbo riconoscermi nella parola del destino. Questa è ovviamente bene inquadrata dal progetto della cosa e sopravanza la possibilità che emerge e sgorga via dalla narrazione. La forza di quella parola è grandissima e implica una identificazione particolare e particolarmente intensa.

Foglietto bianco cm. 14,5x21

Dire di no. ↔ Difficile per me assassinare la coerenza, trarla fuori dalla sua smunta caligine per ucciderla, proporle alternative così arrischiate da essere torturatrici di savi a mezzo servizio e di prudenti sicuri di sé. Cerco di farle indossare le brache di un regolamento dormitivo, ma lei rifiuta, è inflessibile e minacciosa in questo dire di no.

Ricusare. ↔ Penso che oggi siamo quanto meno lontani dalla ridicola immodestia di volere decretare, dal nostro angolo, che solo da questo angolo si possono avere prospettive. Il mondo è semmai tornato a essere infinito, nella misura in cui non possiamo ricusare la possibilità che esso racchiuda interpretazioni infinite.

Smentire. ↔ In definitiva, la presa di posizione di fronte all’inquietudine è individuata come punto di partenza per una strada diversa, che non può che smentire quella precedentemente percorsa.

Non confermare. ↔ E l’incertezza, dimostrata attraverso l’assurdità del meccanismo quantitativo, fa tutt’altro che non confermare l’utilità del meccanismo stesso.

Rispondere di no. ↔ La sottolineatura rende implicita una inefficienza della ragione a regolare un passaggio, quello in particolare tra immediatezza e diversità. Si presenta quindi come un rispondere di no alla ragione, non come rinuncia a uno dei due aspetti che così vengono separati. Ma questo rispondere di no alla ragione non è ancora oltrepassamento, per il momento si tratta forse di una sorta di sviamento.

Critica. ↔ Il ponte socratico è saltato, non c’è più il passaggio, sia pure turbolento, di cui parlava Platone, non c’è modo di trattenere dall’abisso il cavallo bizzoso.

Che è? ↔ Il dire della parola sussisterebbe o si strozzerebbe in gola come la rauca voce dell’uno che è? Una opinione preventiva regge la conoscenza? La definizione è squalificante, una opinione non è nemmeno una credenza, almeno non del tutto, quest’ultima necessità di un minimo di forza, di potenza e di convincimento.

Passaggio. ↔ Articolo calcoli e discorsi che mi fanno sentire padrone di me stesso, e mille fili invisibili mi avvolgono da ogni parte fino a quando non lascio la volontà da parte e smetto di tagliare e spezzare, per abbandonarmi. Non voglio più muovermi ma lascio che mi si nuova, che il destino mi venga incontro. Solo così colgo il passaggio all’agire. La funzione lineare che mi ero immaginato non esiste, l’azione non attiene alla volontà, sono al di là degli scopi solidamente governati dall’utilità.

Dall’accumulo. ↔ La strada per spezzare il vincolo della fattività coatta non è né la svogliatezza ne l’indisponibilità. La prima è del tutto circoscritta ai processi riorganizzativi mutuati dall’accumulo, stratificazioni dirette a variare itinerari e disposizione del senso. La seconda è una delle convenzioni di campo, la quale si basa su di una ipotesi di rigidità tutta da verificare.

Alla modificazione. ↔ Il senso concreto, utilizzabile, è quello affidato alla modificazione nel suo insieme, secondo regole che si precisano sempre più via via che mi avvicino al campo, sigillandomi in protocolli capaci di esaltare l’utilità soltanto ipotizzabile nelle condizioni della concretezza modificativa considerata nel suo insieme.

Distinguere bene. ↔ Occorre distinguere bene tra fare e agire. Nessun babilanisme stendhaliano nel modo in cui viene qui considerato il mondo della produzione quotidiana.

Interpretazione. ↔ Qualità posso ipotizzarne tante nell’interpretazione, ma tutte hanno una risposta comune, la libertà che le qualifica come qualità. La libertà è l’abisso di cui parla Esiodo, abisso che si apre davanti all’osare diverso, al salto nell’assolutamente altro.

Trasformazione. ↔ Questa cultura dominante nel campo sociale odierno forse sarà distrutta da una trasformazione rivoluzionaria, ma non per questo scomparirà completamente, almeno non come senso, come strumento di riflessione. Niente ricomincia mai da zero, come qualcuno nelle sue fantasie da selvaggio buono si illude, nella speranza di più facilmente acculturarsi dopo avere fatto piazza pulita.

Penetrazione. ↔ Essere abili nel terreno della desolazione vuole dire possedere una natura sottile e meravigliosa, una misteriosa capacità di penetrazione.

Protendere. ↔ Per quanto non possa dirsi fondato necessariamente sulle volgari quotidianità, l’intelletto non ammette l’affermazione desolata, il protendere verso l’inutilità, per lui questa possibile vicinanza è un incubo mortale, e ciò anche senza la pura intellezione.

Protrarre. ↔ Il procedimento è profanazione della integrità proprio perché tende a uno scopo, ha in vista l’utilità del comprendere per il fare, l’urgenza di protrarre vantaggio, di acquisire, di conquistare.

Idea. ↔ Il dispiegamento della realtà viene avvertito come una enorme fame di vita che la qualità possiede nei riguardi di tutto quello che è sottratto al suo normale e quieto dispiegarsi. Certo, questa concezione è diretta ad attribuire alla immediatezza una capacità di determinare il dispiegamento, sia pure dentro limiti precisi, se non altro l’ampiezza del campo o gli interni del mondo se si preferisce. Ora, per quanto questa idea possa apparire presuntuosa, non manca di un fondamento di verità.

Foglietto bianco cm. 21x15

Contenuto del concetto. ↔ La formula dell’accordo con la natura è comune a tutti gli stoici, ma il contenuto del concetto di natura cambia con il mutare della situazione storica e con il ruolo della Stoa nella società.

Contenuto dell’oggetto. ↔ La tensione non può affievolirsi verso la struttura, non può dirigersi verso la concretezza modificativa, verso l’accumulo o verso l’oggetto, sono movimenti che non posseggono tensione, se non come residuo dell’orientamento, una traccia trascurabile.

Parte di una busta di colore grigio spedita da Monaco il 12 febbraio 1997 cm. 12x17,5

Tensione. ↔ La tensione alimenta la forma che è quindi territorio periferico della cosa con una considerevole intensificazione di qualità e affievolimento di senso.

Foglietto bianco cm. 21x15

Anima. ↔ La sensibilità espressa a parole, per quanto artefatta dalla tecnica di chi le parole sa usare, è uno specchio dell’anima se il poeta non è un filisteo, e ce ne sono molti di quest’ultima specie.

Qualità. ↔ Spesso, nel grande bisogno della qualità, mi dibatto in preda al panico, ma la paura del rischio è ancora più grande della mancanza di vita autentica che respiro tutti i giorni, e finisco per chinare il capo, per adattarmi alla speranza di un biglietto della lotteria.

Intelletto. ↔ Nemmeno in questo caso, cioè nell’assemblaggio del proprio intelletto e quindi della produzione modificativa che ne viene fuori grazie all’intelligenza, si è davanti a quello che viene chiamato soggetto. Il processo è ancora più lungo. Tutto quello che l’intelligenza mette sotto il suo titolo patrimoniale è voluto e pensato come possesso. L’uomo che se ne fregia può vantarsene o nascondersi dietro la coda pelosa dell’umiltà, ma non è altro che un patrimonio, più o meno gestito bene, e dà i suoi frutti in moneta sonante. La saggezza è l’antitesi di tutto ciò.

Intellettualismo e volontarismo. ↔ Ragione e fede. L’intellettualismo è quella filosofia che antepone il pensiero alla volontà e si sforza di ridurre i valori pratici a quelli teoretici. Al contrario, il volontarismo percorre la strada inversa. Naturalmente essendo la ragione lo strumento della filosofia, le visioni intellettualiste sono le più diffuse. La soluzione critica kantiana sembra dare il primato al volontarismo della ragione pratica di fronte a quella teoretica. L’intellettualismo di Wolff era troppo soffocante e Kant si lasciò sfuggire l’affermazione che bisognava togliere di mezzo il sapere per fondare la moralità. Ma il primato dell’azione, di cui alla ragione pratica, è primato dell’azione permeata di un riflesso conoscitivo proveniente dal fare, senza che si possa veramente parlare di unità sintetica di pensiero e volontà.

Volontà. ↔ Per quanto forte sia la volontà, per quanto posso sentirmi prigioniero di questo grande protettore, sia sotto l’aspetto del dominio diretto, sia sotto l’aspetto dell’equivoco e dell’imbroglio a cui la volontà ricorre per ingannarmi prospettandomi un’autonomia immediata che non esiste, non c’è coscienza che non sperimenti inquietudine e perplessità, che non sperimenti apertura e diversità. La concretezza è sempre completamente in corso, non è mai del tutto modificativa e neanche del tutto interpretativa o trasformativa.

Oggettivo. ↔ La forma resta, al di qua dell’esperienza mistica che ha bisogno di un suo linguaggio non più metaforico ma intimamente oggettivo, un superamento del corpo in quanto oggetto e un raccostamento al corpo in quanto cosa. A stretto rigore di termini questo problema non attiene alla forma, ma la sfiora soltanto, come non attiene all’azione ma la sfiora nel passaggio finale, nella parte terminale dell’itinerario trasformativo che si diparte in unificazione trasformativa e in salto nel territorio della desolazione.

Oggettuale. ↔ L’oggetto diventa sordo agli antichi richiami, la sua vita oggettuale, come accade con grande forza nella immediatezza della coscienza, è un tentativo sempre frustrato di rompere il silenzio.

Soggettivo. ↔ Solo l’hegelismo propose una distinzione interessante tra spirito soggettivo e spirito oggettivo, intendendo con il primo le facoltà intellettive e col secondo l’insieme delle istituzioni del mondo, concetto questo di grande importanza, anche per il modo in cui è stato sviluppato nel corso stesso della filosofia hegeliana, sia successivamente. Sotto l’influenza di questo modo di pensare si diffusero interpretazioni che cercarono di costruire i rapporti strutturali della realtà sotto l’aspetto di movimenti dello spirito oggettivo.

Ragione. ↔ La ragione umana, osserva Johann Georg Hamann, è un organo senza precisa funzione, un naso di cera, una banderuola.

Campo di riferimento. ↔ Prodotti corrispondevano ad altri prodotti, in base a segni qualsiasi di riferimento, elevati al rango di significato simbolico, bandiera di combattimento o semplice parola d’ordine di conventicola.

Relazione. ↔ L’immediatezza esiste come relazione separata dalla diversità, nei termini in cui qui ha un senso parlare di separatezza. Ma la violenza che accompagna questo genere di operazioni, grosso modo permette quell’affievolirsi della relazione che dà il senso della separatezza.

Rapporto. ↔ L’orizzonte della vittoria può anch’esso articolarsi in un allargamento alla sconfitta e alla morte, ma deve mantenere un rapporto con la concretezza mondana, col mondo degli oggetti, rapporto produttivo di sempre nuovi oggetti, ma anche di strumenti per l’interpretazione.

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Quasi un laboratorio. ↔ Il posto dove si conservano gli attrezzi, dove si costruiscono oggetti, modelli di oggetti, utilità varie, si definisce laboratorio. Esso, comunque, non è luogo fisso. Cammina, si relaziona. Anche quando si riempie di polvere, il movimento non lo lascia in pace.

Il linguaggio. ↔ Tutto diventa percorso di guerra, attività impegnativa con cui si incalza, si snida, si cattura, ripresentando sempre il modello di un linguaggio avanzante privo di verificazione, protagonista solo di se stesso, custode di nessun tempio, svagato e oracolare, sempre in formazione e proprio per questo privo di informazione, ottusamente diretto ad alimentare l’infinitezza del tessuto, dove solo il sentimento della sconfitta finisce per restare, divinamente, certo di sé. Una raccolta di cicatrici.

Sempre più a fondo. ↔ Così si spingono sempre più a fondo, non solo la comprensione, ma anche il frastaglio dell’esperienza stessa, e sullo sfondo la totalità del reale. Tutto questo non deve fare pensare a una direzione di marcia, nel senso di qualcosa che si muova verso il basso. Niente approfondisce di più di ciò che si maschera dietro il mancato approfondimento.

Perché un libro di filosofia. ↔ Nessuna descrizione arriva a cogliere la realtà, perché ogni produzione è sempre produzione di oggetti, quindi artificio. Non posso uscire da questo vicolo cieco, e meno che mai posso farlo affidando il messaggio a un libro di filosofia.

Ancora più oltre. ↔ La narrazione, in quanto riduzione in vitro, non potendo essere altro che progetto analitico legato alle imposizioni della grammatica, non riesce a soddisfare pienamente il desiderio di arrivare all’estremo limite della realtà, e ancora più oltre.

L’oggetto della filosofia. ↔ L’oggetto della filosofia è certamente la realtà.

Perché la filosofia. ↔ Perché la filosofia? Per arrivare a quegli strumenti che consentono di capire la realtà. Analisi, giudizi, individuazioni di problemi e connessioni logiche, approfondimenti e delucidazioni di equivoci, errori, illusioni e miraggi.

La difficoltà e il suo contrario. ↔ Se la volontà è l’assolutamente in sé, la diversità è il suo contrario, l’assolutamente altro con tutte le difficoltà. Posso progettare questa avventura ma devo gettarmi dentro con tutto me stesso, cioè rischiare quello che la mia volontà non vuole mettere in gioco, quello che sono e quello che il campo pensa che io sia. Qui non è più questione di risolutezza, ma di inganno. Devo prima di tutto trarre in inganno me stesso.

Contro l’irrazionalismo tedesco. ↔ C’è stata una moda imposta dal marxismo, con condanne in blocco e assoluzioni che non convincevano. C’è stata una spiegazione di massima del fascismo inteso come connubio semplicistico tra capitale e manganello. C’è stato un ondeggiamento riguardo le tesi della destra. Accettarle per quello che sono, espressioni di una cultura dominante, o che aspira a dominare, oppure condannarle in quanto di destra e ricondurle al livello intellettuale del manganello? L’accademia ha sempre un po’ ondeggiato tra questi punti estremi. Per l’esistenzialismo tedesco si è fatta una distinzione tra adesioni e non adesioni al nazismo, quando un catalogo delle adesioni è di certo il minore dei problemi, come se coloro che da teorici dell’esistenzialismo negativo tedesco, non aderendo al nazismo dominante, possano dirsi esenti da critiche d’altro genere, anche di natura politica.

Alcuni chiarimenti riguardo la metafisica. ↔ Platone e lo sciamano androgino. Tutte le volte che si è assillati dalla necessità di dare conto delle proprie scelte, si finisce per declinare verso il tramonto, interrandosi da se stessi. La metafisica è il lato più piatto dell’amore.

Contro il determinismo. ↔ Tutti gli aspetti strettamente protocollari del campo riflettono la condizione di questo movimento della totalità del reale, distorcendosi nell’equivalenza tra potenzialità e possibilità. Ora, tutte le relazioni sono possibili, la loro totalità, come totalità del reale, non è possibile a un più alto grado, ma è necessaria. Questa non è la cattiva necessità del campo, che scende nei movimenti e pretende convogliarli all’interno del determinismo.

La forza delle cose. ↔ Epicuro. “Della scienza della natura non si avrebbe bisogno, se sospetto e timore delle cose dei cieli non turbassero, e non si temesse che la morte possa essere qualcosa, e non nuocesse il non conoscere i limiti dei dolori e dei desideri”.

Il territorio della desolazione1. ↔ Il sentimento della qualità, se mi si consente questo concetto discutibile, che vorrei usare anche per abbellire un poco il suo correlato concetto di territorio della desolazione, anche se dovesse sottostare alla logica del tutto e subito, non arriverebbe mai a sottrarsi completamente al regno della logica dell’a poco a poco. Resterebbe il vero absconditum.

Il suicidio tra tabù e processo di liberazione. ↔ Davanti alla paura e alla morte si è sempre soli. Nel rischio non c’è un valore educativo che sia trasmissibile, a parte la presenza dei cacciatori di futilità e colore. Tutta la lotta compenetrativa con l’inquietudine è incomprensibile per la differenza se non sono io ad aprirmi nell’affinità. Anche i lamenti o le dichiarazioni di paura, lo stesso suicidio, non costituiscono per la differenza che movimenti da orientare, cioè da pensare come qualcosa di esterno che occorre catalogare al più presto per continuare a vivere.

Il territorio della desolazione2. ↔ L’esperienza con la fantasia, nel territorio della desolazione, è esperienza della sconfitta. Posso parlare delle immagini fantastiche, e le mie parole non sosterranno il loro discorso, non riusciranno mai a cogliere e a fare cogliere il loro stile. Lontana dal mondo regolato del campo è Persefone la dominatrice, la dea portatrice di distruzione.

Il territorio della desolazione3. ↔ La paura e la differenza mi consentono di esperire il territorio della desolazione perché sono l’altra faccia delle qualità, non solo le antiche qualità orientate, delle quali avevo relativa esperienza nelle immagini sollecitate dalla fantasia della forma, ma le qualità nella loro pienezza che si dispiegano una nell’altra. La giustizia fluisce nella verità e questa in quella. Solo il mio movimento oggettivamente compenetrante verso la paura e verso la differenza, indirettamente, mi fa cogliere movimenti che la cosa non conosce in se stessa, e che io rubo e porto con me pure non essendo certo che questo sia l’unico metodo da impiegare, e nemmeno il migliore.

La penetrazione del fuori di sé. ↔ Il fuori di sé non è mai del tutto tale, esso resta sempre legato al sé. Ciò comporta una considerevole fallacia sia dei tentativi di penetrazione, come dei tentativi di fuga. In fondo, penetrazione e fuga si equivalgono, se tutto si gioca esclusivamente sul piano della forza, della conquista, della vittoria. Nulla è più possibile a questo livello, neanche l’agire. Lo stesso coinvolgersi si rovescia nel cominciamento tutt’altro che radicale, e viceversa.

L’altra via della penetrazione. ↔ Ogni relazione ha il suo filo spinato e i suoi interstizi dove il movimento può trovare ostacolo o possibilità di penetrazione. Tutto si gioca sempre tenendo conto del territorio della cosa. È qui che le relazioni si muovono liberamente.

Negazione critica pratica. ↔ Nel fare sta l’essere nascosto come impulso potente verso la negazione critica di me stesso. Per capire questo movimento occorre disfarlo fibra per fibra, fino a quando non un solo filo resta connesso con un altro filo.

Catalogazione. ↔ La follia di una catalogazione del mondo, anche nell’ambito circoscritto e perfino claustrofobico di un campo, si rivela impossibile a riempire fino in fondo, denuncia questa grande impotenza se volessi trovare riconferma dell’impossibilità di quello che il meccanismo accumulativo improvvidamente si propone.

Approfondimento dell’abbandono. ↔ Solo la qualità, per un attimo, può darmi lo scettro del fanciullo, consentirmi di rilanciare la palla senza un motivo, e per un attimo ma solo per un attimo sono libero. Dire questa libertà è certo possibile, ma si perde dentro il balbettio del bimbo. Eppure la libertà è una concretezza, se la vivo, anche per un attimo, e se anche la perdo subito dopo, non sarò mai più lo stesso. Perché insisto tanto nel misurare questo cambiamento? Non mi basta vederlo, sentirlo dentro di me, quando mi chiama al combattimento e alla ricerca di qualcosa di diverso? Non mi basta. Se mi bastasse mi chiuderei in una volgarissima nuova sicurezza. Quello che colgo in me di diverso, la mia nuova capacità di abbandono, non posso dirlo, è una forza nascosta che non parla, si nasconde nella boscaglia come il predatore, ma è pronta a saltare fuori e ad azzannare.

Ricognizione della cosa1. ↔ Nella ricognizione della cosa posso tenere conto soltanto di una piccola parte del vasto insieme di nozioni che ho accumulato, tutte riguardanti il senso o, al massimo, la produzione di strumenti in funzione critica. Non è con la scienza che posso conoscere la cosa, almeno non con la scienza del quantitativo. In questa fase devo fare mia la cosa, diventare io stesso la cosa, identificare i nuovi movimenti che mi stanno davanti e che si indirizzano all’oltrepassamento. E questo è possibile solo attraverso la critica.

Ricognizione della cosa2. ↔ Una ricognizione della cosa non sarebbe nulla se non fossi in grado di scendere in questo concetto di normalità al di là delle convenienze. Porterei solo cadaveri sul mio carro. Ci sono giorni in cui lambicco le solite faccende, gesti, parole, stati d’animo, e tutto quello che mi circonda, all’interno del quale inserisco quei gesti e quelle parole e da cui mi ritornano gli stati d’animo, esattamente quelli e non altri, tutto insieme mi sembra più chiaro e più leggero, principalmente più leggero, come se fosse possibile, improvvisamente, abbandonarsi dentro questa densità, lasciarsi andare a una passeggiata fuori di sé priva di scopo.

Per un’analisi della coscienza di classe. ↔ Conosco lo sfruttamento, la coscienza di classe, l’odio per chi mi opprime, il desiderio di libertà, l’amore. Tutti sentimenti, potrebbe obiettare qualcuno, modificazioni distinte dai pensieri esatti e precisi che sono tutt’altra faccenda. Non sono d’accordo.

Nella cosa1. ↔ La trasformazione ottenuta con l’unificazione del flusso, perfino il salto stesso nella cosa, riguardano vicende che fanno parte certamente del dispiegamento della realtà, cioè del suo movimento, ma non hanno caratteristiche tali, né di affievolimento, né di intensificazione, da portarle a una eventuale attenzione centrale. Anche l’avventura nella cosa è un realizzare progetti, un cogliere me stesso nell’azione, quindi un essere libero, ma non essere la libertà. Sono impotente a restare me stesso e accedere fino in fondo alla libertà, le due prospettive non stanno nella medesima effettività. Mi muovo verso la cosa, nell’azione, avendo un progetto che è alimentato dalla speranza di essere finalmente quello che sono, ma questo progetto, di libertà piena, assoluta, non è realizzabile, quello che posso appena sfiorare è l’avvicinamento a essere quello che sono, e l’uno mi invia la sua voce dal profondo dei tempi proprio per confermare questo mio sospetto.

Nella cosa2. ↔ È l’avventura nella cosa un abbozzo di valutazione sintetica? Non credo. La distinzione tra giudizio sintetico e giudizio analitico non coglie né il concetto di analisi, non potendosi parlare di analisi sintetica, né il concetto di intuizione. La qualità non posso sperimentarla nel mondo da me creato, essendo proprio la percezione su cui baso la mia creazione la condizione primaria di allontanamento della qualità. La logica del tutto e subito mi dà qualche strumento critico, non di più, non mi consente di capire la qualità.

Nella cosa3. ↔ Se entro nella cosa sono lì per sempre, ecco perché la soglia dove il sole mai si leva e mai tramonta. Dalla soglia non posso vedere dove mi trovo, pensare quel dire che voglio e perché, ma l’occhio vede forme che non può riferire alla mente. Se lo facesse la volontà lo castigherebbe obbligandolo a mortificarsi nell’adeguamento riferibile. Niente deve rammemorare quello che la cosa può suggerirmi, la novità che è ospitata nel mondo ha bisogno di governare indisturbata. Privazioni e storture sono in sostanza questo governo.

Nella cosa4. ↔ Nell’attività della cosa, a me completamente sconosciuta, utilizzo gli strumenti della penetrazione nella cosa e gli strumenti dell’accumulo che costruiscono oggetti, tutti e due non adatti fino in fondo, però parzialmente in grado di funzionare.

Nella cosa5. ↔ La coscienza diversa perviene alla percezione della qualità e perviene alla conoscenza della cosa, è presente nella cosa senza causare modificazioni in questa, almeno fino all’emersione della mia ulteriore spaccatura orientativa. Non vi è peccato, eccetto la stupidità. Per tutto ciò si ha una cognizione anche della forma, senza per questo chi sia innamorato possa dire che è l’amore, o chi sia malato e avverta un dolore possa dire che è il dolore.

Teatro della crudeltà. ↔ È abbastanza consolidata la sperimentazione teatrale che cerca di spezzare lo spazio tra attore e spettatore. Le intuizioni in merito si potrebbero fare risalire al Diciottesimo secolo ma adesso gli autori tedeschi e austriaci superano la barriera dapprima con un diverso gioco di luci, attenuando il buio della sala, poi con l’invenzione del palcoscenico girevole, poi con l’estensione della larghezza del proscenio unificando sala e palcoscenico in un unico spazio rettangolare, poi facendo entrare gli attori da rampe che corrono lungo la platea e dando un senso di maggiore organicità. Sono i primi passi per dare inizio a quel lungo processo che si concluderà con il teatro della crudeltà di Antonin Artaud. Questi tentativi di Artaud non possono essere considerati arcaici, né per l’epoca in cui furono realizzati né per la finitudine dei risultati raggiunti.

La logica dell’a poco a poco. ↔ L’insensatezza è troppo necessaria nella terra. Un tracciato ridicolo, se lo si considera dal punto di vista lineare, senza capo né coda, salvo a fare inghiottire al capo la punta della coda. Le vicende del primo livello della concretezza si riallacciano a quelle del secondo e del terzo livello, in un cerchio che contiene sia una critica negativa della logica dell’a poco a poco, sia un abbozzo positivo della realtà e del suo movimento.

Critica della ragionevolezza. ↔ La ragionevolezza non mi fa sputare nel piatto dove mangio, mi fa perdere il rispetto degli altri e di ciò che sono, divento codardo, disponibile alla catalogazione, al collezionismo, al possesso, alla vittoria, come tutti i paurosi che si attaccano a quello che riescono a stringere fra le mani, un pezzo di legno o la zattera della Medusa. Ma si può essere buoni lavoratori poco ragionevoli, sapersi districare nell’accumulazione senza essere collezionisti, maneggiare il rito senza diventare schiavi della cerimonia, lavorare con i protocolli e arrivare lo stesso a un mondo libero da ogni complesso di immediatezza.

Il problema della verità alle origini. ↔ Fin dagli inizi della storia dell’uomo ci è stato tramandato il mito della ricerca della verità. Ancora prima che la severità della filosofia e della scienza desse un senso ed un ordine particolare a questa ricerca, essa s’incanalava sulle ali della fantasia, dando origine a quelle trattazioni mitologiche che vanno considerate come utile mezzo per indagare la mentalità dei popoli primitivi.

Primi passi della logica dell’a poco a poco. ↔ L’idea che la lotta possa arrivare all’eliminazione del nemico è specifica della logica dell’a poco a poco. Con questa eliminazione mi propongo la liberazione qualitativa visibile e conteggiabile in modo quantitativo. Più nemici morti, più liberazione raggiunta. La linearità della ragione storica sostiene questa tesi, straordinariamente gravida di tragici misfatti. La lotta contro il nemico è una parte del mio coinvolgimento, e la sua distruzione, quantificabile in termini oggettuali, è una possibile fase della concretezza, modificativa o trasformativa, ma non è mai la conquista definitiva di una qualità. Un nemico morto non mi rende libero, come nessuna distruzione mi fa felice o buono. Sarebbe troppo facile. La logica storica preferisce invece affidarsi a un meccanismo lineare che progressivamente, attraverso distruzioni programmate dei cattivi, faccia emergere i buoni, perché il futuro sarà della libertà assoluta, dell’anarchia.

Che è la verità. ↔ Tucidide. “Le antiche vicende, dunque, risultano, alle mie ricerche, tali, difficile è certo farsene un’idea esatta, pure vagliando, in ordine, ogni testimonianza. Poiché gli uomini accettano gli uni dagli altri, senza alcuna ricerca critica, le voci che corrono sui fatti precedenti, anche se interessano il loro Paese. Era difficile la ricerca della verità perché quelli che erano stati presenti ai singoli fatti non li riferivano allo stesso modo, ma secondo che uno aveva buona o cattiva memoria, e secondo la simpatia per questa o quella parte. E forse la mia storia risulterà, a udirla, meno dilettevole perché non vi sono elementi favolosi, ma sarà per me sufficiente che sia giudicata utile da quanti vorranno indagare la chiara e sicura realtà di quanto in passato è avvenuto e che un giorno potrà pure avvenire, secondo l’umana vicenda, in maniera uguale o molto simile. Appunto come un acquisto per l’eternità è stata essa composta, non già da udirsi per il trionfo nella gara di un solo giorno”.

Una delle forme più avanzate della teoria verificazionista. ↔ Karl Popper. “Un insieme di asserti osservativi singolari, asserti di base come li ho chiamati, può falsificare o confutare a volte una legge universale, ma non può assolutamente verificare una legge, nel senso di dimostrarla”.

Critica dell’oggettività. ↔ C’è una differenza fondamentale, anche se non si presenta mai nettamente distinguibile, ma sempre come movimento, tra l’oggettività e la soggettività, concetti che è bene utilizzare poco a causa del rischio di confusione che comportano. La realtà è nella sua stragrande maggioranza oggettiva, il che vuole dire dotata di un dispiegamento totale oggettivo, cui si contrappone una trascurabile soggettività, cioè l’esistenza di un cominciamento diverso ma non radicale. Eppure questa trascurabile soggettività, che ho definito meglio come concretezza, ha prodotto il mondo dell’uomo, sia pure nelle dimensioni critiche e circoscrivibili del campo. In questo mondo la presenza dell’oggettività è diventata trascurabile ed è stata sostituita da una soggettività coatta o concretezza modificativa, o oggettualità, e da una soggettività creativa o concretezza attiva, o attività. La complexio oppositorum è consolatrice.

Critica della chiarezza. ↔ La chiarezza è uno degli schemi classici da cui sono velato quando la paura delle parole diventa troppo insistente, così vivo segretamente una mia vita inesplicabile, alla luce di ciò che tutti considerano chiaro, per convenzione.

Teoria della semplicità. ↔ Anche nella semplicità del dispiegamento della cosa, come nella totalità del reale, potrebbero essere visibili il movimento della tensione e del senso se l’oggetto riuscisse a possedere strumenti adeguati. Il fatto che questo non accade ha fatto sorgere il problema logico del cosiddetto cominciamento oggettuale.

Critica dell’ordine. ↔ Di fronte alle barricate non posso trascinare con me la poltrona di velluto dove sonnecchiano i miei fantasmi di completamento, devo decidermi ad abbandonare ogni piedistallo. Per un motivo inverso, ma parimenti sovvertitore, non posso nemmeno sogghignare in mezzo alle fiamme da me provocate perché so, fino in fondo, dove la questione va a parare. Dovrei sapere questa conversione drammatica di qualsiasi ordine preventivo, ma in effetti non ne sono sicuro fino in fondo, guardo lo sventolare degli stendardi da combattimento al vento della rivolta. Le parole finiranno per uccidermi.

Pierre-Joseph Proudhon. ↔ Non esistendo più il principio di identità, niente salva i nuovi dèi dall’andare a collocarsi proprio nel centro stesso del male, inteso nella forma terrena della sua realizzazione, il male non teologico ma altrettanto mefitico che oggi sono solito chiamare capitale. Come aveva intuito con anticipo sbalorditivo l’analisi di Proudhon, Dio è il punto di partenza e quello d’arrivo dell’economia, la sua molla essenziale in quanto scienza del capitale. Su questa intuizione di Proudhon ci sono stati tanti sorrisi di sufficienza da parte marxista, eppure, alla fine, ci si è dovuti mettere d’accordo sulla estrema estensione delle motivazioni che sollecitano così tanti presunti meccanismi della scienza economica.

Miseria. ↔ La vita si può anche accontentare della miseria modificativa ma è sempre qui, radicata nella possibilità che sfugge a causa della mia stupida incapacità, non è mai un vero e proprio tradimento dell’assenza. Questa fornisce sempre le sue possibilità, il destino è là davanti a me e lo posso costruire come mi pare, solo che spesso non ne ho la capacità, mi manca il coraggio, così mi lascio catturare dalla sicurezza e ripiego nel certo rinunciando all’incerto. L’assenza è l’assoluta indifferenza.

Stato. ↔ Importanti alcune considerazioni non di natura sociologica. Una definizione classica ha sempre la pretesa di farmi vedere nello Stato un meccanismo in azione ma ipoteticamente fermo, capace di mostrare tutti i suoi ingranaggi, le sue pulegge allo scoperto, per la gioia del ricercatore e lo stupore estatico dell’osservatore. Così si ha davanti agli occhi un meccanismo funzionante, colto dall’arte e dalla magia della scienza nell’attimo sospeso, al di là del movimento relazionale. I suoi componenti oggettuali risultano in questo modo visibili e lasciano individuare i flussi, il funzionamento, lo scopo. Al termine dell’analisi il ricercatore, dall’alto della sua sicurezza di scienziato, trae la carta vincente, quella dell’ideologia, e conclude, sarebbe il caso di dire secondo i suoi gusti, per l’ampliamento del meccanismo statale o per la sua riduzione, per la modificazione dei suoi scopi o per un capovolgimento completo della struttura.

Dio. ↔ Nicolás Gómez Dávila. “Per sfidare Dio l’uomo gonfia il proprio vuoto”.

Critica della normalità. ↔ Quanti impassibili assassini salgono sul treno ogni mattina per andare in ufficio. La loro violenza è norma e normalità, racchiude il senno del mondo, il senso del tempo. Negli sguardi ciechi che a stento trapassano l’aspetto di chi sta vicino non c’è altro che la paura del cane bastonato, il ricordo della catena e della frusta, il bisogno dello steccato protettivo. Date loro un mandato munito di bollo e vi massacreranno il mondo.

Equivoci anarchismo metodologico. ↔ Paul Feyerabend. “L’idea che la scienza possa, e debba, essere gestita in accordo a leggi fisse e universali è tanto irrealistica quanto perniciosa. È irrealistica in quanto considera in modo troppo semplicistico le doti dell’uomo e le circostanze che ne incoraggiano, o causano, lo sviluppo. Ed è perniciosa in quanto un tentativo di imporre le regole è destinato ad aumentare le qualificazioni professionali a scapito dell’umanità”.

Critica della classificabilità. ↔ L’illusione di una razionalità conclusiva credo sia stata messa definitivamente da parte e a questo riguardo bisogna ricordare le riflessioni sui protocolli della logica dell’a poco a poco, la ragionevolezza, la verità, l’oggettività, la chiarezza, l’ordine, la normalità, la classificabilità, la spiegazione, l’approssimazione, il compromesso, la specificità, ecc. In questo senso le difficoltà del discorso scientifico crescono parallelamente a quelle del discorso filosofico, contribuendo indirettamente all’oltrepassamento di una reale distinzione tra queste due esplicitazioni strumentali.

Critica della spiegazione1. ↔ Ogni affermazione che si propone come spiegazione può, a sua volta, essere spiegata. Una occasione fatta di parole può generare una qualche energia e stimolare verso la cosa, ma lo fa raramente, di regola non è che un’occasione fatta di parole. Spesso sono sordo alle parole, devo imparare ad ascoltarle meglio, dopo tutto sono loro che mi diranno qualcosa dell’agire, del mio stesso agire. Sono esse che raccontano una storia ai miei confratelli chiusi nella caverna, accecati dall’ignoranza e dall’odio, devono essere attendibili, altrimenti gli schiavi alla catena mi schiamazzeranno dietro.

Critica della spiegazione2. ↔ Ogni spiegazione causalistica rende ancora più oscuro l’insieme dei processi, più o meno considerati meccanicamente, che reggono la conoscenza attuale. È solo l’orgoglio dell’accumulo, che considera se stesso come casa della verità, che impedisce di ammettere questa limitazione come realmente operante. Nel mio destino c’è qualcosa che io ho messo appositamente a maturare, senza per questo poterlo prevedere, in dettaglio. Scelgo se decido tra A e B per motivi svariati, logici, morali, ecc., non scelgo se li prendo entrambi, A e B, se li faccio miei, se tengo lontano il carabiniere che controlla la mia volontà.

Gesù Cristo. ↔ Emilio Bossi, Gesù Cristo non è mai esistito, Edizioni la Fiaccola, Ragusa 1966.

Critica dell’approssimazione. ↔ Mi ritrovo così a elogiare il silenzio della cosa, e ciò nel frastuono del dire la concisione e la completezza dell’agire, e ciò nell’approssimazione e nella frammentarietà della rammemorazione.

Chiarimenti sul concetto di totalità. ↔ Il fondamento del pensiero non è nella parola ma nella cosa. Allentando il controllo della volontà, la parola perde contenuto di senso, mette da parte i suoi momenti in cui l’errore è fissato in formule considerate vere, e va oltre, più cosciente di sé, verso l’apertura. Non si arriva mai a una esperienza della parola compiuta, nel senso della sua assenza totale, e ciò nemmeno nel silenzio, ma si ha di mira questa sedimentazione in quella che considero la rivelazione del suono, la sua intrinseca capacità di condensarsi fino a sparire. La parola compiuta non ha bisogni, non è infelice, oltrepassa le condizioni infelici e bisognose e si avvia a dire la totalità.

Agire. ↔ L’agire inizia a prospettarsi davanti alla struttura, suggerendo prepotentemente le sue diversità nei confronti del fare coatto. Il rifiuto del fare come accumulo non corrisponde, come la struttura vorrebbe intendere subito, in base ai suoi protocolli interni, alla inattività.

Fare coatto. ↔ Certo, la coscienza immediata produce le idee analitiche allo stesso modo in cui produce gli oggetti, lo fa nell’ambito del fare coatto, per cui le prime e i secondi sono oggetti al medesimo titolo. Nella struttura gli oggetti coabitano insieme alle idee analitiche, in un assetto relazionale retto dalle regole quantitative, con tutti i problemi che questa situazione comporta.

Critica del compromesso. ↔ Per accettare l’avventura nell’unità occorre essere staccati da una decisione volontaria, in caso contrario c’è sempre una sorta di compromesso che apre una lacerazione senza fine, un permanere sulla soglia dell’apertura in un grandioso e tragico non potere decidere.

La servitù volontaria. ↔ Nel preparare l’edizione italiana del libro Étienne de La Boétie, La servitù volontaria, Edizioni Anarchismo, Catania 1978, ho preferito scegliere la traduzione ottocentesca di Pietro Fanfani al posto di una nuova traduzione, perché mi è sembrato si adattasse meglio all’indole del lavoro e forse rendesse meglio quell’atmosfera linguistica che, facendo i dovuti rapporti tra il francese del Seicento e l’italiano dell’Ottocento, viene fuori dall’originale.

La pratica scissa. ↔ L’antica unità assoluta, sollecitata dalla distinzione quantitativa, si è scissa per sempre, quindi non esiste.

Critica della specificità. ↔ Il viaggio non ha un praeludium chiaro e riconoscibile. Le condizioni di partenza non sono mai sovrabbondanza piena, hanno di certo una sensibilità e una disponibilità individuate con sufficiente specificità, ma non più di questo, non esiste una presenza dell’assenza. Fuggire via dal ritorno, evitare di rinchiudersi fino a toccarla dentro la bara, rinviare la propria insicurezza per farla proliferare e così corrispondervi a pennello, come un vestito su misura. Donarmi qualcosa che non possiedo, senza possederla dopo la donazione, rinunciare a inquadrare la donazione di me stesso a me stesso come la storia di un itinerario prefissato, di una certezza nascosta fra le pieghe dell’atteggiamento scettico, peraltro mai realmente accettato come vera e propria possibilità.

Critica dell’intenzionalità. ↔ L’intenzionalità viene strutturata rigidamente in assetti relazionali la cui installazione in modo sempre più difficile può essere posta in discussione. Si attua in questo modo il proprio sentirsi situati. Si attutiscono le inquietudini del campo che pure emergevano da condizioni interne, dagli stessi convincimenti della volontà, o da condizioni esterne, la considerazione interpretativa, riguardante sia il campo che il materiale da utilizzare.

La scienza. ↔ Edouard Le Roy. “Questi risultati sono più che sufficienti per affermare la contingenza delle verità scientifiche. Conosciamo la massa enorme di convenzioni, che sono alla base delle nostre teorie, convenzioni che si possono senza dubbio giustificare, ma che non hanno nulla di necessario, convenzioni la cui apparenza di obiettività deriva dal fatto che talune delle nostre scelte, libere e arbitrarie all’inizio, una volta fatte e stabilite ci impongono una serie di altre scelte che esse determinano univocamente. Concludiamo dunque con il dire, che la scienza non deve preoccuparsi di attingere non so quale verità esteriore, che si nasconderebbe bella e fatta nel reale come un metallo nel suo minerale, la missione della scienza è di fabbricare le stesse verità che essa cerca, la scienza è un’organizzazione sistematica delle idee”.

La rivoluzione sociale. ↔ La rivoluzione credo che non dovrebbe temere gli errori di grammatica, ma se vi inciampa vuole dire che molte trasformazioni le saranno precluse.

Critica dell’intenzionalità. ↔ L’intenzionalità è di già coscienza diversa, in quanto come immediatezza essa non ha una vera e propria intenzione ma subisce le condizioni del campo, se si vuole, dando vita a un cominciamento semplice perché in grado di cogliere le inquietudini che qui si diffondono. Non c’è pertanto il protendersi di Edmund Husserl verso il mondo, da lui inteso come la vera forma scientifica della filosofia, come il vero e unico positivismo, solo poi a scontare il fallimento di ogni ricerca diretta a trovare nella realtà vivente i fondamenti dell’aritmetica.

Donatien Alphonse François de Sade. ↔ I libri di Sade da almeno cento anni hanno libero accesso nella celebre biblioteca dei Duchi di Brécé. Oggetti corroboranti, come la spada e la cintura degli antichi cavalieri.

Critica del decisionismo. ↔ Avere il coraggio di quello che si pensa. Indirizzandolo diversamente, faccio uscire il mio pensiero dall’accumulo dove si trova a disposizione di tutti, per farlo diventare il mio modo di vedere la vita, allargandolo, rendendolo inquieto, sollecitando lo scontro con la volontà ordinatrice. Occorre allora dare corpo concreto a queste possibilità, senza falsi pietismi e senza illusioni millenariste. Senza fermarsi a metà strada, come la paura continuamente suggerisce, come suggerisce la normalità della vita, il senso comune, ogni bisogno di ordine e tranquillità. Niente può essere fatto con una semplice punta in più di decisionismo.

Il cristianesimo. ↔ Il cristianesimo non poteva capire che fermo restando lo scopo specifico di ogni singolo elemento della realtà non si sfuggiva alla contingenza e alla durata relativa dell’insieme. Da ciò trovò elemento per proclamare la nascita, nel tempo, della materia a opera di un qualcosa che materia non era, appunto Dio. Da cui la tesi, non più limitata alla produzione degli elementi della realtà, ma alla loro esistenza. Si fissava così l’idea di centro, tremenda conseguenza della distruzione di un mondo che aveva i suoi limiti, ma che era di certo molto più aperto e concreto e in cui la vita aveva un gusto e una pienezza che oggi sarebbe fuori luogo ricreare.

Riforma sociale. ↔ Più che una riforma sociale, forzando la modificazione si ottiene un nuovo progetto, quindi una nuova descrizione, anche questa in balia dei confini regolativi, e producendola mi sento di fondare tutto di nuovo, di vedere in un modo trasparente l’opacità dell’oggetto con un unico occhio. Scatto in avanti e mi convinco di marciare diritto verso un sapere che mai è stato violato, poi l’ebbrezza svanisce come capita spesso con le incognite delle matematiche, o con lo smeriglio di una luce incerta.

Giustificazione. ↔ Il gioco dell’accumulo quantitativo si risolve in una giustificazione della ipotesi statica, e questa ipotesi, a una minima analisi critica, si rivela instabile e approssimativa. La logica dell’a poco a poco promette una sistemazione progressiva, proposta di per sé plausibile oltre che allettante, che ben presto si rivela anch’essa infondata.

Ricchezza. ↔ Chi è vissuto tutta la vita cercando di accumulare ricchezze o riconoscimenti, non ha occhio per la bellezza del tramonto. Nel suo orizzonte non ci sono sfumature, la grossolanità lo domina. In questa condizione, la morte arriva sempre di sorpresa.

Vangeli. ↔ Origene si castra per portare alle estreme conseguenze il dettato dei Vangeli. Fuggire via, atteggiamento scettico, peraltro mai realmente accettato come vera possibilità. Qualcosa del genere ebbe a scrivere Lutero.

Agostino. ↔ La conflittualità di Agostino tra l’uscita dal nulla da parte di tutto quello che esiste, per cui si ha una parte proveniente dalla perfezione del creatore e una parte dalla imperfezione del nulla, divide ancora oggi il mondo tra quantità e qualità. In tutto quello che faccio c’è l’impronta negativa dell’incompletezza. Fuggendo da questa prigione mi affaccio alle soglie del vero e proprio positivo, la qualità.

Medioevo. ↔ Nietzsche. “Le ricette per diventare presso gli Indiani uno stregone, presso i cristiani del Medioevo un santo, presso i Groenlandesi un Angekok, presso i Brasiliani un Paje, sono essenzialmente le stesse, insensati digiuni, una continuata astinenza sessuale nel deserto o salire su un monte o su una colonna, oppure stabilirsi su un annoso pascolo, che guardi su un lago e non pensare assolutamente a nient’altro che a ciò che può portare a un’estasi e a uno scombussolamento spirituale”.

Tommaso d’Aquino. ↔ Il mondo si presenta “sub ratione ardui”.

Giustificazione della ricchezza. ↔ La ricchezza di quello che si desidera si infrange stupidamente, a volte, contro le mura del carcere che tutti si costruiscono, nella monotonia delle ripetizioni, degli orari, dei tamburi che battono il tempo per ogni rematore dell’utilità. Ma questo accade quando si resta prigionieri delle regole del controllo imposte dalla volontà. Capovolgendo la situazione la soddisfazione del desiderio può prendere la forma del distacco, operando considerevoli movimenti verso l’apertura. Non è insolito infatti un blocco del desiderio proprio a causa della ripetizione, garanzia assoluta dell’accumulo.

Niccolò Machiavelli. ↔ “Perché delli uomini si può dire questo generalmente, che siano ingrati, volubili, fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno, e mentre fai loro del bene, sono tutti tua, òfferonti el sangue, la roba, la vita, e figlioli, come di sopra dissi, quando il bisogno è discosto, ma, quando ti si appressa, e’ si rivoltano. E quel principe che si è tutto fondato in sulle parole loro, trovandosi nudo di altre preparazioni, rovina, perché le amicizie che si acquistono con il prezzo e non con grandezza e nobiltà d’animo, si meritano, ma elle non si hanno, et a’ tempi non si possono spendere. E li uomini hanno meno respetto ad offendere uno che si facci amare, che uno che si facci temere, perché l’amore è tenuto da uno vinculo di obbligo, il quale, per essere gli uomini tutti tristi, da ogni occasione di propria utilità è rotto, ma il timore è tenuto da una paura di pena che non ti abbandona mai”.

Pëtr Kropotkin1. ↔ Su Kropotkin c’è un gran discorso da fare riguardo la sua appartenenza a una corrente di pensiero scientifico che oggi ha fatto il suo tempo e che deve essere affrontata criticamente, però, nello stesso tempo, c’è un altro messaggio, c’è l’avere individuato una capacità autonoma del movimento inteso come processo rivoluzionario, non solo come parte della realtà. Muoversi a prescindere degli interventi che ognuno può fare.

Etica. ↔ Le interpretazioni finiscono sempre per suggerire applicazioni di leggi, magari non scritte ma altrettanto bene codificate, e la presenza di leggi presuppone diritti e doveri, più questi che quelli. Da qualsivoglia verso si prende in considerazione il problema della prassi, restano sempre le nude regole. La moralità innestata nel diritto non si salva per questo dalle sue logiche conseguenze correttive. La stessa approvazione generale non costituisce che un punto di vista morale, una ulteriore regola, un nuovo tipo di rossetto che tutte le ragazzine si affrettano a stendere sulle labbra rispettando la nuova moda. Questa narrazione è sconveniente per gli appassionati di certezze. Solo Kropotkin è decisivo per loro.

Mutuo appoggio. ↔ Se sento pienamente la mia vigliaccheria, divento più rigido e più bisognoso di appoggio da parte della coscienza. Questa, chiamata in aiuto, non fa che assolvere al suo compito istituzionale. Tira fuori dal senso quelle condizioni residuali che vengono gestite in maniera modificativa e me le propone come sfogo o sublimazione. Sopite così le mie paure, riconosciutomi per quello che sono, appunto un vigliacco, posso tranquillamente aprire la porta alla sensazione iniziale, lasciando che l’insieme delle relazioni mi penetri, sciolgo le mie membra, finalmente deciso a non correre più rischi, e vengo alla solita conclusione. Come si vede non sempre la difesa arriva sotto l’aspetto della sorveglianza armata, basta una semplice asserzione. L’immediatezza, al cospetto di movimenti potenzialmente sovvertitori, dialoga con se stessa, pronta sempre a fare scattare la tagliola repressiva nel caso in cui questo sdoppiamento non dovesse funzionare. Il dialogo accogliente non è quindi uguale alla difesa gestita dalla volontà, ha una logica indiretta. L’ordine ha una interruzione afasica, si apre apparentemente con l’intenzione di restare intatto, come progetto e come processo, mobili troppo folti in stanze anguste.

Pane. ↔ Il pane che ho in mano in questo momento non è quello che avevo ieri, non perché è stato prodotto stanotte dal fornaio, ma perché io sono qualcosa di differente, mi sono modificato stanotte e sul fare del mattino mi sono affrettato a nutrirmi in altro modo. Come l’essere immaginario di Bergson ho liquidato completamente la mia storia di ieri. Qui l’appoggio del discorso sta sull’altro. Alterità che non è pensata come tale, non posta e osservata, ma intuita come faccenda altra, ma su cui non so ancora come affaccendarmi.

Letteratura russa. ↔ Io non voglio e non posso credere, annota nel suo diario Dostoevskij, che il male sia lo stato normale degli uomini.

Colin Ward. ↔ Insieme a Murray Bookchin, due vecchie Marianne da municipio. Quello che chiamo moda è certo l’inserimento formato dalla convenzione tempo all’interno dell’oggetto, inserimento che nell’evolversi dell’industrialismo ha finito per assumere tempi suoi, dettati dalle necessità della produzione capitalista.

Critica della crisi. ↔ L’ideologia della crisi e dei ritorni mi sembrava andasse corretta con qualcosa di più sicuro.

Equivoci dell’abbondanza. ↔ Per José Enrique Rodò, scrittore uruguaiano, le propensioni più funeste e radicate del nostro spirito vanno verso la negligenza, la falsa spontaneità, l’abbondanza viziata, verso il disprezzo e l’ignoranza della parte cosciente e riflessa dell’arte, il disamore per quell’ideale di perfezione unicamente capace di generare le opere durature.

Dominio di classe. ↔ Walter Benjamin. “La progressiva proletarizzazione degli uomini d’oggi e la formazione sempre crescente di masse sono due aspetti di un unico e medesimo processo. Il fascismo cerca di organizzare le recenti masse proletarie senza però intaccare i rapporti di proprietà di cui esse perseguono l’eliminazione. Il fascismo vede la propria salvezza nel consentire alle masse di esprimersi, non di veder riconosciuti i propri diritti. Le masse hanno diritto a un cambiamento dei rapporti di proprietà, il fascismo cerca di fornire loro una espressione nella conservazione delle stesse. Il fascismo tende conseguentemente a un’estetizzazione della vita politica. Alla violenza esercitata sulle masse, che vengono schiacciate nel culto di un duce, corrisponde la violenza da parte di un’apparecchiatura, di cui esso si serve per la produzione di valori culturali”.

Legittimazione. ↔ Se la ragione è uno strumento instabile e limitato, non lo si può usare per legittimare le decisioni, ottenendo così in contraccambio anche la legittimazione dello strumento stesso. È un gioco eterno e privo di rischio, consolatorio, accomodante.

Disoccupazione. ↔ Alban William Phillips, economista neozelandese, e la sua curva.

Politica monetaria. ↔ “Lo Zahir, moneta ottenuta di resto al mercato, è il notorio, visibile novantanovesimo nome di Dio”, afferma Jorge Luis Borges.

Dominio. ↔ José Cardoso Pires. “Nel mio Paese non succede niente. Si muore a Occidente come il sole di sera”.

Critica dello storicismo. ↔ Gli anni delle prime riscoperte dell’empirismo in Italia, mi colsero di sorpresa, diviso come ero tra lo storicismo assoluto di Croce e l’esistenzialismo torinese. Poi, deluso dal secondo e ridottomi per curiosità a semplice lettore del primo, di cui ricordo qui con piacere le pagine iniziali della Teoria e storia della storiografia, fatta l’esperienza dei primi testi neopositivisti tradotti in Italia e cominciati gli studi di matematica e la lettura delle opere paretiane, mi avviai verso altri interessi.

Scritti sulla storia. ↔ Ogni evento diviene significativo collocandosi in un sistema puramente formale di relazioni date, del quale possono prodursi superfetazioni storicistiche all’infinito, senza che con questo si individui una direzione di sviluppo che non abbia bisogno di ulteriori sistemi altrettanto formali che giustificano e vengono giustificati, sono prodotti e si affievoliscono, nascono e muoiono. Qui è implicita l’assenza del fondamento, l’Ungrund di Böhme.

Introduzione1. ↔ Nella Introduzione alla Fenomenologia dello spirito Hegel lo dice molto bene. Quel che è limitato a una vita naturale non può da sé andare oltre la sua esistenza empirica immediata, ma è spinto al di là di tale esistenza da un altro, e questo fatto d’essere proiettato al di là è la sua morte.

Grande rivoluzione. ↔ Nietzsche. “In terra tedesca Schopenhauer e in quella inglese John Stuart Mill hanno dato la massima celebrità alla dottrina degli affetti simpatetici e della compassione, o dell’utile altrui come principio dell’agire, ma loro stessi furono soltanto un’eco, con un potente impulso quelle dottrine sono spuntate ovunque e contemporaneamente nelle forme più grossolane e più raffinate, all’incirca dal tempo della Rivoluzione francese, e tutti i sistemi socialisti si sono posti senza volerlo sul comune terreno di queste dottrine”.

Saggio. ↔ Inganni te stesso e gli altri con le tue fandonie, filosofo, così stupidamente saggio.

Tre. ↔ Ferecide di Siro vede il principio della realtà in una trinità divina rappresentata da Zeus, Cronos e Chthonia, dea della terra concepita come anima alla quale poi Zeus dona il corpo e cioè la terra materiale. L’inizio della generazione del mondo avviene quando Zeus si trasforma in Eros ed ordina la realtà in un’unica armonia che penetra tutto l’universo.

Elaborazione elettronica. ↔ Nella elaborazione di alcuni suoni mi è sempre parso di vedere un modo di contrastare le condizioni protocollari del campo, e non sto qui riferendomi alla produzione tecnologicamente utopistica, dove lo strumento elettronico è fatto intervenire per dare corpo a una nuova indagine sul suono, ma proprio a tutta quanta la produzione musicale anche quella cosiddetta emessa in modo naturale, anche quella la cui soglia è stata superara da tempo.

Anne Robert Jacques Turgot, barone di Laulne. ↔ Uomo di Stato ed economista, filosofo. Fece parte del gruppo dei philosophes, prese parte alla stesura dell’Encyclopédie. Esponente della “fisiocrazia”, teoria secondo cui i processi socio-economici come produzione, circolazione e distribuzione delle merci sono imposti dall’ordine della natura.

Jacques-René Hébert. ↔ Uomo politico e giornalista francese. Sostenitore della rivoluzione, fondò e diresse il giornale “Le Père Duchesne”, apparentemente sostenendo posizioni radicali con un linguaggio volutamente aggressivo. In contrasto con Robespierre nel marzo 1794 fu ghigliottinato.

Politica. ↔ Il discutere di vita o, peggio ancora, di slancio vitale, non vuole dire trovarsi con questo al di là del campo. Uno dei casi più clamorosi di questa apparente contraddizione è costituito da tutta l’opera di George Bernard Shaw, sia dalla sua attività politica e sociale all’interno della Fabian Society, con tutte le predicazioni più o meno santificate in merito al regno di Dio sostituito dal regno secolare dello Stato, sia dalla sua attività letteraria, con i tentativi di dare vita al tema del rapporto tra uomo e superuomo. Per quanto grande poté essere ai suoi tempi la fama di questo pedante e per quanto importante poté considerarsi l’insieme delle sue tematiche filosofiche e sociali, oggi non restano tracce apprezzabili né nella lingua inglese, tracce del suo modo di scrivere, né nel pensiero politico, e uno dei motivi va ricercato non nell’estremismo di quelle tesi, male fondate e male conosciute, ma nel fatto di essere state tenute a debita distanza dalla vita, in primo luogo dalla vita del loro autore, tutta racchiusa nelle convenzioni salutiste del campo, indossare lana pura, non bere né fumare, niente sesso.

Banditismo. ↔ Per quanto mi ingegni di non coinvolgermi, di colpo, come in un agguato di feroci banditi, la mia misera e protetta diligenza, viene attaccata nella notte.

Inedito. ↔ Specificando, mi specifico e tagliando la tensione mi privo della sua presenza. Non faccio tutto ciò in maniera puntuale. C’è qualcosa di inedito, su cui mi interrogo spesso. Non è una elegantissima stilizzazione, è sempre un problema di gusto e di misura.

Galileo Galilei. ↔ Cesare Cremonini, l’Introductio ad naturalem Aristotelis philosophiam e il suo rifiuto di accostare l’occhio al cannocchiale di Galilei.

Processo. ↔ In un processo di abbandono possibile, dentro certi limiti, si è voluto vedere il ruolo delle parole come circoscritto all’ambito dello stesso ordine di problemi, battuto dal vuoto di meditazione, mentre si aprivano spazi di silenzio, spazi differenti. Critica della dialettica.

Melisso di Samo. ↔ “E non c’è alcun vuoto: infatti, il vuoto non è nulla; e ciò che non è nulla non può essere. Allora l’essere neppure si muove; infatti, non può spostarsi in alcun luogo, ma è pieno. Infatti, se ci fosse il vuoto, si potrebbe spostare nel vuoto; ma, poiché il vuoto non c’è, non ha dove spostarsi. E non potrebbe essere denso e raro. Infatti il raro non può essere pieno nello stesso modo che il denso, ma il raro è senz’altro più vuoto del denso. E tra il pieno e il non pieno bisogna fare la seguente distinzione: se qualcosa fa luogo a qualcos’altro e l’accoglie, non è pieno; invece, se non fa luogo a qualcos’altro e non l’accoglie, è pieno. Dunque, è necessario che sia pieno, se il vuoto non è. E se, dunque, è pieno, non si muove”.

Karl Marx. ↔ “Ho criticato il lato mistificatore della dialettica hegeliana quasi trent’anni fa, quando era ancora la moda del giorno. Ma proprio mentre elaboravo il primo volume del Capitale i molesti, presuntuosi e mediocri epigoni che ora dominano nella Germania colta si compiacevano di trattare Hegel come ai tempi di Lessing il bravo Moses Mendelssohn trattava Spinoza, come un cane morto. Perciò mi sono professato apertamente scolaro di quel grande pensatore, e ho perfino civettato qua e là, nel capitolo sulla teoria del valore, con il modo di esprimersi che gli era peculiare”.

Dioniso. ↔ Dioniso indica la via nella sacra oscurità.

Spartaco. ↔ Spesso dietro gli ostracismi politici e sociali si nascondeva la paura contro il culto di Dioniso. Qualcosa di simile avvenne nel 73 a. C. nella repressione della insurrezione di Spartaco.

Comunismo antico. ↔ Un modo di vedere la vita, nuovo, fondato sul comunismo, viene da Paolo e dai suoi seguaci cambiato in una gestione organizzativa delle comunità, almeno fino a Cipriano, quando la conquista del potere permetterà il sorgere delle prime autocritiche.

Inquisizione. ↔ Per l’Inquisizione la spiegazione è sempre e solo il sospetto, che è il folletto nascosto di questo tipo di processo.

Dialettica. ↔ La forma triadica della dialettica sollecita, e ostacola, la struttura, in ogni caso contribuisce a farle vivere una vita più intensa.

Riforma. ↔ Quando i tiranni cercano di mediare realtà opposte e conflittuali, il culto di Dioniso si rivela come religione universale il più adatto a interpretare le esigenze religiose di tutta la comunità proprio perché svincolato dai gruppi ristretti. Su questo sfondo si colloca la riforma del ditirambo attuata a Corinto da Arione al tempo del tiranno Periandro.

Gentiliana. ↔ Anche tenendo conto dell’imbarcata fascista, c’è da dire che il pensiero di Giovanni Gentile, da un punto di vista strettamente tecnico, è senza paragoni con lo storicismo crociano.

Ape e comunista. ↔ L’ape e il comunista, op. cit. La critica marxista si autoinveste della capacità di operare una distinzione assoluta che separerebbe in modo netto l’economia borghese e l’economia proletaria. L’equivalenza marxista = proletaria è un passaggio non provato e non provabile. Se viene svolta una critica dell’economia su basi metodologiche marxiste si avrà una critica marxista dell’economia e, quindi, un’economia marxista; ma ciò non prova che un’altra critica dell’economia su basi metodologiche diverse dal marxismo (pensiamo alla critica su basi anarchiche) non possa essere utile strumento per la rivoluzione e per lo stesso proletariato. Caso mai bisognava dire che la critica marxista dell’economia rappresenta il punto di vista dei marxisti, che potrebbe essere utile per i bisogni rivoluzionari del proletariato (cosa da provare).

Henri de Saint-Simon e Marx. ↔ Nello stendere la loro critica definitiva alle posizioni filosofiche precedenti e, così facendo, nel prendere le distanze dall’idealismo tedesco, Marx ed Engels intendono utilizzare, tra l’altro, anche il contributo di Saint-Simon allo scopo di richiamare alla concretezza della storia, alla realtà del mondo della produzione, di fronte al vago dilettarsi delle formule filosofiche dell’hegelismo. Saint-Simon aveva indicato con chiarezza che lo Stato usurpava un’importanza che non meritava in alcun modo di avere. Lo Stato godeva di un potere fondato esclusivamente sulla struttura burocratica improduttiva e sul residuo della struttura repressiva militare, venutasi a staccare dal corpo sociale del feudalesimo. Egli aveva affermato, al contrario, che le forze vive e reali si trovano soltanto nella società civile. Analizzando i processi di modificazione della società feudale, aveva indicato come si fosse realizzata l’autonomizzazione della società borghese al suo interno e come l’indipendenza e l’allargamento della società dei produttori si fossero via via incrementati. Invece di affermare che lo Stato doveva farsi arbitro (anche con la forza) di questi interessi contrastanti (interesse generale contrapposto agli interessi particolari), Saint-Simon aveva affermato che la società industriale dei produttori era il solo luogo di organizzazione spontanea dell’attività razionale, la quale spontaneità veniva ostacolata nei suoi risultati migliori proprio dai resti di quel dominio politico e militare del passato.

Pëtr Kropotkin2. ↔ Non è vero che Kropotkin affida la costruzione del comunismo a una realtà in cui l’individuo è riconosciuto come il solo e unico elemento capace di sviluppare la dimensione della solidarietà. Ora se noi consideriamo da un punto di vista filosofico che il concetto di solidarietà e quello di egoismo si equivalgono perché sono semplicemente due condizioni negative che sostanzialmente dicono: l’egoismo è il contrario della solidarietà, la solidarietà è il contrario dell’egoismo, i due aspetti sono complementari. L’uno spiega l’altro e l’altro spiega il primo. Non esiste una definizione di egoismo come non esiste una definizione di solidarietà se non c’è l’aspetto nel riflesso negativo dell’altro. Kropotkin e Stirner, la forbice, dopo essersi aperta al massimo delle sue possibilità, si chiude.

Inclusi-esclusi. ↔ Il livello di disgregazione, pilotato e gestito dalle classi dominanti, le quali hanno tutto l’interesse a costruirsi zone privilegiate, possibili castelli teutonici all’interno dei quali arroccarsi per amministrare la loro condizione privilegiata di inclusi, tenendo a distanza e gestendo, con lo strumento principe dell’ignoranza, la costante pressione degli esclusi, si manifesta oggi a livello europeo e potrebbe domani assumere dimensioni mondiali. La disgregazione dell’impero sovietico ha determinato la più colossale spinta verso questo tipo di particolarismo, accentuandosi nelle regioni dove la specificità etnica non era stata cancellata in quarant’anni di comunanza forzata. Ed è questa specificità che si è fatta carico, quasi sempre, di sviluppare e adeguare alle condizioni del conflitto di classe in corso, l’elemento ideologico, fino a farlo pervenire alle esacerbazioni di ferocia e brutalità che è possibile vedere in atto nella ex Jugoslavia. Pur nelle diverse situazioni, e quindi malgrado l’estrema varietà dei comportamenti dei singoli Stati, emerge un andamento sufficientemente chiaro, che si può riassumere nell’ipotesi di disgregamento pilotato, oppure di passaggio dolce ad un altro tipo di gestione della cosa pubblica. La ricetta per questo passaggio è complessa ed in ogni caso, senza scendere troppo in particolari, si compone di un elemento amministrativo e di uno ideologico. Questi due elementi si compenetrano e si sostengono a vicenda, generandosi uno dall’altro, senza che né l’uno né l’altro possano escludere eventuali ricorsi a strumenti repressivi e a gestioni temporanee del potere che oggettivamente potrebbero essere visti come un ritorno all’antico. Il pragmatismo politico non arretra davanti a piccolezze di questo genere.

Michail Bakunin1. ↔ Lione insorge il 26 settembre 1870 e, proclamando la “Federazione rivoluzionaria delle comuni” sotto l’influenza teorica e pratica di Bakunin, dichiara “abolita” la “macchina amministrativa e governativa dello Stato”. Ma questa iniziativa non basta, essa viene schiacciata sotto la repressione del governo provvisorio.

Michail Bakunin2. ↔ Così, mentre Marx si sforzava di prevenire ogni velleità di abbattere il governo provvisorio, Bakunin e i giacobini si adoperavano a fare l’opposto, considerando la caduta di quel governo come urgente.

Michail Bakunin3. ↔ Bakunin non credeva, come Marx, che la classe operaia avrebbe dovuto aspettare la fine della guerra per tentare la rivoluzione: così facendo si sarebbe permesso alla borghesia di passare indenne per quel periodo che la vedeva maggiormente indebolita a causa della guerra e per la perdita del suo supporto tradizionale: l’Impero. Con la fine della guerra la borghesia avrebbe potuto prendere di nuovo in pugno la situazione, ricostituire un esercito regolare, facendo liberare i prigionieri dei Prussiani e quindi spezzare il tentativo insurrezionale operaio. D’altra parte se questi Tedeschi, condannati alla schiavitù e propaganti ovunque il flagello del dispotismo, avessero vinto, la causa del socialismo sarebbe stata perduta. Ma la sconfitta si sarebbe potuta evitare se la Francia si fosse ripresa in tempo, se cioè la rivoluzione si fosse estesa rapidamente in Francia. La sola possibilità di salvezza era trasformare la guerra imperialista in guerra rivoluzionaria.

Michail Bakunin4. ↔ “Annientata come Stato, la Francia non poteva più rinascere a una potenza nuova, a una nuova grandezza, non più politica questa volta, ma sociale, che mediante la rivoluzione”.

Michail Bakunin5. ↔ Quando si seppe della caduta dell’Impero, Bakunin ritenne venuto il momento di dare battaglia. Il 28 settembre 1870 insieme ai suoi occupò l’Hotel de Ville di Lione proclamando la Comune rivoluzionaria. Il cui primo articolo diceva: “La macchina amministrativa e governativa dello Stato, diventata impotente, è abolita. Il popolo di Francia rientra nel pieno possesso di se stesso”. Ma l’iniziativa fallisce a causa della scarsa organizzazione.

Michail Bakunin6. ↔ Bakunin non prese parte alla preparazione della Comune di Parigi. Dopo il fallimento dell’insurrezione di Lione, tutte le speranze da lui riposte nella Francia si erano affievolite, per non dire annullate: “non ho più alcuna fiducia nella rivoluzione in Francia, questo Paese non è più per nulla rivoluzionario”. Ciò nonostante egli era ancora dell’avviso che solo “la rivoluzione sociale avrebbe potuto salvare il popolo francese”. Ma i suoi amici e seguaci questa volta non lo ascoltarono: se a Lione si era fallito, ciò era dovuto al fatto che non ci si era preparati a sufficienza: per questo i parigini non erano ancora insorti e stavano preparando la loro rivoluzione. La battaglia era imminente: essi mettevano ordine nelle loro fila.

Valore simbolico. ↔ Plotino. “I saggi egizi dimostrano la loro profonda conoscenza impiegando segni di valore simbolico tramite i quali comunicavano intuitivamente, in certo qual modo, senza fare ricorso alla parola. Così ogni geroglifico costituisce una sorta di scienza o saggezza”.

Critica della coerenza. ↔ Per coerenza si deve intendere la fedeltà all’impegno accumulativo, la risposta ottimale all’acquisizione, fatta dalla immediatezza in modo tale da raggiungere un alto livello di illustrazione del senso.

Critica del calcolo. ↔ Per il coinvolgimento occorre disponibilità all’incredibile, allo sbigottimento degli altri, alla sorpresa e perfino al ridicolo. Non certezze o verità, di cui si nutrono i catalogatori del senso, ma coscienza del pericolo e attitudine alla sfida. Nemmeno calcolo, valutazione dei pro e dei contro, contabilità normale per chi della propria vita ha fatto motivo di considerazione positiva per gli altri. Ma nemmeno sconsideratezza aristocratica, piuttosto una durezza o una rigidità nello stesso essere disponibili a se stessi, nell’avventura della cosa, nell’intraprendere il viaggio nella cosa, dove nessuno può venire in aiuto a tirarti fuori dalla desolazione totale, nemmeno la considerazione che gli altri hanno di te. Né esaltazioni idealiste, né piagnistei di innocenti falsamente accusati, né sciolti dal destino che prendono danzare allegramente.

Anselmo Lorenzo. ↔ La Confederación Nacional del Trabajo, fondata nel 1910, era la continuazione della vecchia sezione spagnola della Prima Internazionale di Fanelli.

Introduzione2. ↔ Le mie avventure per trovare il primo libro del Capitale meriterebbero una pagina a parte, e qui scoprii, prima del testo, l’Introduzione di Pareto che, priva di valore, come venni a sapere tempo dopo, avendola il gentile marchese scritta senza avere letto l’opera marxiana, per me fu di grande importanza. Mi mise in sospetto verso Marx e, indirettamente, verso lo storicismo. A tanti anni di distanza, e dopo essermi immerso nel grande mare della sua principale opera, e dopo avere letto a lungo i Sistemi socialisti, e devo confessare con vero diletto, il mio pensiero riconoscente va a quelle poche pagine introduttive che mi hanno salvato da un destino verso cui andavano invece tanti miei coetanei, meno curiosi di me e forse non disponibili a sottoporsi a una disciplina di lettura tanto faticosa.

Otto Rühle. ↔ “La Russia deve essere posta per prima tra gli stati totalitari. Fu la prima ad applicare i nuovi princìpi statali. Fu la più rapida nella loro applicazione. Fu la prima a stabilire una dittatura costituzionale, insieme al sistema di terrore politico ed amministrativo che va con essa. Adottando tutti gli aspetti dello Stato totale, essa perciò divenne il modello per tutti quegli altri Stati che furono forzati a tagliar fuori il sistema statale democratico e pervenire ad un governo dittatoriale. La Russia fu l’esempio per il fascismo. Nessun accidente è qui degenerato, né un brutto scherzo della storia. La duplicazione di sistemi qui non è apparente, ma reale. Ogni cosa suggerisce che c’è da occuparsi qui di espressioni e conseguenze di identici princìpi applicati a differenti livelli di sviluppo storico e politico. Che ai partiti “comunisti” piaccia o no, rimane il fatto che l’ordine statale ed il governo in Russia sono indistinguibili da quelli in Italia e Germania. Essenzialmente sono uguali. Si può parlare di Stato sovietico rosso, nero o bruno, come di fascismo rosso, nero o bruno. Sebbene certe differenze ideologiche esistano tra questi Paesi, l’ideologia non è mai di primaria importanza. Le ideologie, anzi che no, sono mutevoli e questi cambiamenti non necessariamente riflettono il carattere e le funzioni dell’apparato statale. Inoltre, il fatto che la proprietà privata esista ancora in Germania ed in Italia è solo una modificazione di secondaria importanza. L’abolizione della proprietà privata da sola non garantisce il socialismo. La proprietà privata all’interno del socialismo può anche essere abolita. Ciò che attualmente determina una società socialista è, prima del farla finita con la proprietà privata dei mezzi di produzione, il controllo dei lavoratori sui prodotti del loro lavoro e la fine del sistema salariale. Entrambe queste conquiste sono inadempiute in Russia, così come in Italia e Germania. Sebbene qualcuno potrebbe assumere che la Russia sia di un passo più vicina al socialismo degli altri Paesi, a ciò non segue che il suo Stato sovietico abbia aiutato il proletariato internazionale ad avvicinarsi in qualche modo ai suoi risultati di classe. Al contrario, poiché la Russia si autodefinisce uno stato socialista, mistifica e delude i lavoratori del mondo. Il lavoratore pensante sa cos’è il fascismo e lo combatte, ma riguardo alla Russia, è solo troppo spesso incline ad accettare il mito della sua natura socialista. Questa delusione inceppa una completa e determinata rottura col fascismo, perché blocca la lotta di principio contro le ragioni, le precondizioni e le circostanze che in Russia, come in Germania ed Italia, hanno portato ad un identico sistema statale e di governo. Così il mito russo volge ad un arsenale di controrivoluzione”.

Basi reazionarie. ↔ Un suggerimento dall’alto produce sempre, come migliore conclusione, lo scetticismo, se non proprio una reazione estremamente ordinativa.

Partito Comunista Italiano. ↔ I guasti del partito e della mentalità dirigista, che per alcuni rigagnoli sotterranei erano riusciti a far capolino anche nelle nostre organizzazioni di sintesi, erano dopotutto limitati e meritavano i nostri appunti critici, come ormai tutti finiscono per ammettere, solo per la loro potenziale pericolosità non tanto per quello che avevano causato, almeno considerando la cosa in termini di rallentamento della spinta rivoluzionaria.

Fondo monetario e terzo mondo. ↔ Fine del mercato socialista, con le sue presunte soluzioni alternative, ma anche fine del classico mercato concorrenziale. Il capitalismo si trova adesso di fronte alla necessità di rinnovarsi radicalmente o perire. Ed ha dato dimostrazione, proprio nello svolgersi di tutta la seconda metà degli anni Ottanta di sapere rinnovarsi in maniera travolgente. Ed ha avuto fortuna. Il nuovo mercato possiede caratteristiche che il vecchio non poteva avere. La sua dimensione mondiale in primo luogo. Poi la sua informatizzazione, cosa che permette trattazione di affari in tempo reale e a livelli talmente grossi da rendere necessari nuovi accordi commerciali se non si vuole correre il rischio di rimanere vittime di impensabili crolli in borsa. Gli sbocchi costituiscono un altro elemento di novità. Non sussistono più i tradizionali flussi che ruotavano attorno agli USA o alla vecchia Europa. Nuovi Paesi si affacciano nel mercato, il Giappone e la Corea del Sud ne sono un esempio, ma altri, come l’India, potrebbero diventare produttori considerevoli e gestori di servizi con capacità tali da mettere in preoccupazione il resto del mondo. Infine la nuova colonizzazione del vecchio Terzo Mondo, il ruolo del Fondo monetario internazionale e altri elementi, rendono problematico il mantenere formazioni economiche stabili. Infatti, la caratteristica della nuova economia mondiale è l’instabilità.

Scuola. ↔ Alla maniera di Voltaire e di Pangloss un bambino non arriva alla maturità attraverso le facilitazioni e le carezze dei genitori o dei maestri della scuola libertaria. Da ragazzo mi indispettivano questi atteggiamenti di superiorità degli adulti, i quali mi annunciavano sempre una condiscendenza pelosa diretta a ottenere un servigio.

Critica del sindacalismo. ↔ I sindacati sono diventati sempre di più quello che sono sempre stati, compresi le eventuali frange reggicoda che non potevano avere sorte diversa. I lavoratori, colpiti in pieno dagli strumenti di disgregazione di classe, hanno rinculato fino a trovarsi con le spalle al muro. Guardandosi attorno hanno visto di essere rimasti soli, circondati da varie componenti produttive di riserva, disponibili a salari minimi, e hanno finito per perdere la fiducia in se stessi dopo averla persa nei riguardi dei loro dirigenti sindacali. Ormai questi ultimi, nei luoghi della produzione svolgono il semplice ruolo di cinghie di trasmissione con la classe dirigente degli inclusi, più che con quella politica dei partiti, disgregatasi anch’essa e in preda a problemi tutti suoi, dei quali, almeno in questa sede, non mette conto parlare. La pressione di gruppi ormai molto consistenti numericamente di precari, semi-salarizzati, non-garantiti, extra-comunitari e clandestini di ogni genere, è tale che ogni residua capacità di lotta dei produttori ufficialmente riconoscibili attraverso una linea salariale guida, per altro di semplice sopravvivenza, è soltanto un residuo mitologico. Anche qualche sparuta lotta improvvisa, che qua e là sembra esplodere, non ha alcuna connotazione capace di uscire dalla semplice rivendicazione minima che si risolve, quasi sempre, in una modesta richiesta di aumento salariale. Le esplosioni di rabbia sono altro, e da queste, come da manuale, il sindacato si mantiene lontano.

Mal di comunità. ↔ Hugo Tristam von Engelhardt jr. “La vita morale è vissuta entro due livelli o dimensioni, primo quello di un’etica laica povera di contenuto, che ha la capacità di ricomprendere numerose comunità morali divergenti, e secondo le comunità morali particolari entro le quali è possibile conseguire una concezione fornita di contenuto della vita moralmente buona. La prima è difendibile sulla base di argomenti morali generali riguardanti la natura dell’etica. Questo livello fornisce alcune conclusioni morali assolute e universali, anche se povere di contenuto. Il secondo livello fornisce delle visioni alternative della vita moralmente buona, comprese delle concezioni concrete delle virtù e dei vizi”.

Michail Bakunin7. ↔ “I nostri amici socialisti di Parigi hanno pensato che una rivoluzione sociale non poteva essere fatta e condotta al suo completo sviluppo che mediante l’azione spontanea e continuativa delle masse, dei gruppi e delle associazioni popolari”.

Tecnologia. ↔ La produzione di oggetti è fatto tecnico, e la riflessione organizzata su questo fatto è la tecnologia.

Nuovi materiali e mondo del lavoro. ↔ Nel persistere di una condizione d’incertezza, nessuna decisione partecipativa potrà essere presa, restando fermo un comportamento coerente dei datori di lavoro e dei rappresentanti sindacali. In caso contrario, subentrerebbero variabili politiche che qui non è il caso di esaminare. Ogni negoziazione su integrazione salari, riqualificazione lavorative, mobilità della manodopera e così via è il segnale della persistenza di aree conflittuali superate, capaci solo di dare vita a false contrapposizioni e quindi al costante recupero di ogni spinta verso un dissenso radicale ed efficace. Questo, proprio per indicare il vero ruolo di ogni rappresentanza sindacale. Ma, considerando la cosa da un altro aspetto, almeno altrettanto importante, c’è da dire che questo modo di porsi, taglia di netto ogni possibilità di intervenire nelle scelte aziendali in merito alla ristrutturazione tecnologica e ai nuovi materiali. Nessun sindacato potrebbe oggi imbarcarsi in una lotta dall’esito tanto incerto quanto contraddittorio, avente per base un rifiuto delle innovazioni tecnologiche fondate sulla robotizzazione dei grandi impianti. Non esiste strategia alternativa plausibile, non esistono dati certi su cui fondare una discussione. Esistono programmi a breve e a brevissimo termine, tentativi di dissuasione improntati ad una prudenza calcolata e meschina, difese corporative del posto di lavoro, poveri accenni alla riqualificazione della manodopera.

Vivere la vita. ↔ Il versante oggettivo potrebbe identificarsi come una sorta di zona luminosa che accompagna la coscienza immediata, una regione non facilmente coglibile partendo dal senso, che costituisce una delle componenti più importanti di un certo modo di vivere la vita. L’affinità parte da qui? In alcune persone questo alone vitale è più visibile, in altre meno, allora si dice che queste ultime sono smorte, cioè somiglianti a cadaveri. È questa la condizione più diffusa. Il versante oggettivo si presenta vivido in poche persone. Si tratta, non posso affermarlo in maniera assoluta, di persone non finalistiche, cioè che non pongono lo scopo da raggiungere come il fatto più importante della loro vita, persone che sono contro l’utilità e che si sentono spesso, proprio per questo, inutili.

Approfondimento. ↔ Lo sforzo di oltrepassamento dell’apertura non è un tutto unico che si muove con pretese di totalità. L’insieme di questi movimenti che si incontrano sull’apertura è molto incerto e agitato. Si tratta di uno dei punti più oscuri di tutto lo spostamento verso la cosa. Si possono usare i concetti di approfondimento o di discesa, ma questi corrono il rischio di risultare polivalenti. A volte hanno un significato, a volte un altro, anche se non si può parlare di profondità fisica nel senso comune del termine.

La realtà. ↔ Non è facile ammettere che la realtà è al di là di ciò che l’uomo pensa siano le colonne d’Ercole dei suoi sentimenti, dei suoi desideri, delle sue speranze. L’illusione che l’uomo sia il centro del mondo è una strana illusione, dura a morire, che ha fatto considerare l’assolutamente altro come un’immensa risorsa da sfruttare, più o meno bene, ma da sfruttare. È questo che fa considerare la follia come un viaggio verso il nulla, mentre sto attraversando con una traccia fuori di luogo un territorio che è soltanto parzialmente il mio per cui, dal punto di vista della coscienza immediata, appare desolato, desueto.

Il movimento. ↔ Non si deve dimenticare che il movimento è sempre uno, tiene del dispiegamento della cosa che non ha finalità, ed è ingombrato nel campo dall’esistenza delle regole. Ecco perché appare come continuo in maniera falsa per cui non è difficile dimostrare la conchiusione di ogni momento concettuale e produttivo.

Il campo. ↔ Oltre a una serie di regole, quasi sempre parzialmente conosciute, il campo è inteso dalla coscienza immediata come movimento, cioè come insieme strutturale fornito di caratteristiche unitarie. Che questi aspetti unitari non siano globali è questione ormai chiara, resta da vedere se vengono colti per quello che sono e se producono conseguenze strutturanti proprie sulla immediatezza. L’uomo vive nel campo e questo è il suo territorio di riconoscimento, è qui che riceve dalla differenza la connotazione relazionale di uomo, che è essa stessa una differenza importante, protagonisti e comprimari insostituibili.

Lo spazio. ↔ Lo spazio è una caratteristica del mio mondo, quello delle misurazioni e delle utilità, della logica dell’a poco a poco, per come lo conosco attraverso il campo. Se la cosa viene trasformata in oggetto entra nello spazio sociale attraverso il meccanismo accumulativo e vi acquisisce lo statuto dell’oggetto che è la struttura. Tutte le volte che considero la realtà dal punto di vista del campo creo uno spazio sociale, anche se prendo in considerazione uno spazio che invece insisto a definire prettamente fisico.

Il tempo. ↔ Il tempo di cui dispongo è elastico, le passioni che provo lo dilatano, quelle che ispiro lo restringono, l’abitudine lo colma. Ciò riprende perfettamente l’antica definizione di Agostino, vecchia di più di diciassette secoli, che il tempo è la mia coscienza, che conosco benissimo, in quanto tempo, se nessuno me lo chiede, ma che non so spiegare non appena qualcuno mi pone domande in merito.

La struttura. ↔ Krzysztof Pomian. “La struttura è un insieme di relazioni razionali e interdipendenti di cui la realtà è dimostrata e la dimostrazione data da una teoria, che costituiscono, in altre parole, un oggetto dimostrabile, e che realizza un oggetto visibile, ricostruibile o osservabile di cui esse condizionano la stabilità e l’intelligibilità”.

La forma. ↔ Carl Gustav Jung. “Lo spazio è forma, e poiché lo spazio permea la forma, la forma è spazio”.

Effettualità interpretativa. ↔ È la relazione con la cosa che dà alla effettualità interpretativa la sua consistenza realmente trasformativa, ponendola al di là del lavoro preparatorio deformativo. E la cosa, con i suoi ritmi agili e sobri, sa bene leggere nel tessuto interpretativo costituito da contenuti deformati, cioè sottratti alle regole della logica dell’a poco a poco. Nulla a che vedere con la precisione.

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Immediatezza. ↔ Non c’è necessità nella immediatezza, ma non c’è neanche libertà, anzi l’assenza di questa è più evidente di quella della necessità. Il meccanismo riproduttivo delle modificazioni ha quasi un percorso obbligato, una sorta di economia delle strutture, a volte perfino necessaria, se con ciò ci si potesse limitare a una considerazione di prevalenza, oserei dire quasi statistica, senza andare a finire in un andamento deterministico, in una essenza che giace in vista di dare vita a qualcosa d’altro.

Orientamento. ↔ La conoscenza analitica è riduzione rappresentativa, orientamento di senso. La riduzione rappresentativa o, più semplicemente, l’orientamento è scomposizione di un qualcosa della cosa in tensione e senso. L’immediatezza è costretta a ciò perché non coglie che la quantità. Ogni suo intervento ha natura ordinativa e razionale.

Concetto. ↔ Sigillato dalla nominazione, il concetto viene prodotto come oggetto.

Modificazione. ↔ Le esperienze sono sufficientemente strutturate sulla base delle regole del campo. In quanto prodotti della modificazione, difficilmente corrispondono a quello che, per la coscienza immediata che le conosce, costituisce il modo di intendere la modificazione stessa.

Coinvolgimento parziale. ↔ La manifestazione e l’uso di strutture non sono altro, nel loro insieme, che una produzione sempre più complessa, caratterizzata da un coinvolgimento parziale.

Oggetto. ↔ Io ho cognizione dello spazio e del tempo in base ad accordi reciproci che conosco a priori o di cui ho vaga cognizione. Così, un oggetto ha la propria estensione e la propria durata, e sarebbe errato dire che ha il proprio spazio e il proprio tempo. Questi ultimi sono concetti protocollari in base ai quali percepisco l’estensione e la continuazione, senza con questo che sia il medesimo concetto a permanere identico.

Effettualità superiore. ↔ Occorre chiarire che se l’apertura è un passaggio questo non esiste se non in quanto è oltrepassato come soglia, nel momento in cui io sono al di qua è la coscienza immediata che si muove e l’apertura ancora non c’è, nel momento in cui sono al di là è l’effettualità interpretativa che si muove e l’apertura non c’è più. La realtà potrebbe benissimo essere questa, il narrarla non può essere soltanto questo. Nell’interpretare impiego contenuti e tecniche che sono con me e non affluiscono successivamente al mio passaggio. L’apertura è quindi relazione puntuale.

Interpretazione. ↔ L’interpretazione, con cui si apre il territorio successivo all’apertura, è lacerazione non adulazione. Un rigoglio di prodigi. Non interrogo i contenuti degli oggetti, non approfondisco le regole, le apro fino alle viscere, mettendo a nudo una geometria incognita.

Diversità. ↔ Se la visione che comprende la diversità è follia, questo fatto è prodotto nel campo ed è reso possibile dall’avere considerato centrale, nell’ambito dei protocolli, il desiderio dell’utilità. Ogni desiderio di completezza che non parta dagli itinerari conclusivi del campo, è considerato follia. In questo modo è la follia a giustificare l’utilità. In una condizione collettiva, in cui tutto è unificato dal funzionalismo utilitarista, il contrario è follia.

Interpretazione. ↔ Adesso, l’interpretazione è la coscienza coinvolta, i due aspetti si sono unificati nell’espressione della diversità, il nuovo modo in cui questa unificazione si presenta è quello della coscienza diversa. La diversità non è coinvolgimento, attraversamento dell’inquietudine, l’apertura e tutto il resto, è tutto questo insieme, tutto questo più altri movimenti dell’oltrepassamento.

Distacco. ↔ Dall’esterno non avverto il distacco mentre sento intensificarsi la testardaggine delusa dell’accumulo, che si tiene con tutte le sue forze.

Deformazione. ↔ Nell’apertura si verifica una deformazione dei processi percettivi e quindi una differente considerazione.

Lavoro d’arte. ↔ Se l’interpretazione è lavoro d’arte sui contenuti è un processo che si sviluppa verso una progressiva afasia. Nel corso di questo processo c’è pertanto una sostituzione progressiva della narrazione con la vita. Io non parlo più, agisco. Se parlare è anche agire, non è detto che i due movimenti non possano scomparire l’uno nell’altro a favore dell’esperienza silenziosa della cosa.

Trasformazione. ↔ Questo mondo non è poi da buttare via, basta trasformarlo, e questa trasformazione non attiene alle regole che lo reggono, quanto alla completezza dell’uomo. Fino a quando egli si sentirà incompleto, e quindi disilluso dalla proposta produttiva di progressione nel tempo, non ci sarà modificazione che possa rendergli abitabile il mondo. La storia non va verso un miglioramento, lascia che nel mondo sussista l’incompletezza dell’uomo. Ogni tesi progressiva di miglioramento cerca di utilizzare l’imbroglio quantitativo.

Coinvolgimento totale. ↔ Il punto di rottura si ha nel dono di sé a se stessa, che per la coscienza immediata è coinvolgimento totale, richiamo di sé all’interno di sé. Da questo punto in poi tutta l’esperienza nel campo viene ad assumere una particolare capacità critica, si rende conto essa stessa, in quanto vita capace di identificarsi in un insieme dotato di caratteristiche e corrispondenze, di essere incompleta in modo irrisolvibile.

Idea. ↔ L’interpretazione e la fase finale della intensificazione nella idea della cosa sono azioni contemporanee o, comunque, movimenti talmente intensificati che si sperimentano solo in maniera puntiforme.

Profondità. ↔ La brutalità del dire e la sua profondità fanno parte dello stesso movimento, mi appartengono allo stesso modo, sono io che le coltivo, prospettive del mio discorso. Valori cromatici, linee e strutture si moltiplicano nella loro corsa verso la vita.

Sviluppo della critica. ↔ Il nuovo orientamento, il narrare circolare, è reso possibile dall’esperienza nella cosa, in caso contrario non ci sarebbe niente da narrare, e principalmente dal fare modificativo, dal grande operare nel mondo, dall’avere sviluppato la critica e la sfumatura, dall’incertezza accettata dalla coscienza immediata come sua condizione caratteristica di vita e, infine, dal progetto di perdita intravisto e che adesso, dopo l’esperienza nella cosa, può organizzarsi in modo concreto. Folli erano chiamati gli iniziatori del percorso verso la cosa, e per molti aspetti tali vengono chiamati anche ora.

Regole del campo. ↔ La coscienza immediata rispetta le regole del campo, ne accetta anche l’illusione quantitativa, e ciò non svuota mai del tutto questa forza immediatizzante, per cui tutto, regole e illusioni, progetti e acquisizioni, devono entrare nel fare coatto, l’estrinsecazione della coscienza immediata nel mondo, la sua vita. Strumento di umiliazione e mezzo produttivo.

Indirizzarsi verso l’inquietudine. ↔ La tensione della voce della cosa esprime la desolazione del contenuto, l’assenza e la solitudine, ma si riferisce a tutto quello che questo insieme lascia intendere a chi sa ascoltare, apre il capitolo della critica alla presuntuosa pienezza della modificazione. Si allarga quella voce e viene ascoltata in modo più pressante, chiama a sé, non lascia tranquilli e non promette pace di fronte all’inquietudine del fare. Cerco di capirla ma non so tradurre quel suono, per me disarticolato, disumano.

Scendere. ↔ Si può sempre scendere nel dettaglio, il corpo può quasi penetrare nel lenzuolo e rinserrare la propria agitazione tradendo l’apparenza, ma può anche non farlo. Lasciare perdere, ecco tutto. La serenità è una condizione avara che lesina sulla molteplicità della vita, ma non può essere cancellata con un colpo della spugna logica.

Restare nell’immediatezza. ↔ L’immediatezza ha piena coscienza dei rischi della parola. Non per nulla si è sempre accennato al potere creativo del verbo, nei confronti del quale la realtà accumulativa conserva una inferiorità vicaria da cui non è facile venire fuori.

Apertura. ↔ Che la cosa possa tornare a schiudersi col suo caos sbadigliante nel proprio dispiegamento desolato, è quello che chiamo apertura alla diversità.

Salto. ↔ La prospettiva della cosa brucia tutte le potenzialità dell’itinerario diverso. Propone subito al salto quello che il salto non si prefigura, l’estrema conseguenza della desolazione.

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Apertura. ↔ Il luogo dell’inquietudine resta sempre il fulcro dell’apertura. La volontà non può uscire dal campo.

Altro. ↔ L’altro me stesso, l’uomo della luce tagliente, preferisce che gli altri gli gettino addosso la loro attenzione. Se la volontà produce, l’inquietudine disvela in quanto essa non è soltanto la coscienza di quello che manca ma anche di questa stessa mancanza in quanto inquietudine.

Epoca. ↔ Un investimento troppo oneroso che oggi mi fa arrossire. È l’esecrato cicaleccio dei convegni, ripristinanti oscenità ideologiche, croccanti e muffite.

Incognita. ↔ Io sono la paura incognita. Il vecchio fighter si è risvegliato. Io sono il mio futuro, il mio destino ora è nelle mie mani.

Innamorata. ↔ Nelle condizioni attuali del campo molto dipende dalle capacità narrative vere e proprie, in base alle quali io costruisco la mia adesione innamorata. Posso quasi sentire il profumo della forma, ma non sono nelle immagini fantastiche che la forma mi propone, solo che mi sento capace di movimenti primordiali, all’interno dei quali il per questo fissa le mie condizioni d’affinità.

Anche io. ↔ Anche io sono un oggetto, e quindi una struttura, e nel campo non solo produco gli altri oggetti e le altre strutture, produco anche me stesso e il mondo.

Come è. ↔ Non è pensabile che la vita sia tenera con il vivente, essa è come è, con quell’eccesso che la caratterizza come possibilità dell’esprimibile.

Eco. ↔ Qui è la voce della cosa, la sua eco remota e profonda che mi chiama, spesso in maniera toccante e intima, e a cui indirettamente rispondo parlando alla mia vita.

Versante oggettuale. ↔ È il versante oggettuale della coscienza immediata, dominato dalla volontà, che rigetta ogni rifiuto dell’empiria, ogni tentativo di cercare un destino differente al proprio fare individuale. L’insieme di questi percorsi invecchia rapidamente, si solidifica e muore.

Soggettivo. ↔ Georg Wilhelm Friedrich Hegel. “Il pensiero nel suo aspetto più prossimo appare anzitutto nel suo ordinario significato soggettivo, come una delle attività o facoltà spirituali accanto ad altre, alla sensibilità, all’intuizione, alla fantasia, all’appetizione, al volere, ecc. Il prodotto di questa attività, il carattere o forma del pensiero è l’universale, l’astratto in genere”.

Effettualità altra. ↔ Fra la mia condizione di sofferenza e la prospettiva di un sollievo c’è il sogno, l’effettualità altra, la gioia estrema e assurda, la pienezza della libertà. È questa terza linea di corrispondenza che tra lusco e brusco mi riveste di luce improvvisa. Non c’è più l’impossibilità del ristoro, c’è la felicità del congiungimento appianante, l’inclusione che assolve e comprende, concetti dimenticati.

Effettualità mondana. ↔ La vita è un progetto che faccio nel mondo. Posso scegliere liberamente questo o quel progetto? Apparentemente sì. Considerando questo progetto all’interno della effettualità mondana, non del tutto. Questo non del tutto equivale a quella condizione di necessità che regna nella modificazione produttiva, necessità non completa né libera.

Parentesi. ↔ Il concetto stesso di accantonamento, di messa tra parentesi, di chiamarsi fuori, è un protocollo che comprende, e giustifica, nel momento stesso del rifiuto, l’esistenza e la validità dei protocolli.

Vischioso. ↔ La struttura, realtà rigida per eccellenza, dotata di un movimento vischioso, non facile a cogliersi, deve invece potersi considerare come strumento di luce, mezzo di conoscenza. Ciò può avvenire solo nel capovolgimento delle rigidità modificative, ma allora vengono a cadere anche i luoghi della conservazione e della consolazione, sui quali mi sembra opportuno fermarmi ancora.

Somigliare. ↔ L’azione deve somigliare di più a una grande abbuffata, non all’attesa crudele in una sala d’ospedale sotto un vecchio pendolo che scandisce inesorabilmente i movimenti del simulacro temporale. Un convito, immagine ideale ed eterna, forse, delle idee al lavoro, la vita che ricomincia la sua rincorsa sempre diversa senza farsi troppo avvilire dagli dèi incompatibili, dalle delusioni e dalla inesausta fattività che tutto vuole sottoporre al controllo dei collezionisti litigiosi e corrucciati, tristi frequentatori della convenzione protocollare.

D’oro. ↔ La monade come città in sé conchiusa è femminile, fa pensare al fiore d’oro in Cina.

D’altro. ↔ L’intuizione di qualcosa d’altro finisce per prendere il sopravvento. Questa intuizione è oltrepassamento delle regole del campo nel momento stesso in cui queste scalzano la normale modificazione orientativa. Il movimento del senso viene così sollecitato fino in fondo e si apre intuitivamente a qualcosa di diverso.

Di affinità. ↔ E tra strumenti e coscienza cresceva a poco a poco un pigmento di affinità.

Di affetto. ↔ Il mio demone non mi ha mai fatto mancare il suo sostegno, il suo tipo particolare di affetto, sollecitandomi fino alla follia verso l’eccesso. Questa spinta è il suo modo di essere dolce con me, il suo modo di parlarmi all’orecchio, di farmi compagnia nelle lunghe notti passate sui libri, lui, incapace di dormire, dedito a tenermi sveglio richiamando la mia attenzione sugli argomenti più inverosimili.

Di apertura. ↔ Se accetto di appartenere semplicemente e completamente al campo, devo anche accettare di diventare quello che appaio, oggetto fabbricato all’interno del campo, sospendere ogni desiderio di apertura, ogni turbamento, ogni strana contraddizione che non posso impedirmi di cogliere a ogni momento. Un esercizio debilitante.

Di avere. ↔ Un libro è sempre una sorta di aggressione, non rispetta le regole, parla a sproposito e quasi sempre pretende di avere ragione senza motivo.

Di agire. ↔ Più la nuova angoscia tende a riprodurre la vecchia e più si cerca di reagire pensando di avere diritto a qualcosa di più lieve, a una retribuzione a causa delle pene patite. Niente di più errato. I fantasmi non hanno busta paga e non passano la dogana presentando i documenti. Spesso la paura del ridicolo frena ogni volo e lo richiama ai limiti essenziali, un balzo di animale da cortile.

D’amore. ↔ Il bordo vibrante della foresta, un alito d’amore. Dov’è il sentiero?

Tratto a. ↔ Nella deformazione non c’è nulla che non sia già nel contenuto, ma la carica della cosa aggiunge una qualità simbolica che prima non c’era, e questa qualità si trova nel contenuto stesso, come elemento tratto a sé dall’azione del dispiegamento della cosa, non dalla intenzionalità della immediatezza che ha fornito il contenuto.

Convinto. ↔ Sono convinto che questo contrasto, nei termini in cui è stato visto dall’idealismo trionfante, non possa esistere, in quanto anche nell’essere che tranquillamente è, c’è sempre un’apparenza sia pure limitata, e viceversa, nell’apparenza che nel buio si travaglia per essere, e non è, si può sempre individuare un essere sia pure affievolito. Il fatto qui è che il concetto di essere non è praticabile.

Portato a. ↔ Non appena l’intensità mi avverte di questo scendere verso la cosa, sono portato a tornare a salire verso la struttura, voglio avere qualcosa di solido sotto i piedi, solo la cupola incombente conferisce quiete. Così, il bisogno di certezza mi spinge in braccio ai miei amati fantasmi e mi allontana dalla realtà.

A grado. ↔ Non si deve dimenticare che la relazione, nei suoi orientamenti, a grado che si avvicina col proprio movimento al senso, ripete i contrasti e le contraddizioni, mentre, a grado che si avvicina alla cosa queste opposizioni scompaiono, eppure la via è sempre una, la relazione è sempre quella, posso dire che non c’è un momento netto di separazione tra presenza della contraddizione e assenza.

Mano a mano. ↔ La coscienza che attraverso la sua parte inquieta si inoltra nella cosa, elimina mano a mano tutti i punti di riferimento e di controllo, il moralismo, la certezza della causalità, la corrispondenza dell’evidenza con la realtà, ecc. Attraverso la malattia, o meglio l’inquietudine, ciò che è interrogato si fa avanti.

Daccapo. ↔ Ricominciare daccapo, interrogando la sfinge gotica dei risultati ottenuti. Azzerandoli, quando anche ci fossero idee nuove da propagandare insieme, ribaltando i rapporti ordinari delle passioni, vanità, orgoglio, ambizione. Devo convincermi che le acquisizioni propongono una soluzione illusoria del problema. Trasferendole a svolgere un compito inadatto, esse si autoannullano.

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Cose al presente. ↔ La magia non fa differenza tra forza morale, come attributo delle persone, e forza fisica, come attributo delle cose al presente.

Euripide. ↔ Euripide mette in guardia i Greci contro la spedizione in Sicilia.

Alcesti. ↔ È una personaggio della mitologia greca, figlia di Pelia, re di Iolco, e di Anassabia.

Elena. ↔ Simone Mago perduta Sophia fra i demoni la cerca in un bordello di Samaria. Il suo nuovo nome è Elena di Tiro, la prostituta del mito lunare.

Iniziazione dell’occhio. ↔ Solo con l’iniziazione faccio un passo avanti, il primo passo. Posso cominciare ad affermare. Non me stesso, che ciò comunque richiede l’assegnazione di limiti identificativi, ma l’inizio del coinvolgimento. Il me stesso che guarda quest’opera confinaria è ancora in ogni aspetto il malcapitato che sogna la circolazione nei confini come spazi di libertà. Mi inizio perché voglio guardare i contenuti concettuali dell’immediatezza per farmene trappola e specchietto con cui attirare me stesso nel labirinto di un gioco diverso.

A tentoni. ↔ Una ricognizione è sempre un tentativo, cioè un’esplorazione di qualcosa di sconosciuto, fatta spesso a tentoni e presupponendo indicazioni che poi possono rivelarsi infondate. Sono obbligato così a farmi un concetto della cosa supponendo in essa ragioni che sono le mie ragioni, cioè quelle della struttura, della coscienza, del senso relazionale, non quelle dell’imperturbabile decorazione dei movimenti. È come lavorare a un progetto con strumenti inadeguati, e viene fuori un risultato che proprio a causa di questa inadeguatezza farà figurare inadeguato il progetto, almeno all’apparenza, condizionando anche possibili progetti futuri.

Storia dell’elefante da giovane. ↔ Lei aveva la leggerezza dell’elefante giovane.

Eurialo e Niso. ↔ Virgilio. “Presidiava una porta Niso, il forte guerriero / figlio d’Irtaco, maestro nel lancio del giavellotto / e delle rapide frecce, mandato con Enea / da sua madre Ida, ninfa cacciatrice. Con lui / c’era Eurialo, il più bello di tutti gli Eneadi / il più ragazzo di quanti portarono armi troiane, / dal volto appena fiorito d’una peluria leggera. / E tutti e due s’amavano d’un identico affetto, / stavano sempre insieme, correvano insieme a battaglia”.

Turno. ↔ Re dei Rutuli, antagonista di Enea.

Bernardino Luini. ↔ Salomè è figura di adolescente di una purezza rigida e nello stesso tempo di un candore che inquieta e disturba. Il capolavoro di Bernardino Luini registra la migliore raffigurazione di questa vergine dai bellissimi occhi verdi e dal grande fascino erotico.

Leggi di Manu. ↔ “Prima di scegliere una donna bada che abbia il passo dell’elefante giovane”.

Catania. ↔ L’architettura dei palazzi nobiliari di Catania ha una sensualità che entra nelle vene come veleno a effetto ritardato, mettendo a nudo lo scopo essenziale d’ogni architettura e in particolare di quella barocca, coprire e nascondere, per non cogliere la realtà in modo diretto, immediato. Anche perché di questa realtà si potrebbe avere paura, come della miseria e delle tristezze umane.

Ronda di notte. ↔ Rembrandt. La ronda di notte, noto anche come La compagnia del Capitano Frans Banning Cocq, dipinto ad olio su tela di cm 363 x 437 realizzato nel 1642.

Arte. ↔ Pierre Francastel. “Arte contro tecnica, conciliazione tra arte e tecnica, arte identificata nella tecnica, è sempre un circolo vizioso, dove l’arte, la bellezza, vengono considerati attributi stabili ai quali bisogna ispirarsi, mentre ci si adatta alle momentanee esigenze dell’azione”.

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À propos. ↔ Amy Beach, autrice della Sinfonia in Mi minore (Gaelica). A proposito della Gaelica, l’uso di certi accorgimenti strumentali è tanto pesante da sembrare perfino eccessivo, il determinismo ferreo e l’incalzare drammatico sembrano riconfermare che la salvezza sta ancora una volta nella misura, quindi nell’ordine.

Principio. ↔ Non c’è sistema se non ci sono princìpi, e il principio di Hegel è la negazione di ogni principio della ragione.

Non si può costringere la pioggia. ↔ Timide nuvole di pioggia sostano appese nel cielo senza sapersi decidere.

Il destino attende in una vasta pianura. ↔ La realtà mi arriva addosso come l’acqua di una cascata e io la incanalo con indifferenza ruffiana in un’infinita e monotona ripetizione spirituale che ha il solo scopo di uccidere sul nascere tutte le idee diverse, lavando le singole sculture in modo uniforme.

La sabbia è vicina alla riva del mare. ↔ Nei gesti della conservazione sta nascosto l’equivoco e l’inganno. Niente può chiudersi definitivamente in salvo. Nessun rifiuto mi salverà, nessuna testa può restare per sempre sotto la sabbia. Se mi tiro indietro, giustificandomi nel pizzo traforato delle mie ragioni, ho bisogno di testimoni che ascoltino queste ragioni, e debbo parlare. E più parlo, più mi accorgo che dall’alto della mia precisione ragionevole, la purezza dei motivi si sbriciola come polvere secolare, e ricade giù, coprendomi la testa di cenere.

Istigazioni. ↔ Non bisogna confondere la ricerca della cosa con un semplice e innocente fantasticare, risposta coerente alle istigazioni della forma.

Foglietto colore paglierino cm. 12x10

Critica della coerenza. ↔ Tutta l’intera avventura trasformativa nella cosa, dalla inquietudine alla rammemorazione narrativa, non possiede soltanto lo sbocco finale del nuovo orientamento, questo sarebbe un discorso attivo tanto improvviso da risultare incomprensibile, possiede slarghi e dispiegamenti che sono del tutto sconosciuti all’immediatezza e che questa non ammetterebbe mai di coltivare, nelle sue pie frequentazioni dell’ordine e della coerenza.

Critica della non contraddizione. ↔ Il campo è organizzato su di una profonda illusione di totalità, in quanto si sviluppa come una molteplicità di movimenti organizzati la cui origine viene supposta unica, o riconducibile all’unità logica della non contraddizione, quello che si chiama essere figli del proprio tempo.

Non contraddizione. ↔ Il principio di non contraddizione viene messo in gioco e recuperato attraverso il meccanismo dialettico in modo a volte discutibile ma che rende questa metafisica facilmente confondibile con una vera e propria filosofia del coinvolgimento. Per me il movimento non è però un modo della realtà che si muove dal fondato al fondamento, ma la realtà stessa.

Ordine nei concetti. ↔ Sono convinto che la matematica sia indispensabile per mettere ordine nei concetti. Sono meno convinto che questo debba avvenire ricorrendo a un simbolismo preciso che di fatto sta diventando sempre più tecnico, tanto da rendere praticamente illeggibili le notazioni più recenti.

Tassonomia. ↔ L’opera di tassonomia ricopre anche la regione del dubbio che risulta quindi elemento della ragione, strumento di funzionamento del processo, non segnale proveniente dall’altra parte. Il borghese pensieroso può alla fine accogliere in sé la strana contraddizione del dubbio, arrivare alle radici del ragionamento senza per questo essere sovrastati nelle proprie certezze.

Classificazione. ↔ La classificazione degli oggetti può essere fatta in molti modi, in base alla destinazione d’uso o in base alla condizione logica che li giustifica, oppure in base a un livello produttivo al quale vengono richiamati.

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Protendersi. ↔ Si dibatte nel cuore del fare il tremendo dubbio dell’agire. L’impeto della struttura, il protervo protendersi del possesso modificativo, non mettono a tacere questo indomabile dubbio.

Accumulo. ↔ Altro che lamento, come qualcuno troppo ha detto, qui si tratta di penetrare nel territorio sconosciuto, superare la paura al di là della paura conosciuta, quella che esorcizzo ogni giorno col rito dell’accumulo.

Senso. ↔ Friedrich Nietzsche. “Senza senso, senza sostanza, senza scopo, nient’altro che opinione pubblica”.

Protrarsi. ↔ Necessità dell’intervento crudele delle cesoie. Non dimentico che il salto nella cosa, come persistenza dell’unificazione del flusso, nel caso dovesse protrarsi al di là della linea di non ritorno, diventa delirio.

Scendere. ↔ Scendere e salire su di un treno, ogni fine settimana, freddo e caffè annacquato ma bollente.

Diversità. ↔ Lo stesso abbandono, inizio della visione critica del possesso, è sempre un movimento della diversità, mentre manca nei regolamenti dell’immediatezza, un trompe-l’œil.

Accettazione. ↔ Il desiderio di completezza, l’inquietudine che mi spinge a uscire dalla fattività per vivere la mia vita, coinvolgendomi nella concretezza attiva, non risolve definitivamente il problema, si limita a gettare le basi di un vivere diverso che deve essere realizzato fino in fondo e che in qualsiasi momento può precipitare nel proprio contrario, nella negazione della negazione, nell’accettazione della paura e nel ritorno alla tana.

Inquietudine. ↔ Ogni scossa di inquietudine mi propone la paura dell’ignoto e la nostalgia dell’accumulato che rischia di perdersi nel respiro dell’ottimo universale, dell’affievolimento. La paura tiene le chiavi della prigione e si alimenta della filosofia, e della letteratura, delle fantasie che la giustificano e la reggono, e di tutte quelle modificazioni che appartengono alla restaurazione e riorganizzazione dell’accumulo.

Intenzione. ↔ La qualità è espressione della cosa, movimento dell’antico universo che ho perduto, all’interno del quale sono penetrato trionfalmente con l’ordinativa intenzione dell’oggettualità e dove ho finito per subire la più tremenda delle espulsioni, smarrendo un territorio che ormai per me risulta estremamente desolato proprio perché abituato all’artificialità dell’oggetto.

Adeguamento dell’accumulo. ↔ La tecnica musicale può non essere un impaccio per il compositore, provvedendolo di una cornice dentro la quale egli può esprimere la sua creatività. Niente di tutto questo. Preciso qualcosa in merito al controllo esercitato dalla volontà. Questo corrisponde alla sua pratica intenzione verso un obiettivo preciso, che sarebbe l’adeguamento dell’accumulo alle condizioni produttive del campo.

Condizioni produttive. ↔ Si capisce bene adesso perché, nelle condizioni del capitale, non è pensabile la riduzione delle ore lavorative al minimo indispensabile a produrre beni di prima necessità. Si tratta di un meccanismo perverso che involontariamente, almeno fino a un certo punto, vuole fuggire da se stesso, cioè dai limiti inesorabili che lo costituiscono, limiti che diverrebbero evidenti in mutate condizioni produttive.

Corpo. ↔ Nome o corpo, qual è più caro? La struttura disegna a volte percorsi inaspettati per la mente. Distinguendosi dalla intuizione e dalla stessa inquietudine, la proposta di unificazione che l’immediatezza fa nell’orientamento può essere definita come l’organizzazione di un vastissimo numero di percezioni relazionali semplici, quindi utilizzate totalmente dall’immediatezza in una percezione complessa attraverso il proprio cono di attenzione, in modo da dare conto di qualcosa di più della semplice somma delle percezioni interessate.

Forma. ↔ Un oggetto ha una forma che è vera, bella, libera e tutto il resto delle determinazioni, cioè delle regole della forma, a prescindere da considerazioni di quantità. Queste considerazioni, cioè i giudizi, appartengono alla coscienza ed è qui, in questa sede, che le regole della forma ricevono una trasmutazione quantitativa, vengono fatte proprie dalla coscienza catalogante e si chiamano più propriamente qualità. Solo in quest’ultima loro veste esse possono poi essere tranquillamente catalogate, immiserite, distrutte, strutturate e così via.

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Iterpretazione1. ↔ Karl Jaspers. “La coscienza tragica ha i suoi limiti, essa non offre un’interpretazione totale del mondo. Non riesce a spiegarsi e a spiegare pienamente il dolore universale, non abbraccia tutta la misteriosa terribilità della condizione umana”.

Paura. ↔ La paura della morte, fabbrica del mondo.

Differenza. ↔ È una mancanza che rende differenti fra loro sia i momenti della immediatezza, sia la differenza.

Lavoro d’arte. ↔ Il lavoro d’arte, capriccio, immaginazione, sorpresa, inventiva.

Oggettività del mondo. ↔ Se accetto, come oggi appare indispensabile, questa approssimatività, devo ammettere che il mio materialismo non può ridursi solo all’affermazione dell’oggettività del mondo esterno, anche perché di questa oggettività non ho modo di pervenire a misurazioni se non anche esse approssimative e variabili, fondate su di un generalissimo principio di incertezza.

Insieme incompleto. ↔ Un fragore improvviso fa vacillare, per lunghi periodi storici, un insieme di idee, un sistema filosofico, considerato per decenni, se non per secoli, inappuntabile nelle sue connessioni giustificative. Poi tutto sembra tacere per altri periodi storici. Lo spirito del tempo si fa lunghi sonni e si risveglia con maggiore lena per tornare al proprio lavoro.

Oggettività dell’altro. ↔ La condanna dell’immediatezza è radicale, essa passa attraverso l’oggettività dell’altro, così è al di là della desolazione della cosa, se voglio portare alle estreme conseguenze questa avventura, al di là del punto di non ritorno.

Oggettività di me stesso. ↔ L’oggettività non la fabbrico, quello che esce dalle mie officine specializzate è solo oggettualità, rappresentazione utilizzabile per produrre il mondo, ma riguardo la qualità sono io a coinvolgermi in essa, non lei a condurmi per la via più facile. Sono sempre io a custodire dentro di me il gusto dell’impossibile, l’eccesso che supera ogni calcolo e considera l’avventura come un di già visto. L’albero del bene e del male non è mai esistito, non c’è modo di arrivare nella terra promessa, queste illusioni appartengono alle rappresentazioni utilizzabili che alimentano il mondo della riproducibilità modificativa.

Coscienza diversa. ↔ Che posso sapere dell’autonomia vera della coscienza diversa se non ho vissuto e sperimentato i due versanti contrapposti della volontà che realizza i propri progetti, il versante dell’imposizione e quello dell’ubbidienza?

Interpretazione2. ↔ L’interpretazione si fa unitaria nella cosa muovendo verso di lei in modo compenetrativo.

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Francesca. ↔ I raggi del sole che entravano dalla grandissima vetrata illuminavano Francesca alle spalle immergendola in un riflesso lattiginoso da cui non era possibile distogliere lo sguardo.

Flussi. ↔ Le vie dell’accumulo non sono sempre diritte. Il ritmo di questi flussi è quello della modificazione, ma non tutti i processi produttivi sono uguali. Non c’è una chiave che spieghi tutto il meccanismo, nemmeno il grumo della volontà come noumeno o come potenza. Né Schopenhauer né Nietzsche. Solo una disciplina condotta fino in fondo, capace di unificare le esperienze in modo rigido, riducendo le varianti in numero accettabile, può dare l’impressione di efficacia, proprio quella che molti cercano di fornire alle plebi assetati di sicurezze.

Volontà. ↔ Anche nel più recente andirivieni delle mode è possibile cogliere un abbassamento del tono culturale, una riduzione di interessi e apporti teorici, una polverizzazione di significati, una semplificazione degli sforzi richiesti. Ciò corrisponde, nei fatti, alla volontà ammorbata dell’industria culturale che richiede una manovalanza capace di produrre piccoli oggetti facilmente smerciabili, e questo vale per il mercato libero ma anche per quello chiuso e controllato dall’accademia in senso specifico.

Corpo. ↔ Nella vastità immensa del tuo corpo un geografico malessere mi fa uscire dall’ambiguità. Mi gratto un piede con attenzione. Il battito incerto della metafisica non si riassume oggi solo nel recupero di un certo determinismo che frana da tutte le parti, quanto nel tentativo di salvare l’idea di ordine.

Intelletto. ↔ Francesco Bacone. “Convinto che l’intelletto umano si danneggia da se stesso e non sa valersi neppure, con sufficiente destrezza e moderazione, di quei mezzi che sono in potestà dell’uomo, mi sono sforzato di ripristinare integralmente, o almeno di migliorare, con ogni mezzo, quel vincolo naturale che lega la mente umana e la realtà così strettamente, che non trova l’eguale sulla terra, o almeno nelle cose terrene”.

Le qualità. ↔ Le qualità sono le forme della libertà nella cosa.

Orientare. ↔ La coscienza, stanca di vittorie nell’ambito della catalogazione, ne cerca nell’ambito della cosa, ma per avere queste vittorie nel territorio della desolazione deve prima modificare la qualità in senso, insomma deve orientare diversamente il movimento delle percezioni.

Togliere libertà. ↔ Che sarebbe la libertà senza una cosa libera? O la bellezza senza una cosa bella? Non ne convenite anche voi? Il guaio è che la coscienza, armata fino ai denti come la belligerante dea, vuole trovare esattamente la stessa cosa, quella libertà che essa aveva di già giudicato e affisso in uno schema di controllo. Libertà come limitazione dell’altrui arbitrio? Bellezza come corrispondenza di simmetrie? Verità come rispecchiamento? Non so, forse tutto questo e forse di più.

Dio. ↔ Nella profonda lascivia dello sguardo della santa berniniana non c’è attesa, tutt’altro, c’è un richiamo potente del corpo vivo del Dio, del pene del Dio, della violenza sessuale del Dio che scuote i lineamenti della donna in estasi, non certo il bamboleggiamento di una zitella isterica.

Progresso. ↔ L’accorta filosofia della coscienza immediata spinge verso il progresso come un mulo mansueto, usando le meraviglie logiche della ragione per considerare l’attesa del passaggio più importante del passaggio stesso.

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Orientamento. ↔ L’orientamento è anche una descrizione della realtà. Ogni nominazione è, nello stesso tempo, un fatto della coscienza e un movimento costruttivo che contribuisce alla produzione delle strutture. Il distacco che ogni descrizione comporta, fissa le regole percettive e le mette in atto. Non si tratta di una separazione vera e propria, nulla può mai separarsi in modo netto, neanche una vita scritta e non vissuta. Chi elabora concetti produce descrizioni tramite la lingua e, nello stesso tempo, produce le condizioni di questa produzione, cioè l’oggettualizzazione del concetto. Nell’orientamento non c’è niente che sia esterno al concetto stesso, una sua supposta negatività.

Scelta. ↔ Non c’è nulla che garantisca nella cieca volontà controllora una qualche scelta per il meglio in funzione di uno scopo. Spesso le scelte più assurde si rivelano le migliori in funzione dello scopo da raggiungere, quindi le più utili, al contrario scelte ponderate e a lungo tenute in sospeso in attesa delle condizioni adatte, altrettanto spesso si rivelano sbagliate.

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Differenze del movimento. ↔ Le differenze del movimento le quali si traducono in una radicale differenza di relazione, sono dovute ad una differente composizione dei versanti. Infatti nell’idea il versante soggettivo si equilibra con il versante oggettivo nel momento in cui la relazione che lo produce si intensifica, poi, man mano che questa intensificazione cresce e l’idea si caratterizza verso l’astrattezza, cioè verso il regno delle effettualità, l’equilibrio si rompe.

Versanti dell’idea. ↔ Plotino. “L’occhio mai vedrebbe il sole se non fosse già simile al sole”.

Versanti dell’oggetto. ↔ Il senso della cosa viene speso nell’accumulazione verso i versanti dell’oggetto, ma così facendo riduce a oggetto conchiuso anche la coscienza che ridiventa immediatezza, semplice volontà, oggetto anch’essa, oggetto manipolato dalla medesima coscienza immediata che produce non solo il meccanismo accumulativo e gli oggetti, ma continue proiezione oggettuali di se stessa come modelli ideali di controllo e di dominio.

Inquietudine intuitiva. ↔ Non c’è qui nessuna condizione dialetticamente ordinata, ma c’è il simbolo remoto, che attraversa tutta la storia, di un oltrepassamento netto, di una trasmutazione di tutti i valori. Questo agire richiede una visione intuitiva molto potente, perché non c’è nulla che viene portato come riserva contro l’inquietudine, che viene imbarcato per il lungo viaggio nella cosa.

Intuizione. ↔ L’intuizione è di certo un movimento ma questa volta il mutamento si indirizza verso un territorio sconosciuto che non presenta le caratteristiche di miseria specifiche del mondo dove domina la modificazione quantitativa. C’è pertanto una relazione straordinariamente felice tra la miseria della quantità e la ricchezza della qualità, essa è nell’istante e corrisponde al movimento verso l’apertura nell’uno. Questo istante intuitivo non è accumulabile se non come esperienza a posteriori, comprensibile alla luce della qualità perduta e soltanto rammemorata. Questo processo è possibile perché è impossibile la vita mia nella qualità, dove si riflette in se stessa come una inverosimile fuga di specchi.

Nessuna distinzione. ↔ Nessuna distinzione tra fare e agire, tra processi quantitativi e movimenti qualitativi. L’assegnazione di un compito come quello di andare nel territorio della cosa è annuncio sconvolgente, deve essere affrontato con tutto il coraggio possibile, che non può essere quello di un distaccato empirista filosofico. L’oltrepassamento annuncia che il completamento è possibile, e getta questo annuncio spaventoso nel pieno della legittimità di ragione, ma di una ragione diversa. Un dibattito tra sordi, fino a quando non interviene la parola.

Fare. ↔ Al fare coatto non sfugge mai un oggetto. Ma l’immediatezza è l’unico oggetto di cui si propone di capire non solo il perché ma perfino il funzionamento, con il risultato che per fare ciò deve spezzare la fattività, cioè decidersi ad agire.

Soggettivo. ↔ Søren Kierkegaard. “Il pensatore esistente soggettivo è anche bifronte, come lo è la situazione dell’esistenza”.

Trasformazione. ↔ L’eterna presenza dell’azione fissa il movimento relazionale nella sua pienezza, rappresentazione invertita nei riguardi di quello che può restare dei ricordi specifici dei movimenti convenzionali così come sono stati conosciuti nel campo. In questa presenza dell’azione si compie la contemporaneità dell’azione all’interno della totalità del reale, una costante diversità in corso di trasformazione.

Modificazione. ↔ Se le relazioni, per alcuni aspetti, come per esempio il movimento o i flussi, sono tutte eguali fra loro, si differenziano una dall’altra per l’infinita varietà degli affievolimenti e delle intensità, tanto da potere considerare vitale qualsiasi aspetto relazionale, anche l’oggetto prodotto dalla modificazione, senza commettere imprecisioni valutative, ma con ciò non si può negare che la vitalità per essere nel pieno delle sue possibilità deve collocarsi lontana dall’oggetto, proprio nella regione del rischio dove si concretizza l’allontanamento dai processi di oggettualizzazione.

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Coscienza immediata. ↔ I movimenti relazionali che costituiscono la coscienza immediata si collocano tutti nel senso dell’orientamento dei flussi e partecipano delle medesime caratteristiche della concretezza fattiva, del tutto simili a quelle dell’accumulo.

Effettualità modificativa. ↔ L’estensione del movimento della coscienza immediata ha dato vita, nell’ambito sempre più articolato dell’effettualità modificativa, al mondo della produzione degli oggetti, da cui si è sviluppato il mondo delle strutture.

Campo. ↔ La coscienza immediata non si sperde nella infinita possibilità relazionale, ma come tutti gli oggetti ha confini di affievolimento più o meno precisi. Questi confini sono identificabili nel campo, dove protocolli e regole vengono fatti valere allo scopo di fissare convenzionalmente i rapporti. L’estensione e la significatività convenzionale di questo campo aumentano in funzione dell’attività orientativa della coscienza. Ciò procura, da un lato, un più ampio raggio di interventi possibili, dall’altro lato, procura anche una più intensa attività di controllo da parte della volontà, un radicamento più attento nell’accumulo stesso.

Versante soggettivo. ↔ Nel campo la realtà si manifesta sempre sotto l’aspetto di oggetto, escludendo la coscienza immediata con il suo prevalente versante soggettivo, ma questo pervenire all’apparire come oggetto è un effetto della produzione accumulativa, si tratta di oggettualizzazione, di una vera e propria riduzione, non si tratta dell’oggettività per come si dispiega semplicemente nella cosa.

Volontà. ↔ Qui sono costantemente io a dominare la scena e la mia volontà è sempre lì a cercare di prendere il sopravvento. La penetrazione deve essere per sé e non finalizzata a qualcosa da raggiungere, quindi inutile. Il dire troverà una parola aperta a molteplici suggerimenti e potrà andare avanti in mille modi, non avrà un possedimento nuovo da sfruttare. L’unità mi spiega meglio la sua convergenza di moduli possibili, una molteplicità che sperimento e perdo, la vita e la morte. Fuggire nella catalogazione non mi salva, non mi toglie via, ricado sempre nello stesso punto, avverto lo stesso terrore, scuoto le stesse catene.

Versante oggettivo. ↔ Sono arrivato a distinguere soggetto e oggetto proprio abbandonando la distinzione classica, fornita dall’analisi, e accettando una commistione relazionale, in base alla quale nel soggetto c’è un versante oggettivo oltre a quello soggettivo. La componente oggettiva non è mai separata, ma si dispiega in quanto cosa per arrivare anche a incontrarsi con la componente soggettiva che si racchiude nell’accumulazione, come coscienza immediata che si appresta a diventare inquietudine e diversità. Lo stesso accade nell’oggetto, dove l’originaria componente oggetti-va è frenata nell’oggettualizzazione specifica dell’accumulo.

Inquietudine. ↔ L’inquietudine è operante su tutti, solo da alcuni è portata fino alle conseguenze trasformative e solo da pochissimi, fortunatamente, fino al delirio nel territorio della cosa.

Apertura. ↔ L’uno visto sull’apertura, non è ancora l’esperienza diversa, è la totalità di questa esperienza mentre si realizza tutta e subito, in una logica maniacale sconosciuta che trasfigura le immagini note sulle quali è superfluo attardarsi. Nella mania non c’è soltanto il tremendo della indifferenza, ma anche l’indifferenza che considera la clemenza un modello modificativo da sottoporre a critica negativa. L’assenza è un abisso che l’oblio non colma, né il perdono né la vendetta che la rabbia alimenta.

Coscienza diversa. ↔ Se ho una esperienza diversa ho anche una coscienza diversa ed è qui che si colloca la particolare conoscenza dell’assenza. Mi disporrò diversamente di fronte alla parola perché io stesso ho in me l’assenza, nel mio cuore che risponde pugnando alle istanze feroci della volontà. Non è una questione di equilibrio, direi di eccesso, mi accingo a pormi di fronte alla parola con una carica di tensione in più, in quanto la mia conoscenza è venuta da elementi dell’assenza, ha con sé alcuni degli aspetti riguardanti l’avventura nella cosa.

Salto nella cosa. ↔ Approssimandomi alla forma, intraprendo il viaggio della concretezza attiva, arrivando fino alla riunificazione del flusso, in cui colgo la qualità sotto l’aspetto della forma, o arrivando anche al salto nella cosa, in cui colgo la forma sotto l’aspetto della qualità.

Effettualità interpretativa. ↔ Nel suo procedere l’effettualità interpretativa non può annullare questo vuoto di meditazione, questo lasciarsi andare, pena la prevaricazione quantitativa di contenuti che diventano così non più desiderio ma soltanto oggetti desiderabili, in quanto risultano individuati e prevaricanti. La desolazione della cosa non è mai priva di significato per me. Questo discorso, che per paura la cosa comincia a farmi, posso subito annegarlo nel ricorso alla struttura, divenendo incapace, rattrappito nella mia necessità di recupero, insomma relitto.

Effettualità trasformativa. ↔ È certo che non sono questi gli aspetti della effettualità trasformativa che mi interessano. Non sono un sostenitore della morte, e nemmeno della pietra, sono un uomo attivo. Tutti questi aspetti, a partire da quello della perdita, non sono però separati. Inoltrandomi nel territorio della cosa, ed essendomi assunto l’incarico tutt’altro che facile di narrare quello che non può essere detto, sento il dovere verso me stesso di andare avanti con le precisazioni. Gli eroi muscolosi possono affascinare per poco, poi vengono a noia. Sono i perdenti, quelli che inciampano sempre nello scalino verde dell’attracco che hanno qualcosa da dirmi, quelli di cui posso sentire la fratellanza del loro essere uomini, non i vigliacchi dagli occhi vergognosi, ma i perdenti.

Azione. ↔ Liberandosi nel proprio attivarsi in quanto azione, la diversità si avvolge in un immenso volume di silenzio da cui si sviluppano altri ordini comunicativi, non tutti capaci di giungere a fine. Possibilità e necessità. Si tratta di segni che sostituiscono altre condizioni trasmissive, segni che trasformano nel mondo. Sensibilizzano la rammemorazione, la stimolano, le fanno un discorso, la sollecitano alla sempre crescente capacità trasformativa, e la collocano anche nella dimensione oggettuale del campo, le suggeriscono l’eventualità alternativa del gioco, la conducono verso il radicamento dell’agire.

Coscienza immediata. ↔ Ciò che era scomparso, azzerato nella notte, ritorna sempre. Non posso conoscere molto della qualità, e che questa non sia una vera e propria limitazione apparirà chiaro in seguito, ma quel poco che posso conoscere lo colgo attraverso il grande gioco della cosa. La semplicità è elemento della cosa, e ha anche la caratteristica della lontananza da quanto possa ricordare le inquietudini della coscienza immediata.

Caduta. ↔ Il venire meno del coraggio può sempre tradire nella caduta, questo è naturale. La qualità è lontana, nella cosa. In questi movimenti della deformazione non c’è ancora la libertà, né come condizione della coscienza, né come progetto. Un ricordo o un’ossessione, qualcosa, insomma, ingombra il campo visivo. Non c’è neanche a livello puntuale, che qui sarebbe una limpida meraviglia.

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Alias. ↔ La libertà è strada individuale che nessuno può percorrere al posto di un altro.

Allora. ↔ Non c’è mai un punto fermo da cui partire con certezza, un modo di sistemare il giocattolo.

Altro. ↔ Il sogno immagina l’assolutamente altro, il progetto diretto verso la vittoria non immagina che la santificazione del quotidiano, dell’orrenda ripetitività del fare coatto.

Altri. ↔ La considerazione degli altri è un supplizio e un condizionamento, bisogna decidersi una volta per tutte. Forse sono stupido, forse no. Chi può deciderlo?

Archiviazione. ↔ Nessuna acquiescenza alle insistenze dell’ordine. Sono oggetti diversi perché uno possiede una parte della cosa, quel senso che nel prodotto ottenuto viene rielaborato dall’accumulazione e dall’archiviazione con l’insieme delle esperienze precedenti unificate concettualmente.

Identità. ↔ L’identità è una tautologia, quindi fonda i giudizi analitici. Non produce nulla di nuovo se non modificazioni per tornare a riproporre il medesimo ordine di prima, ma permette di verificare, cioè di sottoporre a controllo il fare, il modo composto ed equilibrato attraverso cui l’intelletto, guidato dalla volontà, o viceversa, che è lo stesso, produce la realtà, crea il mondo.

Uscita. ↔ Inferno e paradiso sono le porte di entrata e di uscita di questo territorio delle promesse non mantenute. Morire senza vivere, in balia di questi giudici a tre code, è definito una vita morale, una specie di santità laica, mentre tutto questo odora di peccato lontano un miglio, e del peggiore peccato che ci sia, quello contro la vita.

Ambito. ↔ La volontà muove forze immense nell’ambito modificativo, di cui solo una parte sono conosciute, il resto viene racchiuso in turbamenti e debolezze che non approdano se non a un insistere differente, ma in sostanza ripetitivo, della stessa modificazione. Erroneamente si pensa che la volontà mi indirizzi aiutandomi a decidere o a effettuare scelte. Non è così. Essa è sostanzialmente cieca, non interviene nella scelta e neppure prima nella decisione della scelta, essa mi sollecita soltanto a volere scegliere.

Gustav Mahler. ↔ Se oggi ascolto Mendelssohn o Brahms, Schumann o Mahler, avverto il tentativo differente ma non contrario di proporre un recupero, un recupero per altre orecchie e per altre educazioni musicali.

Anche. ↔ Gli scompigli dell’eccesso ricadono, alla lunga, nella tragedia cosmica della rammemorazione, anche nella scienza vera e propria, ma i possibili disordini interni al campo vengono tutti regolati tramite incertezze strutturali e provvisorie prese di posizioni probabilistiche. Il resto è affidato a un incerto futuro, peraltro del tutto silenzioso. Non c’è destino che possa parlare a uno scienziato.

Theodor W. Adorno. ↔ “La condanna naturale degli uomini è oggi inseparabile dal progresso sociale. L’aumento della produttività economica, che genera, da un lato, le condizioni di un mondo più giusto, procura, d’altra parte, all’apparato tecnico e ai gruppi sociali che ne dispongono, una immensa superiorità sul resto della popolazione. Il singolo, di fronte alle potenze economiche, è ridotto a zero. Queste nello stesso tempo, portano a un livello finora mai raggiunto il dominio della società sulla natura. Mentre il singolo sparisce davanti all’apparato che serve, è rifornito da esso meglio di quanto non sia mai stato. Nello Stato ingiusto l’impotenza e la dirigibilità della massa cresce con la quantità di beni che le viene assegnata. L’elevazione – materialmente considerevole e socialmente insignificante – del tenore di vita degli inferiori si rispecchia nell’apparente ed ipocrita diffusione dello spirito: il cui vero interesse è la negazione della reificazione. Lo spirito non può che dileguarsi quando è consolidato a patrimonio culturale e distributivo a fini di consumo”.

Honoré de Balzac. ↔ “La solitudine è una bella cosa. Ma occorre qualcuno che vi dica che la solitudine è una bella cosa”.

Ideologia. ↔ Dal punto di vista sociologico, l’ideologia è costituita da qualsiasi sistema di idee capace di fondare e indirizzare l’azione sociale e politica. Nello specifico, l’ideologia serve a giustificare, attraverso il ricorso a simboli e valori, rapporti di dominio. Essa presenta, quindi, una stretta correlazione con il potere e i tentativi di legittimazione che quest’ultimo continuamente porta avanti. Nella sua formulazione originaria, quella dell’Illuminismo francese: Destutt de Tracy, si indicava più genericamente una combinazione di idee indirizzata alla riforma dei costumi e alla lotta filosofica contro il pregiudizio.

Illuminismo e romanticismo. ↔ Kant chiude il primo e apre il secondo. Chiude il primo definendolo l’uscita dell’uomo dalla sua minorità e collocando la cultura al di sopra delle contese e delle fazioni. In questo modo, la ragione cessa di essere il privilegio di pochi (donde il particolarismo) per diventare il comune denominatore dei giudizi. Il criticismo parla a nome di una ragione sintetica non analitica. Non vuole una ragione che divide il composto senza saperlo ricostruire. La vita sfuggirebbe all’analisi perché non si lascia dividere in modo regressivo. Kant lontano dalla qualità.

Correggere1. ↔ Platone cerca di correggere l’andatura e le ritrosie del cavallo che tira verso il basso. Il credere è sempre concepito in base al credente, è questo che produce la filosofia della fede, mai viceversa.

Non fatto. ↔ La vita che mi scorre adesso nelle vene è diversa ed è capace di considerare la mia vita in modo unitario, non come un insieme di eventi slegati fra loro. Così la morte è progetto e non fatto inatteso e sorprendente.

Profittare. ↔ Basta poco sia a riprendere la strada normale portando l’oggetto nella modificazione e smussandone le stranezze, sia approfondendo il movimento per profittare di questo momento di calma e aprirsi alla diversità. I due percorsi sono allo stesso modo davanti a me.

Somiglia. ↔ L’uomo deve rendersi conto che se è lui a creare il progetto, non è lui a dominare i movimenti che lo spingono a questa creazione. Se lavora per la vittoria finale vuole dire che non è riuscito a controllare le sollecitazioni interne al controllo e al mantenimento di una distanza di sicurezza dalla paura. Deve capire che lui somiglia al progetto e il progetto finisce per somigliargli come una menomazione fisica. Ogni acquisizione è opera sua, ed è anche una parte di sé che si proietta nella rappresentazione, un oscuro e abbagliante meteorite proveniente dal futuro.

Sbalordire. ↔ A furia di sbalordire resto anche io sbalordito. Mi fanno un inchino, poi si ritraggono quando ormai mi stavano alle caviglie.

Mentre. ↔ L’ordine degli stupidi non mi disturba, mentre la sua fama celeste risuona a distesa.

Altra. ↔ In effetti la realtà è un continuo pluridimensionale che non può trovare altra spiegazione se non dal punto di vista relazionale, altrimenti questo continuo diventa incomprensibile.

Altrove. ↔ Più l’uomo capisce l’inconcludenza assoluta di ogni promessa di completamento all’interno del campo, più si rivolge altrove, e questo non sarebbe possibile se non ne parlasse, se non narrasse a se stesso la propria incertezza.

Diverso. ↔ L’unica e medesima figura, in quanto data in carne e ossa come medesima, appare continuamente in modo diverso, in sempre diversi adombramenti di figura.

Medesimo. ↔ Tutte le parole cercano di dire il medesimo movimento dell’immagine fantastica senza riuscirci.

Prima. ↔ Basta un gioco muscolare e tutto torna come prima, comunque, se non mi faccio prendere dal panico, l’eliminazione precedente del mio involucro può dirsi completa.

Dopo. ↔ Una scena dopo l’altra, una ingiuria dopo l’altra, una incomprensione dopo l’altra, perché prendersela? Il ritmo è sempre quello, cambia solo la notazione.

Quasi. ↔ I fatti riempiono la vita e, se bene si considera, sono quasi sempre un ostacolo per viverla veramente.

Tutto. ↔ Tutto nella mia vita resta indeterminabile, eppure ogni singolo fatto riceve la sua brava denominazione e viene assistito da un concetto conchiuso, delineato nella sperimentazione e nella scelta dei materiali.

Correggere2. ↔ Adesso so che non esistono veri e propri errori, in quanto questi si potrebbero prima o poi correggere, solo modificazioni non conoscibili o non sottoponibili del tutto a controllo.

Mano a mano. ↔ Perché questa barriera insuperabile dove affondo in un affievolimento sempre più vasto, mano a mano che avanzo? Perché mai nulla di tangibile?

Amore. ↔ La mia attenzione è diretta con amore verso ogni elemento dell’affinità che inizio a descrivere, lo sottolineo devotamente, lo metto in risalto con ogni attenzione, non voglio che sfugga nessuno aspetto per quanto marginale.

Guerra. ↔ Aneddoti potrei narrarne parecchi, tutti uguali all’altro. La dinamica di gruppo, i politologi al lavoro, i nostalgici del soltanto un popolo e una terra, i professionisti della guerra, gli amanti delle armi, quelli che le odiano, la storia come sottofondo.

Maggiore. ↔ Se io sono la paura, sono la paura senza specificazioni o parzialità, anche se questo mio essere totalmente paura può avere maggiore o minore intensità.

Portare. ↔ La cosa adesso non è più l’assolutamente altro destinato a restare per sempre sconosciuto, l’oggetto che sta al fondo di quello che faccio, il fiume sotterraneo che attraversa il mondo, e che non posso portare alla superficie, adesso la cosa sono io. Come prima ero il mondo, allo stesso modo ora sono la cosa.

Fuori. ↔ Debbo chiamarmi fuori da questo procedimento oggettuale.

Subìto. ↔ Per quel che riguarda la coscienza immediata questa non si rende conto di quello che ha mancato, della incompletezza del concetto e dell’alleggerimento involontario che ha subìto.

Leggère. ↔ Sul piano delle razionalizzazioni ci possono essere sempre nuove strutture più leggère di quelle che oggi storicamente si sperimentano nello Stato.

Esseri. ↔ Diecimila esseri.

Giorgio Manganelli. ↔ Il coraggio dello scrittore, e in questo caso mi riferisco a quello di Manganelli, che è proprio di lui che dobbiamo parlare, non sta tanto nell’andare avanti nel territorio della scrittura, dove si può anche ipotizzare di restare imprigionati a causa di un miraggio più che a causa di un progetto o di un desiderio. Il coraggio consiste nell’andare avanti fino al salto nell’impensabile, nel riuscire a penetrarvi dentro, non nel restarci per sempre. La scrittura reale, diretta a cogliere la totalità, comprende il bisogno di salvare le condizioni parziali della comprensione, perché sa che tra le due questioni c’è un filo comune, costituito dall’ineludibile dispiegamento del testo letterario. Con essa lo scrittore diventa non solo un ricercatore ma un creatore di incantesimi e di nascondimenti, un lavoratore del linguaggio capace di trovare la strada in un labirinto coperto dalle stratificazioni del senso, fino allo smantellamento di ogni difesa o custodia. Creatore della libertà come suprema tensione, ma anche sfinge impassibile di fronte alla parola che spalanca il suo territorio desolato davanti allo sprovveduto cercatore di fuoco. Da Manganelli non verrà mai una indicazione di arresto, di prudenza, di attenzione. Il suo linguaggio è sempre polivalente, almeno doppio, quando non può fare di più e le condizioni complessive lo legano fortemente al senso. Non è portatore di pace, ma di guerra, non di una guerra vittoriosa, ma di una guerra destinata alla sconfitta di ogni tentativo di capire (cioè di catturare), alla perdita personale e totale della comprensione.

Brusio. ↔ Il desiderio entrò nel cuore di Śiva dall’orecchio, sotto forma di un brusio di api.

Dànno. ↔ Non sono un sincretista e ogni tentativo di mettere insieme i cocci di un qualcosa che non è mai stato intero, mi dà il voltastomaco.

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Immediatezza. ↔ Il dire può rivestire di panni colpevoli il fare, e lo fa quasi di regola. Ma può anche essere chiamato a dare corpo fattivo, quindi comprensibile alla immediatezza, all’agire. In questo caso la rammemorazione dice e mi spinge ad ascoltare qualcosa che spesso non è detto ma solo intuito, per cui entra fra le parole di contrabbando.

Intelletto. ↔ Immanuel Kant. “I giudizi sintetici a priori sono possibili in virtù delle forme a priori della sensibilità e dell’intelletto”.

Accumulo. ↔ Dalla scienza non è più possibile espellere la diversità della coscienza se non la si vuole ridurre alle condizioni riorganizzative dell’accumulo, soltanto a questioni di senso.

Scienza1. ↔ Karl Popper. “La quantità di informazioni intorno al mondo fornita da un’asserzione scientifica è tanto più grande quanto maggiore è la possibilità che essa entri in conflitto, in virtù del suo carattere logico, con possibili asserzioni singolari”.

Volontà. ↔ La volontà controlla e separa, distingue attentamente, ma nel processo produttivo riesce a cogliere le varie complementarietà degli assetti che vengono messe in secondo piano nella determinazione delle strutture.

Controllo. ↔ Karl Popper. “Il controllo di una teoria, come ogni indagine rigorosa, è sempre un tentativo di dimostrare che questa è sbagliata, che, cioè, implica una asserzione falsa. Da un punto di vista logico, tutti i controlli empirici sono pertanto dei tentativi di confutazione”.

Senso comune. ↔ Il senso comune, sulla cui base di solito ragiono e rifletto per quel tanto o per quel poco che come attività infinita sono in grado di rivolgermi, mi suggerisce che lo spazio è come una scatola o un recipiente, appunto il recipiente dei corpi.

Memoria. ↔ Giorgio Colli. “Tra il contatto e la memoria c’è un elemento costante, il qualcosa di comune, e questo è appunto la natura di ostacolo, mentre l’oggetto muta, impressione sensoriale presente e impressione sensoriale ricordata. Il tempo collega poi le espressioni di molti contatti che rivelano sempre quel primo elemento costante, l’ostacolo, sempre mediante la forma dello spazio”.

Collaborazione tra volontà e intelletto. ↔ La conoscenza, come apparirà meglio quando sarò in grado di sapere come si articola la coscienza immediata, è volontà e intelletto nello stesso momento e, in certe condizioni inquiete, anche intuizione.

Intelligenza. ↔ La vista e l’udito sono simboli dell’intelligenza e della ragione e corrispondono all’etere, il più sottile degli elementi. L’odorato corrisponde al senso dell’aria e della fortezza, il gusto all’acqua e alla temperanza.

Fattività dell’intelletto. ↔ Il fraintendimento è costruzione culturale interna al senso, da cui si diparte solo in un secondo tempo. Qui esso insidia la fattività dell’intelletto. L’intelligenza dello spiazzare permette una crescita su se stesso, una creazione di altri données di senso che si collegano con la parte meno visibile della modificazione, a prescindere delle nuvole di sdegno. Ma quello che si coglie iniziando a fraintendere deve vedersela con l’ulteriore gioco degli equivoci, dove le maschere si scambiano le parti.

Giudizio1. ↔ Il rifiuto di Dio non è quello razionale, non può essere una faccenda analitica del giudizio. Occorre che in esso intervenga un altro elemento, me stesso, il rischio della mia esistenza.

Giudizio2 ↔ Valutazione quantitativa fatta dalla coscienza immediata.

Interpretazione. ↔ La qualità è altrove, in un itinerario diverso dove è coglibile solo tramite il coinvolgimento. Non la si isola rinnegando la quantità, in nome di una qualsiasi bandiera critica, ma iniziandosi all’itinerario interpretativo, oscurandolo e illuminandolo, alternativamente, in modo che al suo interno possano affiorare quei tratti che l’abitudine alla catalogazione ha fatto inaridire.

Importante. ↔ L’individuazione del fine è importante per pormi domande nel mondo.

Desiderio. ↔ C’è un unico modo per restare con niente nelle mani, arrivare a possedere tutto per rinunciare al desiderio del possesso.

Trasformazione. ↔ Da movimento singolo in totalità individuale e intero movimento delle trasformazioni.

Azione. ↔ Maurice Blondel. “L’azione è un dinamismo che parte dai fatti per ritornare ai fatti, ma ai fatti di un ordine superiore”.

Libro. ↔ Georges Bataille. “La poesia compie ciò che in genere è opera del tempo, il quale, di tutti i suoi edifici, lascia sussistere solo le tracce della morte. Credo che il segreto della letteratura sia questo e che un libro sia bello solo se abilmente ornato della indifferenza delle rovine”.

Logica dell’a poco a poco. ↔ La presenza dell’assenza scatena al contrario un irrisolvibile punto di incontro, un luogo della lotta, dove appaiono schierate in battaglia le forze della logica dell’a poco a poco e quelle del tutto e subito. Gli aspetti profondi di questo scontro non possono essere detti dalla logica, non possono essere detti per nulla se prima non si sviluppano fino al culmine delle loro possibilità per poi, ricadendo nel campo, subire un riaccostamento rammemorativo.

Critica della ragionevolezza. ↔ L’ironia è uno strumento difficile da usare, può anche finire per disturbare il superiore arroccamento del privilegio culturale, ma si tratta di un disturbo da preferirsi alla compattezza dell’analisi, alla ragionevolezza del buon padre di famiglia.

Linguaggio. ↔ Marcel Proust e l’inferno del linguaggio dei sentimenti e delle relazioni umane.

Ragione. ↔ Joseph Görres. “Il genio deve per sua essenza predominare, ma non farsi despota. La ragione deve per sua essenza essere obbediente, ma non farsi servile”.

Verità. ↔ Miguel de Unamuno. “Che intensa passione, cioè, quale verità racchiude ogni amara invettiva contro Hegel, prototipo del razionalista, che ci toglie la febbre togliendoci la vita, e ci promette, invece di un’immortalità concreta, una immortalità astratta, come se fosse astratta e non concreta, l’ansia di essa che ci consuma!”.

Karl Popper. ↔ Distinguere tra struttura e possibilità di conoscenza della stessa riassume in sé la tragedia dell’analisi, il percorso storico della logica dell’a poco a poco. Le versioni più recenti, il fallibilismo di Popper e l’ermeneutica di Gadamer, non propongono assolutamente nulla di nuovo in questo senso.

Scienza2. ↔ Vladimir Jankélévitch. “Ciò che le entità geometriche ci preparano a capire è, come dice il Brunschvicg, l’universo di una scienza che si rifiuta di lasciarsi trascinare nelle opere del virtuale, e colloca tutto nella luce e nell’atto”.

Oggettività. ↔ Nicolai Hartmann. “Il senso dell’azione educativa sta nella penetrazione popolare dello spirito scientifico stesso, in quanto è dovunque uno spirito di autenticità e di proprietà ed esprime questa sua tendenza nel perseguimento dell’oggettività e della positività”.

Ordine. ↔ L’assenza è parte della mia vita, del mio fare e non è una insondabile parte negativa, ma insiste come lato positivo, sia pure nella veste di proposta scandalosa e sollecitante lo sconvolgimento dell’ordine. Questo riflesso positivo è la passione ciclica per la qualità che sta altrove, nell’assolutamente altro, ma che è anche nell’assenza come contenuto implicito di un contenuto che è stato sradicato via.

Normalità. ↔ Norman Mailer e Ignazio di Loyola si equivalgono, almeno dal punto di vista della normalità. American Dream e Imitatio Christi, si danno la mano.

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Inquisizione. ↔ L’Inquisizione costituisce un esempio di grande importanza, da non dimenticare mai. Il potere impiega i domini canes, i domenicani. Malaffare e inganno.

Patristica. ↔ Quando Costantino consente l’accesso dei cristiani all’interno della sfera del potere ormai la trasformazione profonda del cristianesimo è un fatto acclarato, visibile a tutti. Dell’antica povertà comunitaria resta ben poco, le grandi città, come Alessandria, diventate cristiane, con le centinaia di migliaia di abitanti, non potevano accettare né la cruna dell’ago né il cammello. Il decreto di Commodo: i cristiani non siano, è ormai sostituito dal decreto di Costantino, sotto il segno della croce vincerò. Eppure c’è un lampo nel deserto. Pochi uomini dissero cose dure assai, difficili da accettare, ma da qualcuno raccolte e studiate, fatte oggetto di riflessione pietosa e di sconvolgente illuminazione. Parole e detti, il deserto aveva assistito al loro venire alla luce. I profeti del passato, Elia in particolare, l’uomo infuocato, con la sua inaccessibile rudezza, tornavano a fare sentire la loro voce lontano dalle metropoli, lontano dalla civiltà, nel territorio della desolazione, dove il vento sposta le montagne.

Niccolò Machiavelli. ↔ “Un capitano non può fuggire la giornata quando l’avversario la vuole fare in ogni modo”.

Progresso. ↔ Resta discutibile l’idea di progresso, proprio perché ha in sé un’anima deterministica che la giustifica.

Settecento. ↔ Nel Settecento Jakob Frank, fondatore dell’eresia sabbatista, sposò ufficialmente sua figlia.

Dioniso. ↔ Le epifanie di Dioniso erano contrassegnate spesso da opposizioni, conflitti e forme di ostilità che andavano fino al disprezzo, al non riconoscimento, al rifiuto, alla persecuzione.

Post-industriale. ↔ La decisione di massimizzare i profitti, regola generale del capitalismo post-industriale, non sempre è ragionevolmente applicabile nell’ambito delle nuove tecnologie. Queste sopravvanzano la presente capacità di valutazione delle imprese che le adottano, per cui possono determinare capacità produttive ed essenzializzazioni tecniche nella combinazione dei mezzi imprenditoriali, che restano del tutto non utilizzate. Per un altro verso, sarebbe stupido presupporre che un’utilizzazione “non capitalista” di queste tecnologie, non avendo più remore programmatiche al loro pieno impiego, avrebbe senz’altro un effetto positivo sulla formazione economica e sociale, la quale risulterebbe così ulteriormente beneficiata da questo ipotetico effetto liberatorio. Se il sistema delle scelte è quello che conosciamo oggi, in condizioni di arroganza capitalista, moltiplicata all’infinito da una congerie contraddittoria d’interessi mal definiti, potrebbe di certo non restare tale in un violento e rivoluzionario processo trasformativo di liberazione in corso, quindi potrebbe essere in grado di fornire possibilità di utilizzo oggi non praticabili e neppure pensabili. Ma questa ipotesi si rivela meramente teorica, non appena si riflette un poco sull’essenza stessa della “cosa” tecnologica. Questa, in modo precipuo per la telematica, non è affatto una “cosa”, ma è piuttosto un flusso di relazioni, un insieme in corso di svolgimento che dinamicamente evolve con la totalità della formazione economica e sociale. Una rottura rivoluzionaria in questa formazione non consentirebbe, per ciò stesso, una trasvalutazione positiva nell’azione tecnologica in atto, potendosi, com’è logicamente ipotizzabile, avere sviluppi degenerativi derivanti in sostanza da una inutilizzabilità radicale della tecnologia telematica in una società che si avvia ad essere assolutamente altro da sé.

Sardegna. ↔ Un giornale di economia è solito proporsi scopi più grandi di quelli che di regola può raggiungere. Si tratta di una specie di malattia professionale. Come lo schiavo seduto sul carro del trionfatore ricordava al condottiero romano che la rupe Tarpea è vicina al Campidoglio, così l’economista si illude di continuare anche oggi a recitare il ruolo dell’indicatore di pericoli. In effetti, anche quando non di una Cassandra vera e propria si tratta, non ci si sottrae al dubbio di parlare ad alta voce nel deserto. Fatta questa debita premessa, passiamo ad alcune piccole precisazioni d’apertura. In un giornale di economia, i problemi economici prendono l’aspetto di messaggi in codice da inviare agli addetti ai lavori. E questo, qui, non accadrà. Se la sorgente di emissione del discorso è la redazione del giornale, i tecnici che innestano la spina non possono dimenticare che il loro referente privilegiato non è costituito dalla corporazione degli economisti, ma dal pubblico che legge il giornale. Ora, senza scadere nella riduttività della novellistica corrente, che giudica e manda non secondo che avvinghia ma secondo la forma del naso di Berlusconi o De Benedetti, il discorso dovrà farsi piano, comprensibile, per quanto non terra terra. Della Sardegna e della sua economia, futura, per intenderci. Quindi lo stesso discorso, pronunciato qui, nell’ambito della connotazione che il nostro giornale andrà prendendo, speriamo con maggiore chiarezza, nel corso dei suoi primi numeri, assumerà connotazioni diverse a seguito dei contorni che assisteranno il testo, cioè della documentazione che forniremo e che speriamo permetta e assista le migliori intenzioni della struttura produttiva isolana. Nella società in cui viviamo, pur con tutte le sue radicali trasformazioni, i problemi economici permangono al centro degli interessi di tutti. Questa considerazione privilegiata riguarda non solo la classe imprenditoriale e dirigente, ma anche quella che sotto molti aspetti subisce le conseguenze delle decisioni e delle scelte altrui nell’ambito dell’economia, cioè la grande massa dei consumatori. Ciò spiega il motivo della crescita di una sorta di fruizione indigesta delle analisi economiche, sia da parte di chi dovrebbe essere in grado di comprendere anche la più sofisticata algebra economica, sia da parte di chi si accosta a questo mondo con la curiosità mal celata del neofita che si accontenta degli aspetti marginali e di costume. Ma, c’è da chiedersi, l’economia è ancora al centro dei problemi della società? È ancora l’anima di tutto? Senza dubbio i segnali della compromissione senza precedenti delle risorse del pianeta giocano un ruolo importante in questa considerazione. Nel senso che è proprio l’aria di catastrofe che fa puntare gli occhi della gente su problemi che prima restavano confinati nell’ambito dei dibattiti fra specialisti. Le cose vanno male, ed è proprio quando cala la sera che l’uccello di Minerva si alza in volo, cioè che la gente si spreme il cervello per capire cosa sta veramente succedendo. Che poi si sia più pronti a cogliere le vicissitudini della foresta amazzonica e non l’andamento del settore della pastorizia sarda, il problema è ancora diverso e forse più interessante. La struttura stessa della grande comunicazione oggi impedisce di cogliere il particolare, proprio nel medesimo momento in cui riconduce la grande dimensione al formato più piccolo, esattamente quello del teleschermo di casa nostra. Così ci familiarizziamo con i grandi problemi mondiali, discutiamo di politica internazionale a livelli ai quali solo decine di persone erano in grado di fare appena vent’anni fa, ma non sappiamo cosa succede nel cortile di casa nostra. Ciò consente due risultati utili per chi gestisce le grandi prospettive mondiali di utilizzo dissennato dei beni di tutti, ma non per chi questa politica subisce, nell’ambito della singola zona di competenza. Bisognerebbe pertanto indirizzare meglio i riflettori sulla piccola dimensione. Non per perdere di vista la grande dimensione, in quanto le decisioni prese a quest’ultimo livello hanno sistematiche conseguenze sul primo, ma solo per meglio muoversi nella realtà zonale, dove spesso, e con risultati tragici in termini di costi umani ed economici, non si sa veramente cosa fare. Non pensiamo che la piccola dimensione possa realmente uscire dai rapporti regolati dal sistema economico internazionale dominante, pensiamo, al contrario, che possa meglio articolarsi con questo evitando di restare schiacciata, se non altro a causa della propria ristrettezza di vedute, della non calibrata informazione, insomma a causa della propria modesta disponibilità di mezzi. Per altro, è fuori di dubbio che la piccola dimensione può meglio controllare l’utilizzo delle risorse, evitando quindi gli sprechi che il più delle volte si traducono non solo in un aggravio di spese, ma anche in un mancato utilizzo di possibilità. Ma, se la piccola dimensione dovesse chiudersi in se stessa, accettando la logica riduttiva del facciamo soltanto le cose di casa nostra, guardiamo solo al mercato locale, trattiamo e organizziamo gli affari del nostro cortile, sarebbe perdente. Trasformerebbe in una ideologia mitica proprio quella realtà oggettivamente favorevole che è costituita dalla dimensione piccola e non potrebbe contrapporsi ai grandi monopoli della produzione e dell’informazione che a livello ipotetico, in nome di un presupposto etico giustificato soltanto dall’impossibilità di fare altrimenti. Sarebbe la classica favola della volpe e dell’uva. Qui si inserisce il ruolo di un giornale d’economia, cioè di un foglio capace di fornire non soltanto indicazioni analitiche generiche ad una dimensione produttiva media e piccola, nel caso specifico sarda, ma anche suggerimenti pratici, possibilità di utilizzare una informazione che per quanto in teoria disponibile a tutti, nella pratica spesso non è di facile reperimento. Tutto questo può facilitare un allargamento del campo operativo delle singole unità produttive, può sviluppare l’associazionismo economico, collegando e sostenendo lo sviluppo di reti nazionali e internazionali, in modo che diventi praticabile l’accesso al grande mercato delle possibilità economiche. La parte documentativa della nostra rivista avrà quindi questo scopo. Certo, la conoscenza da sola non basta. Occorrono anche il coraggio dei singoli e la progettualità delle iniziative, ma questi sappiamo per certo che non mancheranno, anche se per il momento si tratta solo di buone intenzioni.

Storia. ↔ Dalla caverna ai computer esiste una sorta di linea continua di accorgimenti tecnologici adottati dall’uomo per produrre modificazioni nella realtà che lo circonda e per ottenere come da regolamento oggetti in grado di facilitare la sopravvivenza della specie umana. Riflettendo su questo fenomeno, gli illuministi conclusero per una sorta di progresso nella storia dell’uomo e facendo muro delegarono ai pensatori del secolo seguente, utopisti compresi, la fede in questo progresso e nella sua ineluttabilità. Ne deriva che l’accumulazione di mezzi tecnologici può considerarsi un fatto positivo, riflesso non secondario del processo accumulativo che si verifica nell’ambito della coscienza immediata. Lo scatto di una chiave.

Dialettica. ↔ Senza voler trascinare il cadavere di Ettore nella polvere, mi pare importante sottolineare come dietro il ragionamento marxista ci stava il concetto di utilizzo. Se uno strumento del potere come lo Stato, struttura principale ed essenziale del dominio degli ultimi sette secoli, è stato utilizzato contro di noi, perché, non utilizzarlo contro i responsabili del regime precedente. In fondo, a ben considerare, non si tratta soltanto di un errore di natura diciamo pragmatica, cioè di un errore basato sul fatto che coloro che si trovarono davanti ai problemi organizzativi dell’indomani della rivoluzione, in primo luogo ai problemi della lotta armata e della difesa delle conquiste e dei miglioramenti ottenuti, pensarono di utilizzare uno strumento già pronto ed efficace, illudendosi poi di gettarlo alle ortiche. L’errore più grave fu di natura dialettica. Infatti, perché mai la classe vittoriosa, o che almeno tale si considerava, avrebbe dovuto avere paura di utilizzare lo Stato, che così diventava proletario, visto che avrebbe dovuto non solo concludere vittoriosamente l’avviata rivoluzione, ma trasformare il mondo, chiudendo la storia e realizzando la filosofia? Se il meccanismo dialettico garantiva tutto questo, come poteva esserci contrasto con l’uso temporaneo dello Stato. Gli anarchici venivano considerati come stupide Cassandre in delirio.

Linguaggio. ↔ Bisogna anche tenere presenti le scelte che una politica d’impiego massiccio dell’informatica può fare. Queste non sono infinite, anche se potrebbero ricevere soluzioni differenti a seconda dei progressi tecnici del settore, ma questa ipoteca nessuno al momento la può sciogliere. Grosso modo esse si possono ripartire in tre direzioni, il primo, riguarda la massima concentrazione dei dati nei centri di elaborazione, considerando gli utenti come semplici soggetti passivi. Il secondo, fornendo una qualche autonomia all’utente, almeno a livello di linguaggio. Il terzo, decentrando l’utilizzo sia delle memorie che dei linguaggi e facendo dell’utente un collaboratore attivo. Queste tre scelte corrispondono non solo a scopi differenti, ma anche ad epoche differenti del controllo sociale attraverso l’informatica. Con la prima scelta siamo a livello del controllo centralizzato, tipo questura o grandi banche, con la seconda scelta decentralizziamo il controllo, arrivando al livello casa per casa, aggiungendo la possibilità dell’utente di chiedere informazioni al sistema in quanto ne condivide il linguaggio, con la terza scelta siamo al controllo capillare in cui si può dire che l’utente si controlla da sé, condividendo col sistema non solo i dati e il linguaggio ma anche la memoria. Gli spazi di resistenza al controllo totale sono decrescenti dalla prima alla terza scelta, ma anche le difficoltà di costruire il controllo decrescono nello stesso modo. Veniamo ora ai limiti ideologici. Questi sono dati dall’involucro complessivo che avvolge la struttura istituzionale. Esso si estende dal primo livello produttivo, quello economico, al livello statale ed agisce in ragione diretta dell’omogeneità specifica del livello di produzione. Il livello della produzione economica, a causa della sua scarsa omogeneità di movimento, impedisce un’azione efficace dell’ideologia come mezzo di contenimento e controllo. L’inefficacia a questo livello si è vista chiaramente in questi ultimi anni nei Paesi dell’Est, man mano che si maturavano le condizioni del loro abbandono del socialismo reale.

Scienza. ↔ La scienza e la tecnica come strumenti produttivi di base costituiscono un elemento fondamentale per la razionalizzazione produttiva, ma spesso anch’esse rientrano nella logica di mercato e non trovano un impiego razionale se non dopo un intreccio di privilegi a favore dei maggiori gruppi di capitali che finiscono per monopolizzare la ricerca nel proprio interesse. Solo a livello della produzione di pace sociale, maggiormente omogeneo, si ha un minimo di programmazione scientifica, ma anche qui gli sprechi e gli usi approssimativi delle risorse sono di portata colossale e condizionano buona parte dell’utilizzo immediato dei ritrovati scientifici. In altri termini, limitandosi alla produzione economica, non si può parlare di un programma razionale di superamento dei limiti e delle contraddizioni. Ciò determina interventi massicci del secondo livello, ma non appena questi interventi fanno vedere i loro risultati ordinativi, si mettano in moto spinte endogene al primo livello verso la riconquista della passata autonomia e quindi verso un ritorno all’insufficiente utilizzo delle risorse. Da qualsiasi lato la si voglia considerare abbiamo una realtà di potere fluente e caotica, la quale si dispone come una corrente tumultuosa, un processo in corso in cui si conoscono solo con molta approssimazione le condizioni di funzionamento. Inoltre, non è possibile costruire una teoria analitica del dominio capace di fornire indicazioni definitive, si può solo sviluppare un’analisi che poi dovrà adattarsi nel corso stesso dello scontro sociale. È chiaro, in questa prospettiva, l’influsso che esercita sulla modificazione l’esistenza contraddittoria e potentemente critica della diversità effettuale. La nascita di una diversa coscienza segna un punto di possibile incrinatura nell’apparente perfezione del fare coatto.

Pëtr Kropotkin. ↔ È stato detto di Kropotkin tutto il bene possibile, da quel sant’uomo che era non poteva trarsi nulla di diverso. La sua concezione della vita, il suo ottimismo, la sua olimpica freddezza scientifica nelle analisi, che qua e là si accalora con qualche tratto di incitamento alla rivolta; in fondo tutto ciò rasenta l’oleografia. E La conquista del pane, Catania 2001, è un libro che si presta molto a dar man forte al quadro oleografico che una certa storiografia dell’anarchismo ha interesse venga tratteggiato. Solo che la distruzione del potere non è quel processo schematico che siamo soliti affidare alle grandi esplosioni di violenza, o ai piccoli attacchi contro le strutture della repressione. La distruzione dell’ordine costituito passa anche attraverso la lenta ed ottimistica valutazione delle forze disponibili per attaccare. Se per un atto disperato e unico, non occorre tanto menarla per le lunghe, solo la riflessione e l’analisi possono far comprendere quell’atto e dispiegare tutte quelle forze necessarie a trasformare la disperazione degli sfruttati in forza rivoluzionaria organizzata. E per far ciò occorre un profondo ottimismo. Non nelle cose o negli uomini, per cui sarà sempre possibile trovare chi ci indichi con degnazione le cose e gli uomini che quell’ottimismo non meritano, ma nella volontà dell’individuo che si somma e si ricompone all’interno del progetto complessivo della totalità rivoluzionaria.

Michail Bakunin. ↔ Nel 1896, Albert Richard, ricordando l’effervescenza a Lione nel settembre 1870, scriveva: “Si fanno riunioni su riunioni, alcune pubbliche, altre private, e si fonda il Comitato centrale di salute della Francia, che doveva stabilire, dappertutto dove la cosa fosse stata possibile, dei sottocomitati. L’organizzazione prende corpo, le idee si affermano, le tendenze più chiare e più esclusive appaiono, e gli elementi sospetti al socialismo non tardano a ritirarsi. Fra questi, si trovava per esempio il tessitore Brialou, che fu deputato del Rodano. Dalla prima discussione che ebbe con Bakunin, essi si trovarono agli antipodi l’uno dell’altro. Brialou aveva la grande abilità che gli uomini intelligenti per quanto poco istruiti acquistano facilmente, in un ambiente in cui domina lo spirito commerciale; egli amava non uscire dai limiti dei moderati, pur adulando un poco i rivoluzionari, senza troppo compromettersi né con gli uni né con gli altri. Messo brutalmente al muro da Bakunin, evitò di pronunciarsi, si mise a ridere, sfuggì alla difficile situazione, e non ritornò più da noi”.

Ragione. ↔ Martin Heidegger. “Nel secondo testo fondamentale della metafisica moderna, la Critica della ragione pura di Kant, si pone ovunque la questione dell’usus, cioè dell’uso della ragione. Critica della ragione pura significa delimitazione essenziale dell’uso retto e non retto della facoltà razionale umana. La questione dell’uso retto corrisponde alla volontà di assicurare la sicurezza in cui deve e vuole collocarsi l’uomo che, posto su se stesso, sta in mezzo all’ente”.

Non ragione. ↔ L’assurdo nasce dal confronto fra la domanda dell’uomo e l’irragionevole silenzio del mondo.

Musica. ↔ La musica è piena di convenzioni tonali che mi parlano continuamente un linguaggio più o meno familiare, ma dentro di me c’è sempre il bisogno di capire e di conoscere nel senso di cogliere e fare proprio il suono, non il suono fondamentale o l’essenza del suono, ma il suono come qualità, in quanto le convenzioni in base alle quali i miei gusti sono stati modellati non mi soddisfano sempre, anzi più questa modellazione si sviluppa, più si dettaglia nei suoi aspetti meccanicamente accumulativi, più avverto un senso di mancanza, di inquietudine, come se qualcuno si fosse scordato di dirmi qualcosa, un qualcosa talmente decisivo che il non possederlo sta compromettendo la mie capacità di cogliere la musica.

Banditismo. ↔ Émile Armand. “Nonostante e a dispetto di tutte le astrazioni di tutti gli enti laici o religiosi, di tutti gli ideali gregari, alla base delle collettività, delle società, delle associazioni, delle agglomerazioni, delle entità etniche, territoriali, economiche, intellettuali, morali, religiose, si trova l’unità persona, la cellula individuo. Senza di questa, quelle non esisterebbero affatto. Invano ci si obietterà che senza mezzo sociale o societario l’individuo cellula non potrebbe né esistere né svilupparsi. Non soltanto ciò è assolutamente inesatto nel senso letterale della parola, in quanto l’uomo non è sempre vissuto in società, ma pure esaminando il problema sotto i suoi vari molteplici aspetti non si potrà in alcun modo prescindere da questa constatazione: che senza individui, non vi può essere ambiente sociale o societario. È l’essere umano che è l’origine, il fondamento dell’umanità. L’individuo è preesistito al gruppo, ciò è anche troppo evidente. La società è il prodotto di addizioni individuali”.

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Sequenze. ↔ Le sequenze ordinative che fondavano metodo e prigione, facendo che la paura smettesse le sue apparizioni, non ci sono più.

Abbozzi. ↔ Abbozzi di mito. Un enorme cavallone pietrificato.

Note. ↔ Come le parole sono simboli e note delle idee, così le idee sono simboli e note delle cose, perciò come il leggere è proprio di chi raccoglie gli elementi dello scritto dai quali le parole sono composte, così l’intendere è il raccogliere tutti gli elementi di una cosa dai quali è espressa l’idea perfettissima di essa.

Saggi. ↔ Ho letto molti libri su qualcuno, biografie, saggi critici, antologie annotate, e ne ho scritto non pochi. Per quelli che ho letto avrei fatto bene a leggere altro, per quelli che ho scritto a vedere bene ho scritto d’altro, ma essendo pochi coloro che leggono i miei libri e una sparuta minoranza coloro che li capiscono, quasi nessuno se ne è accorto.

Articoli. ↔ Eccoli eccitati fra appunti e note al margine, pagine di libro sottolineate e torturate da osceni punti esclamativi, abbozzi di articoli per giornali e lettere alle redazioni. Ne ho visto tanti di questi imbecilli trasfigurati in eccitazioni apologetiche e tortuosi percorsi dubitativi.

Prime stesure di libri. ↔ Ho lavorato per anni a costruire e perfezionare lo schema che ho impiegato nella stesura del Trattato.

Annotazioni a margine. ↔ Le annotazioni a margine sono quasi sempre troppo vecchie anche prima di essere fatte. Non hanno né la prospettiva ingannevole della storia, né il taglio scomodo, e utile, della cronaca. Sono sfaccettature degli interstizi importanti, ma solo per chi riesce a viverle fino in fondo. Difficile, se non impossibile, vivere un’annotazione a margine.

Appunti. ↔ Appunti rigorosi sulla dieta quotidiana e sulla miseria, sui movimenti intestinali e perfino sulla cartella clinica.

Riassunti. ↔ Non ci sono scorciatoie didascaliche, o riassunti che preparano mappe di percorsi accidentati. Aspettare il rigo giusto, la pagina decisiva, è un’attesa senza fine.

Manuali. ↔ Le considerazioni critiche di Jorge Luis Borges vanno sempre al di là dei limiti immediati che richiamano alla mente i luoghi comuni custoditi nei manuali di critica letteraria. Non sono misteri, si tratta di un disaccordo tra il porsi domande e il fornire risposte.

Ricordi. ↔ Una donna che non avrebbe più potuto provare piacere con altri non avrebbe dovuto eccitare la gelosia, a condizione che il geloso possa aggiornare il suo sentimento, faccenda impossibile nei riguardi di un’amata morta, per cui l’amante vivendo solo nei ricordi, viene sistematicamente riportata in vita e pensata con tutti i suoi tradimenti che non possono più essere quelli di una morta.

Lettere edite. ↔ Leggendo la corrispondenza con Croce, per fare un solo esempio, c’è nelle lettere di Gentile una ingenuità paesana che fa contrasto violento con il distacco signorile dell’amico aristocratico.

Seconde stesure di libri. ↔ Ho preparato per me una seconda stesura commentata, a mio uso esclusivo.

Scritti per altri. ↔ Ho scritto migliaia di pagine sotto altro nome, una quantità sterminata di lavoro. Per necessità, ovviamente, quando non c’era verso di trovare altro modo per mangiare. Qualche volta ho scritto per amicizia, per pietà delle altrui deficienze, per simpatia, mai per semplice esercizio. Questo materiale vorrei un giorno pubblicarlo. Sono scritti miei, che ripristinerei nella loro stesura originale, togliendo le modifiche che sono state fatte dagli autori che li hanno dotati della loro paternità. Sono intenzionato a non mettere il nome dei fruitori ufficiali di questi scritti, chi dovesse scoprilo se lo tenga per sé. L’onestà dello scrivere è l’ultima dea a morire. Se non si vuole parlare di onestà allora si parli di pudore.

Tesi di laurea. ↔ Oltre le mie due e le quattro tesine per come usava all’epoca, ho scritto per altri, dal 1969 al 1997 circa centocinquanta tesi di laurea.

Rielaborazioni. ↔ La rielaborazione dell’accumulo in protocolli riorganizzativi parziali, quali le strutture, traduce in termini accettabili per la logica dell’a poco a poco l’immane lavoro catalogativo dell’orientamento verso il contenuto.

Correzioni. ↔ C’è un asse che corre lungo la conoscenza che si può definire di correzione e di liberazione, ma è un asse equivoco, nessuna sua declinazione è decisiva, ogni elemento impone assolutamente di credere che si possa fare meglio e direttamente, ma è proprio questo l’elemento da scartare.

Aggiunte. ↔ Tutto quello che prima veniva individuato nell’oggetto attraverso un processo di astrazione catalogativa, adesso è negato criticamente per sovrapposizione, cioè tramite aggiunte interpretative dirette a staccare il movimento oggettuale dal suo servizio esclusivo nei riguardi della fattività, provando a indirizzarlo verso una fruizione individuale, unitariamente personale, in cui l’uomo è coinvolto direttamente, in cui il punto centrale della relazione diventa tutto quello che prima era elemento periferico e sdegnoso.

Terze stesure di libri. ↔ Con l’avanzare degli anni sono più lento, da giovane arrivavo anche a quaranta cartelle al giorno, interlinea uno di macchina da scrivere, interlinea che ho praticamente usato da sempre, non ponendomi il problema di fare correzioni.

Traduzioni inedite. ↔ A lungo ho pensato possibile un sistema completo del pensiero, la traduzione di tutto in un linguaggio capace di fornire non solo il senso, ma anche la sensibilità, la durata e la speranza. Poi mi sono reso conto che questo sistema non è altro che il campo, l’insieme del campo che non posso ridisegnare se non ogni volta daccapo, ininterrottamente, e che comunque non posso cogliere mai nella sua completezza.

Scritti editoriali. ↔ Sempre più spesso, in questi ultimi mesi, mi sono sorpreso a pensare alla brutta prosa di Céline, con tutti i suoi puntini di sospensione, e a come un testo del genere verrebbe ricevuto oggi in una qualsiasi redazione editoriale.

Quarte pagine di copertina. ↔ Ogni esigenza è sempre un atto parziale, riflette e si nutre di quello che c’è in casa. L’armamentario giacobino è evidente nei miei primi libri e il lettore deve tenerne conto. L’ideale anarchico è lontano ma non assente, emergerà più tardi. Mi muovo in quella direzione ma sono ancora portatore della misura rivoluzionaria appresa sui libri. Segnare i punti di minore o maggiore distanza dall’anarchismo, dal mio anarchismo maturo, è opera inutile e fastidiosa. Il lettore può assolvere a questo compito, ma è pregato di non tenere conto dei risultati. Se quello che siamo è un universo assoluto, mai definibile con precisione, lo è come esigenza, come compito infinito mai completabile, implicito in ogni cosa che facciamo. Restare silenziosi come pesci in un acquario di fronte alle proprie arretratezze, ai conti da pagare con il passato, è vigliaccheria e stupidaggine. Se voglio diventare quello che sono è perché sono di già quello che diventerò. In caso contrario la partita è persa in partenza. Tutti scoprono più o meno presto nella vita che non c’è un percorso lineare da mantenere, ed è il motivo per cui le ricostruzioni del proprio trascorrere dei giorni è sempre un romanzo di avventure, alieno dal riproporre la realtà così come è stata. Ma poi, come è stata veramente la realtà? Il mio essere quello che sono non è mai esplicitato pienamente. Ogni tentativo è rammemorazione, ripresentificazione di un passato che aspira all’avvenire anticipando il proprio destino. Liberarsi del convincimento che la diversità (la stessa innocua novità) ci è nemica, sradicarlo dal fondo dell’animo di ognuno di noi dove giace indisturbato come una malattia sconosciuta, è il primo passo di questo processo, la porta di entrata. Ogni sillogismo, ben grattato, porta alla luce la congenita paura.

Cronache. ↔ Edgar A. Poe. “A volte mi passa attraverso lo spirito la sensazione di cose che non mi sono sconosciute, e sempre a quelle ombre indistinte della memoria si mescola un inspiegabile ricordo di vecchie cronache straniere e di secoli antichissimi”.

Articoli di cronaca. ↔ Le generazioni scompaiono e si sovrappongono, la storia si sbriciola e una partita a pallone che ho giocato più di quarant’anni fa la rivivo come se l’avessi giocata ieri, e riprendendo in mano le pagine vecchie di una vecchia cronaca sportiva nelle sale silenziose di una biblioteca, sento l’odore dell’aria di quel giorno lontano, e i visi vedo dei miei compagni, forse morti, di certo lontanissimi. Ma, girando le pagine del giornale, e leggendo della morte di Stalin, o del cedimento delle dighe in Olanda, questi accadimenti, alla vita mia veramente estranei, mi sembrano vecchi di mille anni fa, e un baratro senza speranza si apre di colpo tra me e quella partita a pallone. Non sento più l’odore dell’aria, non vedo più i visi dei miei compagni. Devo chiudere in fretta il giornale.

Ricerche tecniche. ↔ Nel caso qualcuno scoprisse che esistono quantità considerevoli di ricerche, più o meno interessanti, che portano un nome diverso dal mio e che io invece pubblicherò sotto il mio nome, è pregato di mettermi a parte della sua scoperta. Non so se gli spiegherò i motivi della stranezza, forse no, comunque della sua eventuale disillusione non me ne importa niente.

Appunti scientifici. ↔ Poche pagine di appunti scientifici, molte notazioni matematiche.

Recensioni. ↔ Non l’ho letto, non l’ho visto, qualcuno me ne ha parlato.

Lettere inedite. ↔ Michail Kizmin. “Un fiore secco, un fascio di lettere d’amore, / il sorriso di uno sguardo, due appuntamenti felici. / La strada può oggi ben essere oscura e fangosa. / In primavera non hai forse camminato sull’erba?”.

Relazioni. ↔ Ippolito Pindemonte e Abaritte. Storia verissima a parte la relazione ironica del Foscolo.

Conferenze. ↔ Conferenza di Bergamo del 16 novembre 1982. Il guaio spesso è che le informazioni riguardanti la situazione a Comiso sono molto approssimative. Cosa accade: la base americana la stanno costruendo? A che punto si è arrivati? ecc. Inoltre non abbiamo le idee chiare su alcuni problemi di metodo. Cioè, la realtà di Comiso, in questo momento, ha una sua particolare funzione dal punto di vista degli equilibri internazionali, dal punto di vista di politica interna, dal punto di vista del progetto repressivo, ecc. Come intervenire nei riguardi di questo progetto di costruzione della base americana? Questa la domanda che ci si pose agli inizi. Per cominciare gli anarchici del luogo parteciparono a un “Comitato promotore contro la costruzione della base missilistica” insieme ad altre forze politiche, tutte contrarie alla costruzione della base. In questa ipotesi di partenza c’era un errore, quello di credere possibile l’approccio politico in una situazione conflittuale chiarissima dal punto di vista sociale, com’è appunto quella di Comiso. Il Comitato in questo contesto sviluppò un certo lavoro politico per arrivare a un convegno, nello scorso mese di Ottobre, convegno se si vuole riuscito per la presenza di un considerevole numero di compagni, in concomitanza con la grande manifestazione tenuta dal Partito comunista. Perché è fallito quell’approccio? La risposta a questo perché ci fa entrare nel perché è stata operata la scelta di un intervento specificamente anarchico a Comiso. Quel comitato è fallito perché aveva caratteristiche esclusivamente “politiche”, era voluto dai partiti, aveva una mentalità politica, era in linea con gli equilibri internazionali di oggi, aveva l’obiettivo illuministico ed educazionista di spiegare le cose alla gente e di portare quest’ultima alla conclusione finale, ovvia per tutti: quella di chiedere la chiusura della base. La gente non ha nemmeno voluto ascoltare un approccio del genere, pensate che uno dei presenti nel comitato, un dirigente nazionale di “Lotta continua per il comunismo”, una persona molto attiva e simpatica, per di più abitante proprio a Comiso, ben inserito nel contesto sociale, partecipante a un gruppo di sostegno per bambini dei quartieri popolari, non è stato nemmeno preso in considerazione. A questo punto noi, come gruppi anarchici di Catania e di Ragusa, ci siamo posti il problema di come intervenire e abbiamo pensato di iniziare una serie di interventi, in particolare comizi e discussioni con la gente del posto. Ora, la struttura sociale dei paesi siciliani è costituita da centri a volte molto grossi, che arrivano spesso a dieci, dodici, quindici e anche ottanta mila abitanti, cioè sono quasi delle città di una certa consistenza. Avevamo un progetto politico di massima, quello di spiegare cosa significava la base, ma abbiamo evitato di fare un discorso politico di grande prospettiva, di strategia internazionale, abbiamo detto che la base significava: repressione e intervento a difesa degli interessi dell’imperialismo americano. La risposta della gente non è stata soltanto positiva nei confronti del nostro intervento, cioè adesione a quello che andavamo dicendo, ma è stata anche “propositiva”. La gente, discutendo assieme a noi, suggeriva quali potevano essere gli altri elementi negativi che potevano derivare dalla presenza degli americani. E, dallo sviluppo di queste discussioni, è venuta fuori una preoccupazione generalizzata che andava al di là del primario pericolo della presenza di bombe atomiche nella zona. Questa prima fase di intervento si è conclusa nell’agosto di quest’anno, quando abbiamo fatto a Comiso il Convegno internazionale, culminato nella manifestazione che abbiamo fatto che anziché andare dall’aeroporto al paese è andata dal paese all’aeroporto. Ma eravamo in una prima fase del lavoro. A questo punto la stessa gente ci andava suggerendo che: “se siamo accerchiati, se abbiamo da un lato i mafiosi della DC, dall’altro i traditori del PSI che si sono alleati agli Americani, dall’altro l’inefficienza del PCI e l’assoluta superficialità delle altre forme di dissenso politico, come fare?”. La risposta era: “dobbiamo rivolgerci a quelle strutture che sono tradizionali dell’esperienza del proletariato siciliano”. Le leghe. Parlando di leghe in Sicilia si fa riferimento alle lotte socialiste e rivoluzionarie della fine dell’Ottocento e degli inizi del Novecento. Le lotte si svilupparono allora anche nella zona di Vittoria (vicino Comiso) e in quelle di Avola e nel ragusano. Vi furono una serie di insurrezioni che, interrotte a forza nel periodo fascista, ricominciarono con l’insurrezione del “non si parte” del 1945. Cosa significa dare vita a queste Leghe, significa dare la possibilità alla gente di organizzarsi in forma autogestita, al di là e contro ogni indicazione di partito. A questo punto i compagni anarchici sono intervenuti con una serie di discussioni approfondite tramite il ricorso ad un’altra ondata di comizi in tutte le zone del comisano e del ragusano. È da notare il grosso impegno organizzativo di questi interventi in quanto si tratta di decine di paesi, di decine di piccoli e grossi centri che bisogna raggiungere portandosi dietro attrezzature e tutto quanto necessario: mostre, pannelli, microfoni, ecc. Questo secondo intervento dette più precise indicazioni su che cosa intendevamo noi compagni anarchici riguardo l’organizzazione della lotta, l’augestione dei rapporti, la conflittualità permanente, l’attacco, e nello stesso tempo ci andavamo rendendo conto di quello che la gente capiva di quello che dicevamo. Molto spesso, l’errore che noi compagni facciamo è quello di ritenere che la gente capisca molto bene quello che diciamo perché per noi sono concetti estremamente elementari, mentre non è vero per quel che riguarda i nostri ascoltatori. Questo l’abbiamo sperimentato sul campo. Il concetto di autogestione, per esempio, non era molto facile, però diventava facile nel momento in cui veniva proiettato nella situazione specifica determinata dall’intervento politico dei partiti fondato sull’imbroglio. Anche il concetto di conflittualità permanente è un concetto difficile, però diventata comprensibile nel momento in cui lo si legava a quelle che erano state le indicazioni inefficienti del PCI: la grande marcia ad ottobre dell’anno scorso e l’altra ad aprile di quest’anno. Nel mezzo cinque mesi di silenzio. In questo modo la gente capisce bene cosa significa conflittualità permanente. Non vuol dire fare una marcia un giorno e poi fare passare cinque mesi per farsi sentire un’altra volta. Ed anche il concetto di attacco diventava più facile paragonato alle vaghe indicazioni, assolutamente fuor di luogo, fornite dai pacifisti dei campi limitrofi alla base. Quindi le indicazioni politiche che andavano fornendo i mestatori politici e le forse cosiddette di sinistra ma sostanzialmente d’accordo con gli Americani, servivano a noi per fare capire – per contrasto – le nostre indicazioni che per noi potevano essere scontate ma tali non erano per la gente. Questo ci ha portato alla costituzione delle leghe. Abbiamo creato un Coordinamento delle leghe con sede a Comiso, che ha la funzione di un ufficio tecnico per tenere in contatto le varie zone dove le leghe si andavano formando e fornire informazioni sulla lotta in corso. Nello stesso tempo il Coordinamento serve da centro di riunione dei delegati delle leghe. In questo momento sono di già costituite circa dieci leghe: Comiso, Vittoria, Ragusa, Catania, ecc. Alcune di queste leghe sono leghe di settore, di disoccupati, di donne proletarie, ecc., altre sono leghe di zona, di paese, cittadine. Cosa ottenere con le leghe, con il movimento delle leghe? Il problema è stato complicato. La gente quando parlavamo di leghe, almeno all’inizio, pensava che stessimo parlando di leghe di resistenza, una specie di mini-sindacato, poniamo per la difesa del posto di lavoro, contro il caro-vita, ecc. Quando noi abbiamo precisato che le leghe non erano mini-sindacati riformisti, ma avevano soltanto lo scopo di attaccare e distruggere la base, di coordinare gli sforzi di tutti coloro che erano interessati all’attacco e alla distruzione della base. In questo modo diventa anche logica la nascita di una lega, poniamo, dei disoccupati, in quanto questa lega di settore non ha lo scopo di ottenere, comunque, un posto di lavoro, ma quello di distruggere la base e l’unione di settore è solo un’occasione di conoscenza e nient’altro. Questa chiarificazione è importante per evitare – per esempio – che la lega dei disoccupati di Comiso lotti per ottenere il lavoro presso la base in costruzione. Il nostro discorso era, in questa direzione, in modo da chiedere, un lavoro pulito in aggiunta alla distruzione della base. La prima parte della proposta della lega di settore era quindi una “richiesta”, la seconda parte era un’“azione”. Il collegamento si faceva suggerendo una serie di altre destinazioni dell’aeroporto Magliocco in sostituzione alla costruzione della base americana. Per esempio, la realizzazione di un aeroporto civile. Vorrei sottolineare che il metodo impiegato da noi parte da un discorso diretto con la gente, non siamo andati a proporre un problema illuminato dalle nostre verità ideologicamente fondate, il quale aveva una sua legittimità astratta, capitemi bene, perché si poteva andare e dire a Comiso, in uno dei cinque comizi che vi abbiamo fatto: “signori miei. Guardate che qui, in questa stessa piazza, alcuni di voi sono per la costruzione della base e altri sono per la sua distruzione, quelli che sono contro sono gli sfruttati, i proletari, quelli che subiscono il ricatto del lavoro nero, ecc. Quelli che sono favorevoli sono i proprietari terrieri, i bottegai, ecc.”. Ma la gente non avrebbe capito, o almeno avrebbe avuto delle perplessità in quanto il pericolo della base (ragionamento ingenuo ma ineccepibile) è su tutti, ricchi e poveri. In questo modo, pur partendo da un discorso politico corretto, avremmo costruito un muro di incomprensione tra chi parlava e chi cercava di capire. È questo il caso, per esempio, del PDUP, il quale ha organizzato un grande comizio a Comiso, tenuto da Magri, con l’intenzione di egemonizzare l’iniziativa. Il comizio prevedeva anche un intervento di Luciana Castellina che non c’è stato perché dopo un poco Magri stesso si è accorto che nessuno lo seguiva. Tra quello che diceva Magri e quello che la gente presente percepiva c’era un muro visibilissimo di incomprensione. Non che Magri fosse un cattivo oratore, ma aveva eretto tra sé e la gente un muro ideologico che nessuno era in grado di valicare. La stessa cosa è avvenuta con i pacifisti. È corsa la voce su di un foglio fatto dai pacifisti che si chiama “Al Magliocco! Al Magliocco!” che c’è stato un incontro tra il Coordinamento delle leghe e loro, cosa del tutto non vera. Il fatto è che anche i pacifisti impostano il discorso dal punto di vista ideologico e politico, fondandolo sulla discriminante tra “pacifismo” e “violenza”. Il giorno in cui i pacifisti fecero un “sit-in” davanti alla base proponendo un problema importantissimo: quello di costruire un muro davanti al cancello d’ingresso, non tutti erano d’accordo sul materiale da utilizzare. Alcuni lo volevano, questo muro, in mattoni, altri in cartone. Il dibattito si svolse sul problema che un muro in mattoni era da considerarsi violento, mentre quello era pacifico. È chiaro che la gente, davanti a stronzate di questa portata, non poteva dare legittimità alle loro proposte, per cui si è allontanata dai gruppi vicini alla “Vigna verde” ed altri simili. Alla fine il movimento pacifista, nel suo complesso, rimase a Comiso solo con la presenza di uno o due militanti, fra i quali un monaco buddista. Il PCI, come sapete, ha dato l’indicazione delle grandi marce, degli scioperi della fame. In effetti c’è stato uno sciopero della fame di una decina di giorni sostenuto dal partito, dentro l’atrio del Comune di Comiso. Inoltre hanno raccolto delle firme. Un milione e ottocentomila firme, se non ricordo male, contro la costruzione della base. Hanno portato queste firme a Roma, non sono neanche stati ricevuti da Spadolini, le hanno consegnate a qualche tirapiedi di Spadolini, il quale le ha messe nel cassetto e buonanotte. Il nostro discorso fa molta impressione sulla gente, perché si differenzia radicalmente da tutto questo mare di chiacchiere. Noi siamo anarchici, quindi siamo critici nei confronti del PCI, ma parlando con la gente non abbiamo voluto approfondire questa critica in modo generale e dettagliato, abbia solo inteso precisare che per quanto riguarda la questione di Comiso, il partito non ha dato indicazioni capaci di bloccare la costruzione della base. Si è limitato ad un semplice e platonico dissenso. Il più grande partito proletario d’Italia e d’Europa avrebbe dovuto dare indicazioni più serie, più in grado di impedire la costruzione, perché all’indomani della grande manifestazione dei centomila, dell’ottobre dell’anno scorso, aveva fatto grandi promesse, poi non mantenute. Il partito socialista è il partito degli Americani. Qualsiasi cosa possano dire, in qualsiasi modo – perché anche loro hanno detto che volevano formare un Comitato per la pace di matrice socialista – non possono intaccare gli interessi degli Americani. Queste iniziative sono però state smascherate subito dalla gente che ha visto facilmente come non avessero intenzione di fare qualcosa di diverso, in grado di bloccare la costruzione della base. In effetti, il PSI, che in Sicilia è legato con i mafiosi della DC, non può nemmeno a livello individuale, cioè di singoli appartenenti, fare qualcosa di serio. Le speranze riposte sulla “sinistra” del PSI sono del tutto fuori luogo. Invece il PSI è stato abbastanza unito nel dichiararsi a favore della costruzione della base. A questo punto restiamo soltanto noi. Ma restiamo con indicazioni chiare. Arrivare a distruggere la base. Certo, l’indicazione potrebbe sembrare specie ai compagni, non alla gente, perché le più grosse obiezioni le hanno fatte i compagni, un progetto di tipo militare. Molti compagni dicono che occupare la base richiede una forza “militare” che non possediamo. Dentro la base c’è l’esercito italiano, i carabinieri, davanti alla base c’è la polizia. La strada che porta dal paese all’aeroporto è stata militarizzata due mesi fa su decisione del consiglio comunale di Comiso, poi ratificata dagli organi competenti. Come si può pertanto, in queste condizioni, arrivare dentro l’aeroporto e distruggere la base? Questo è un ragionamento proprio da compagni che vedono le cose nell’ottica specifica del movimento. Certo, per un’operazione del genere diecimila compagni ben addestrati e armati non basterebbero, ma non è di questo che stiamo parlando. Se nella manifestazione dell’estate scorsa invece di cinquanta fossimo stati diecimila le cose sarebbero andate diversamente, ma ancora una volta non è questo il vero problema. Mentre, se portiamo con noi, dentro la base, cinquecento persone di Comiso e Ragusa, del ragusano e del comisano, bambini, donne, i contadini con i loro attrezzi, i bottegai, i commercianti, allora entriamo dentro la base e possiamo occu-parla. Per quanto tempo non lo so, resta da vedere. Questo progetto di occupazione della base, il potere e le organizzazioni repressive, carabinieri e polizia in testa, sanno certamente che è possibile che venga realizzato, perché sanno che se si muove non la marcia dei centomila, ma anche un numero abbastanza modesto di persone, appartenenti a queste categorie proletarie, senza la tutela del PCI, può succedere di tutto. E, in questo momento, se questa gente si muove, non può essere fermata con la repressione più dura perché gli occhi del mondo sono puntati su Comiso. Ed è per questo motivo che fa loro paura l’organizzazione delle leghe, perché sanno che l’organizzazione delle leghe è stata strutturata, pensata e realizzata proprio con questo obiettivo. Mentre le iniziative realizzate o immaginate dalle organizzazioni del PCI; o anche di altre struttura (per esempio, pacifisti), hanno soltanto l’obiettivo più o meno dichiarato di portare l’attenzione verso il fatto, abbastanza circoscritto, che si può dissentire dalla costruzione della base. È qua che si coglie la differenza metodologica tra due interventi: quello anarchico e quello politico, l’intervento nel sociale e quello nella sfera del fittizio e delle chiacchiere ideologiche. Questa differenziazione, a mio avviso, è la cosa più importante che in questo momento si può cogliere nell’intervento di lotta a Comiso. Una diversa concezione in atto. Non a caso la scelta di Comiso. C’è infatti, a livello nazionale ma anche internazionale, il problema della militarizzazione della Sicilia. Esiste un poligono di tiro sui Nebrodi, a cavallo tra il messinese, l’ennese e il palermitano, e ci sono stati tredici paesi della zona che si sono dichiarati contrari all’installazione di questo poligono. A Mistretta l’organizzazione locale contro la costruzione del poligono ha di già aderito alle leghe inviando la sua partecipazione al Coordinamento di Comiso. Si prospetta qui il tentativo concreto di legare insieme due realtà di lotta. Non dimentichiamo che in Sicilia si stanno realizzando cinque carceri speciali, e questo completerebbe il quadro di repressione e militarizzazione dell’isola. Tutte le volte, nella storia, che lo Stato italiano unitario ha deciso di impegnarsi militarmente verso l’Etiopia o verso il medio oriente, ha sempre militarizzato la Sicilia. Oggi l’imperialismo americano spinge l’Italia a intervenire nel Libano, per difendere gli interessi che tutti sappiamo, quindi si deve militarizzare la Sicilia. Tornando al contesto relativo al nostro intervento c’è da dire che spesso siamo noi a dare indicazioni riduttive, perché non vogliamo passare sulla testa di nessuno. La gente dice molto di più, specialmente le donne proletarie. In Sicilia, specie in questi paesi del ragusano e del comisano, il prototipo della donna proletaria è quella donna che sta sempre a casa, che non viene ai comizi perché questi si fanno in piazza, per cui occorre andare per le strade del paese – specialmente le compagne – e parlare con queste donne. In caso contrario le donne riceverebbero quella parte di notizie che al marito piace loro comunicare. Le indicazioni che sono venute da queste donne, che non dimentichiamo costituiscono la stessa categoria sociale che ha guidato l’insurrezione del 1945 per il “non si parte”, indicazioni spontanee, non sono limitate alla semplice occupazione della base, ma sono molto più dettagliate. In queste indicazioni ci sono i nomi e i cognomi dei responsabili locali della decisione di fare costruire la base agli Americani, gli interessi che ci sono dentro, chi si è arricchito con questa operazione vendendo a prezzo elevatissimo terreni acquistati quasi per nulla, ecc. Certo, queste indicazioni fanno presto a esacerbarsi e a concludere con il taglio della testa per i responsabili. Ora, poiché a livello complessivo, non siamo ancora nella condizione di alzare nelle piazze della zona gli opportuni alberi della libertà, ci limitiamo alla semplice indicazione di occupare la base. Mentre dietro questa apparentemente semplice indicazione, riusciamo a fare balenare un piano insurrezionale che i siciliani, gli sfruttati siciliani, capiscono perfettamente. Migliaia di anni di occupazione straniera, di sfruttamento, di rapina, non sono passati invano. La nostra proposta quindi non è una ipotesi ideologica esterna, fatta da un gruppo minoritario, che ha deciso di imporre un modello astratto costruito nei laboratori della sovversione, ma è una proposta che si inchiavarda nelle esperienze della gente del posto, che tiene conto della sofferenza che è sopportata da millenni e che si spera possa esplodere in una rivolta.

Comizi. ↔ Comizio di Comiso del 24 ottobre 1982. È vero, come dite tutti, quando parliamo singolarmente a faccia a faccia, signori comisani, è vero che non la volete questa base di morte che stanno costruendo a casa vostra? È vero che non la volete questa vergogna? Oppure, se dobbiamo dedurre qualcosa dalla indifferenza della maggior parte di voi che continuate a passeggiare nel viale di fronte al giardino comunale, prendendovi il fresco della serata, la cosa non vi riguarda? Oppure siete voi i responsabili di questo scempio? Specialmente i giovani che passeggiano in questa strada in questo momento, siete voi i veri principali responsabili di questo progetto di morte. Forse è proprio su di voi che hanno contato gli Americani e i padroni per costruire a Comiso la base di morte. Perché Comiso amici comisani, giovani di Comiso, ragazzi di Comiso, uomini, vecchi, anziani di Cosimo, donne di Comiso, perché hanno scelto la vostra città? Lo sapete che cosa si dice a Catania, a Ragusa? Si dice che hanno scelto Comiso perché è la città più stupida della zona. Io sono convinto che questo non è vero. Non credo che esistano città stupide e città intelligenti. Ma certamente il soprannome di “lolli” che vi hanno dato, cari comisani, in qualche modo ve lo siete pur guadagnato. E chissà che gli Americani non abbiano fatto conto proprio su questo scegliendo l’anello più debole della catena. Amici miei che continuate a passeggiare questa sera, queste parole che sto pronunciando, in questo modo, non vi saranno ripetute da chi vi blandisce, da chi vi adula, dai partiti politici. Non verranno qua i mafiosi della DC a dirvi che la base è un progetto di morte, ma verranno a dirvi, sottovoce, all’orecchio, ma bravi comisani carissimi, continuate a passeggiare, bravi giovani di Comiso, continuate nei vostri pensieri di addormentamento e di banalità, continuate a passeggiare mentre noi facciamo quello che dobbiamo fare. [Nastro danneggiato]. Per questo si è scelto Comiso, punto strategico internazionale del progetto di morte dell’imperialismo americano, ma anche punto più delicato, più debole, più restio a intraprendere lotte sociali. Ed è questa l’amara conclusione a cui si è costretti ad arrivare, osservando il vostro comportamento stupido. Gli Americani contano sulla vostra inefficienza, sul vostro abbassare il capo. [Nastro danneggiato]. E poi gli Americani porteranno i soldi, porteranno lavoro. No, non è vero accadrà tutto il contrario, e voi lo sapete perché l’abbiamo spiegato decine di volte in altrettanti comizi e incontri. Occorre far presto, occorre distruggere la base senza perdere tempo, in caso contrario non ci sarà più niente da fare. Gli Americani contanto sulla vostra indifferenza, voi rispondete, insieme a noi, con l’azione. Smettiamo con questa vergogna che ci è caduta addosso. Se la base la costruiscono qui da voi dopo faranno lo stesso nelle altre zone e in tutta Europa, e voi porterete per sempre sulle vostre spalle l’ignominia di essere stati i primi a permettere questo scempio. Di essere stati coloro che non furono capaci di impedire la realizzazione di questo delitto. E dove sono questi soldi che gli Americani dovevano portare. Qualche bottegaio di Comiso, col portafoglio stretto dalla parte del cuore, sta aspettando questi soldi, ma si è fatto male i conti. In contropartita dovrà affrontare il rialzo dei prezzi, e questo maggior costo della vita lo dovranno affrontare tutti coloro che bottegai non sono e che vivono del proprio modesto salario mensile. Aprite le orecchie bottegai di Comiso, gli Americani, nelle altre zone siciliane dove si sono installati (a Sigonella, per fare un esempio), non entrano mai in un negozio del posto, hanno i propri negozi di tutti i generi dentro le proprie basi. Bottegai carissimi i vostri sogni di arricchimento sono infondati, oltre che vergognosi. Oltre agli Americani arriveranno qui le organizzazioni mafiose, specialmente palermitane e catanesi, per un motivo molto semplice, arriveranno per organizzare il pizzo a vostro danno e per il grande affare dello spaccio di droga pesante. Busseranno alle vostre porte, metteranno le bombe davanti alle vostre saracinesche e vi obbligheranno a fare esattamente quello che avviene a Catania e a Palermo, dove i tre quarti dei commercianti sono taglieggiati dalle organizzazioni mafiose. [Nastro danneggiato]. Comizio di Modica bassa del 19 settembre 1982. Questa sera parliamo di un gravissimo problema che riguarda gli abitanti di Modica, gli abitanti delle zone vicine, che riguarda direttamente la cittadina di Comiso, a pochi chilometri da casa vostra. Parliamo del progetto di morte che sta per essere realizzato a Comiso, naturalmente se voi sarete interessati ad ascoltare. Qualche ora fa per strada ho incontrato una persona, qui a Modica, che mi ha chiesto che tipo di comizio c’era questa sera, ho risposto che era un comizio degli anarchici contro la costruzione della base americana a Comiso. Ma che parlate a fare, questa persona mi ha risposto, ormai la base l’hanno costruita. Ecco, questa è la triste verità. La gente è convinta che non c’è più niente da fare. Questa è una triste verità. La triste verità dell’apatia e della rinuncia. I nostri padroni, gli Americani, contano molto sulla nostra apatia, sulla nostra rassegnazione, per costruire la base di morte a Comiso. Certo non avrebbero avuto la forza di fare qualcosa del genere vicino a Milano o a qualche altra grande città del Nord, là ci sarebbero stati di sicuro risposte più immediate e dure. Qui, invece, tutto tace, eppure la base la stanno costruendo a pochi chilometri da casa vostra. La gente continua tranquillamente a passeggiare come se nulla stesse per accadere, come se nulla potrà mai accadere. Praticamente sulla vostra testa si sta realizzando un progetto che vuole mettere insieme centododici bombe atomiche, centododici ordigni nucleari, ciascuno dei quaii ha una capacità distruttiva mille volte maggiore di quella delle bombe atomiche americane sganciate sul Giappone alla fine della seconda guerra mondiale. Queste bombe stanno per essere collocate a pochi chilometri da casa vostra mentre voi continuate tranquillamente a passeggiare in una splendida serata d’autunno. La gente dice: chissà, queste bombe le mettono, non le mettono, e poi, noi, che cosa possiamo fare? Se gli uomini politici non fanno nulla, se il governo non fa niente, noi cosa possiamo fare? Perché dobbiamo pensarci proprio noi? Ecco cosa si chiede la gente. Così, china la testa e continua a passeggiare. Le ragazze si agghindano e scendono in piazza, guardano a destra e a sinistra per cercarsi il marito, i giovanotti fanno altrettanto pensando in cuor loro di essere l’ultimo grido della modernità e non capiscono di fare quello che i loro antenati hanno fatto per secoli. Nel frattempo, degli assassini stanno portando a completamento un progetto di morte a poca distanza da loro, silenziosamente, se non fosse per queste piccole e modeste iniziative che portano avanti gli anarchici. Certo, anche in altre parti del mondo ci sono basi come quella che vogliono costruire qui. In Unione Sovietica, per esempio, un’altra banda di assassini sta facendo lo stesso lavoro, per cui c’è chi sostiene che bisogna costruirle anche noi per difenderci. No, compagni e amici, no. Non ci si difende contro la morte con la morte, ma ci si difende con la vita, con il rifiuto della morte, impedendo ai fabbricanti e ai venditori di morte di diffondere la loro merce. Ognuno nella sua zona. Noi ci troviamo qui ed è qui che facciamo la nostra lotta. Speriamo che in Unione Sovietica altri compagni facciano lo stesso contro quell’altra banda di assassini.

Interventi. ↔ I tentativi di selezione e di divisione del lavoro vengono ribaltati e producono un aumento anche quantitativo dei dubbi e degli ambiti di incertezza, l’equilibrio eventualmente suggerito in formulazioni modificative è sconvolto con interventi capaci di sollecitare la diffidenza piuttosto che limitarsi a mettere in dubbio l’antica fiducia.

Dibattiti. ↔ Allo stesso modo si può armeggiare tutta la vita con la critica della verità e restare solo nel vestibolo, dove dibattiti sanguinosi, ma apparenti, si svolgono sotto la luce artificiale della logica analitica, illudendo tante brave persone, che non vogliono mettere a repentaglio la propria sicurezza, di stare combattendo per la verità.

Note cinematografiche. ↔ Faccio il vuoto dietro di me e non me ne rendo conto, fisso posizioni limite, concretezze perdute, la mia collaborazione a diversi giornali dell’epoca, a Catania, di uno, un settimanale per cui scrivevo critiche cinematografiche, ho dimenticato perfino il nome.

Interlineature. ↔ L’eternità è un disintossicarsi dell’accumulo, interlineare la quotidianità con un tributo di fiducia.

Racconti. ↔ Dal terreno sale una fitta nebbia che nebbia non è ma che per un meridionale ricorda i racconti straordinari del Nord, quelli che mi impedivano di dormire quando ragazzo li leggevo nelle traduzioni della Bur.

Poesie edite. ↔ Mi metto a recitare poesie in mezzo alla spazzatura, non so dire perché ma mi sento indecente.

Poesie inedite. ↔ Thomas Eliot. “Ho provato a precisare l’importanza delle relazioni di ogni composizione poetica con le poesie diverse di altri autori, e ho proposto la concezione della poesia come di una vivente unità di tutte le poesie che sono state scritte”.

Manifesti. ↔ Le tesi da cui parte “Sinistra Libertaria” sono fondate sulla constatazione che accanto a un intensificarsi della repressione si ha un progressivo indebolimento del rivoluzionarismo militante, a causa della crescente insoddisfazione di molti compagni nel vedersi costretti a restare legati a schemi di comportamento decisamente inadeguati. L’analisi di questa situazione ci ha portato a stendere queste tesi che proponiamo a tutta la Sinistra che si richiama agli intendimenti libertari, allo scopo di aprire un discorso quanto più ampio possibile, una vera e propria apertura all’azione diretta che costituisce in definitiva l’obiettivo comune di ogni rivoluzionario.

Documento. ↔ Il momento attuale che attraversiamo [1977], con tutte le sue contraddizioni e le sue instabilità, presenta con chiarezza il tentativo disperato del potere di coordinare la sua ristrutturazione, ricorrendo ad ogni mezzo: da un lato allo utilizzo delle sue capacità di recupero del dissenso (attraverso i partiti di sinistra e i sindacati); dall’altro lato all’impiego delle sue capacità di repressione (carceri speciali, polizia, magistratura, esercito). Di fronte a questo fronte unito, il movimento rivoluzionario sembra accusare i colpi di una mancanza di identità, cioè di una non ben chiara indicazione delle sue pur presenti caratteristiche di autorganizzazione. Infatti, in questi ultimi due anni, la proposta teorica più valida che il movimento rivoluzionario ha avanzato è stata quella relativa al superarento dei vecchi schemi “chiusi” del partito e della guida “rivoluzionaria”, per tentare la costruzione di una “tendenza” di una “forza autorganizzata” ad alto componente di creatività. Anche i vecchi ruderi leninisti si sono dovuti accorgere di questa corsa verso strutture diverse e si sono adeguati, mistificando e pescando nel torbido. Comunque, quello che ci interessa, almeno qui, è che questa pressione interna al movimento rivoluzionario, che abbiamo identificato con il concetto di “autorganizzazione” delle lotte, corrisponde a molte delle proposte teoriche dell’anarchismo; sebbene, nello stesso tempo, sia essa stessa una proposta teorica che l’anarchismo, cosiddetto ufficiale ed etichettato, deve fare propria ed approfondire. In questa fase dello scontro, pertanto, l’importanza dell’approfondimento delle posizioni teoriche anarchiche, ed in particolare anche quelle del passato, tra cui significative le posizioni di Bakunin, Kropotkin, Malatesta ed altre; è da porsi in primo luogo, non solo per gli anarchici, ma per tutti i rivoluzionari. Quindi anche il lavoro di edizione, pubblicazione e diffusione dei classici del pensiero anarchico – al momento attuale – assume un significato ben più profondo di quanto non poteva accadere prima. Quando la luce della realtà elimina le ombre che l’ideologia del potere cerca di gettare sulle condizioni dello sfruttamento, i contributi del passato rivoluzionario, ed in particolare i contributi libertari che hanno da sempre costituito un elemento fondamentale della lotta contro i padroni, ricevono anche loro una nuova e più coerente illuminazione. E questo è proprio quello che crediamo stia avvenendo oggi e per cui riteniamo utile impegnarsi.

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Ostacolo. ↔ Ammesso l’ostacolo iniziale, si può pensare il linguaggio come mezzo di specificazione, cioè strumento con cui dare indicazioni sulle modificazioni del campo.

Magione. ↔ L’atmosfera della Casa degli Usher nessuna affinità aveva con l’aria del cielo, che esalava dagli alberi deperiti, dalle mura grigiastre e dallo stagno silenzioso.

Ione. ↔ L’opera dello gnostico Valentino si caratterizza per un particolare sincretismo di idee, miti e simboli propri dell’antichità religiosa, dal cristianesimo al neoplatonismo, all’orfismo, interpretati in chiave pessimista.

Inventare. ↔ Non inventare assolutamente niente è un atto di genio puro e, in un’epoca commerciale come la nostra, indica un considerevole coraggio fisico.

Ampliamento. ↔ Franz Kafka. “I lavori di scavo, di consolidamento, di ampliamento, la scorta di viveri e le ispezioni alle opere di difesa assorbono tutta la vita dell’animale, ma lui teme sempre che ci siano nemici capaci di infiltrasi nella tana, sopraffarlo ed espropriarlo”.

Più grande. ↔ È la volontà a portare ordine e organizzazione nel lavoro, e l’equivoco è quello di pensare che attraverso la forza si possa sconvolgere il piano modificativo che imprigiona nelle condizioni convenzionali della fattività.

Riso. ↔ Gli opposti movimenti coincidono, quello del riso e della gioia con quello del dolore e dell’oppressione.

Contraddittorio. ↔ Per reperire senso, la forza indagativa deve cogliersi fuori di un mondo contraddittorio, comunque destinato a muoversi secondo regole non facili a sfuggire all’assurdo.

Vischioso. ↔ Il simbolo della Medusa richiama la vulva della madre coronata dal vello, inavvicinabile. Occhio semichiuso, vitreo, cisposo, senza luce, un occhio la cui pupilla si è spenta, un buco nero, mucoso, vischioso, angosciante.

Apparire. ↔ Nelle analisi delle scienze fisiche il movimento è visto come variabile del calcolo, come relazione fra scompensi nel loro apparire spaziale e temporale. Calcolare significa però orientare, produrre oggetti in base alle regole modificative.

Fuga. ↔ Può essere volontà di dominio, o semplice desiderio di realizzarsi attraverso il bene, ma sono comunque tecniche di fuga.

Protendere. ↔ Il protendersi verso l’orientamento del flusso o il protrarsi verso l’inquietudine, sono sempre movimenti totali che richiamano all’attenzione il modo di essere della coscienza.

Protrarre. ↔ L’incertezza caratterizza tutto il percorso, e ciò perché la coscienza può, nel contempo, arrivare alla cosa e ritornare indietro verso il senso, con semplici movimenti, senza nemmeno accorgersene a livello del protrarre penetrativo.

Accettare l’inquietudine. ↔ Accettare l’inquietudine è determinarsi al coinvolgimento.

Libertà come forma della cosa. ↔ Per me la libertà è certamente una qualità, e non è solo una qualità, essa è la forma della cosa, la qualità delle qualità.

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Concetti fondamentali. ↔ Con i concetti fondamentali di unione e separazione, una sorta di essenza riunente relazioni nominali se mai ce ne furono, si fissa l’efficacia dei rapporti necessari dell’oggettualità.

Teoria e azione. ↔ Se trasformo la realtà, lo faccio ricorrendo a un intreccio, inestricabile, di teoria e azione. Separando questi due momenti della mia vita affido a essi uno scopo separato, mi prendo cura di loro, cerco di salvarli, di fermarli in una condizione di tepore, di controllo.

Totalità. ↔ La cosa non ammette garanzie, non si lascia penetrare da una relazione accidentale che ama compiersi attraverso un simbolo. Chiede la totalità della coscienza. Ed è questa totalità che sola possiede quella irruenza audace di cui ha bisogno la cosa per essere colta nel suo dispiegarsi. Nel momento in cui penetro nel territorio della cosa, resto in bilico, né al di qua, né al di là, e siccome la stasi non esiste, sono in una condizione di movimento che si realizza nelle due direzioni, un’anticipazione del movimento compenetrativo caratteristico del territorio della cosa.

Logica del tutto e subito. ↔ Della logica dell’animale, come pure della sue tensioni, restano solo le tracce della bestia, comprensibili solo con il metro della non ragione. Ma della logica della natura, che è logica del tutto e subito, logica di consumazione e distruzione, non resta molto.

Spazio sociale. ↔ La struttura è senz’altro reale e svolge una sua insostituibile funzione nella realtà anche se io posso conoscerla soltanto in parte. Tra parentesi questa notazione vale anche per il campo e per tutte le specificazioni strutturali realizzate nello spazio sociale. E ciò vale senza che vi sia il rischio di fare scomparire tutto in un vano soggettivismo.

Scienza. ↔ La parte riprende il sopravvento, le antiche favole della completezza attraverso l’accumulo, ritornano a rintronarmi nel cervello, il gioco sensibile della scienza mi propone transizioni tangibili che svegliano l’acuta attenzione del mio desiderio di sicurezza.

Il falsificazionismo di Popper. ↔ Si può giustificare un’asserzione? E, se lo si può, in che modo? È possibile sottoporla a controlli? È logicamente dipendente da certe altre asserzioni? O le contraddice? Perché un’asserzione possa essere esaminata logicamente in questo modo, deve esserci già stata presentata, qualcuno deve averla formulata e sottoposta a esame logico? Queste le domande che l’epistemologia più recente si pone.

Logica dell’a poco a poco. ↔ Il filosofo torna alla carica, incalza un fondamento, si limita a questo, in modo da accantonare tanta certezza da fare diventare sufficiente a se stessa qualsiasi costruzione fondata sulla logica dell’a poco a poco.

Forma. ↔ La forma è rafforzata dalla rammemorazione, ma vive nel tempo, nella propria opera, sia pure per breve sprazzi che ne costituiscono la durata discontinua. Fa paura ai benpensanti perché mette in pericolo le loro sicurezze, ma non più di tanto, in breve le forze dell’accumulo si limitano a prenderla in serie e farne collezione.

Struttura. ↔ La struttura è costituita prevalentemente, non esclusivamente, da assetti relazionali, provvisti da sufficiente rigidità.

Linguaggio. ↔ Il linguaggio è multiforme ed eteroclito, a cavallo di parecchi campi, nello stesso tempo fisico, fisiologico, psichico, esso appartiene anche al dominio individuale e al dominio sociale, non si lascia classificare in alcuna categoria di fatti umani, poiché non sa come enucleare la sua unità.

Movimento. ↔ Il movimento è diversificato all’infinito, non ci sono mai condizioni cristallizzate di flussi orientati soltanto o di flussi soltanto unificati, tanto per restare a questo solo aspetto.

Funzione. ↔ Il conflitto diventa parte attiva della forma, entra in essa, non si limita alla funzione limitante o confinaria. È l’urgenza, il subbuglio, il disordine creativo che sollecita la forma alla intensificazione.

Differenziale. ↔ Antimo Negri. “Se la negazione dell’opposizione fosse identificazione assoluta, e non anche differenziazione, il pensiero cesserebbe di agire, finirebbe di essere prassi conoscitiva”.

Foglietto a quadretti cm. 10x13

Effettualità primaria. ↔ Teoria e azione insieme garantiscono solo un’effettualità primaria, che non mi coinvolge se non nell’ambito del mio essere riconosciuto dal mondo.

Storia. ↔ Il guaio è che molti di noi sono ancora prigionieri di alcune tesi elaborate anni fa in sede marxista. Quanti si possono ritenere liberi da questo tipo di pregiudiziale, di discussione, di tesi? Lo sviluppo della storia viaggia verso determinati fini, viaggia verso l’anarchia? Ci siamo veramente liberati da questi concetti? Ciò sarebbe certamente un buon argomento di discussione. Perché è solo all’interno di queste pregiudiziali che si può parlare di crisi.

Haussmanizzazione. ↔ Il 2 novembre 1870 si conclude la guerra franco-tedesca con la pesante e inaspettata sconfitta dell’esercito francese a Verdun. Cominciata poche settimane prima, questa guerra aveva fatto conoscere al mondo la potenza militare della piccola Prussia e, nello stesso tempo, l’inutilità dell’opposizione parlamentare, non di certo marginale nel parlamento prussiano. In quasi tutta la Germania, il partito di Bebel e Liebknecht aveva cercato di impedire che le masse operaie tedesche partecipassero a una guerra contro i fratelli francesi, ma l’iniziativa si concluse con un clamoroso fallimento. Non solo la guerra non fu impedita, ma il successo di Bismarck (i suoi imbrogli diplomatici si conobbero solo molto tempo dopo) venne considerato come il primo gradino per la scalata al potere europeo da parte della grande Germania.

Effettualità secondaria. ↔ Approfondimento teorico parallelo all’attacco pratico, effettualità secondaria da cui passare alla effettualità terziaria.

Effettualità terziaria. ↔ Della differenza, ma principalmente di me stesso nella effettualità trasformativa, nell’azione amorosa.

Misticismo. ↔ Il misticismo è alle porte, ma non è amico dell’azione, nell’azione sono solo io che agisco in compagnia degli strumenti della mia navigazione, nessuna dottrina è a bordo, nessuna illusione sofistica può saltare dentro la mia condizione conchiusa.

Cosa. ↔ La cosa è una implicazione relazionale dove gli elementi che dovrebbero concorrere alla sua delimitazione sono affievoliti all’infinito nella totalità del reale, essa è una implicazione munita di una sua particolare capacità di dispiegamento, ma è anche l’insieme complessivo del dispiegamento.

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Contro l’irrazionalismo tedesco. ↔ Il fatto stesso di restare affascinata, e sconvolta, dall’inquietudine dovrebbe gettare il sospetto fra le certezze della ragione riguardo la tenuta della coscienza immediata, del mondo produttivo come insieme compiuto ed equilibrato. Dovrebbe far pensare che le convenzioni non spiegano tutto, che le comunicazioni pervenute, da cui l’inquietudine, lasciano intendere l’esistenza di qualcosa di diverso, e che quindi la ragione non è tutta la realtà. Ma il meccanismo non è duttile, anzi è piuttosto nodoso. Ne deriva che l’unica soluzione di cui fa uso è il recupero dell’inquietudine nell’appacificazione, nel tentativo cioè di rappresentare il diverso come deviante dalla norma, quindi in rapporto sempre con le condizioni protocollari, in base alle quali, appunto, si misura l’estensione della devianza. Tutti i tentativi fatti dai gestori razionali dell’irrazionalismo tedesco sono stati diretti a trovare un metodo, ovviamente razionale, per leggere il linguaggio della vita, che secondo Dilthey, e giustamente, non poteva essere condotta dinanzi al tribunale della ragione.

Contro il determinismo. ↔ Fabbricato un oggetto si può dire che si siano fabbricati tutti, nell’utensile dell’antico uomo c’era la logica della moderna protesi tecnologica, e c’era per intero, cioè c’era la corrispondenza a certi protocolli, se non altro di effetto e di causa. Nell’esperienza interpretativa e trasformativa, ogni movimento è una novità, e il nuovo, secondo Baudelaire, è fratello della morte. Così, ogni movimento non ha dentro di sé uno scheletro protettivo che lo sorregge nei momenti di bisogno, giustificandone anche gli aspetti contraddittori. L’esposizione al fallimento è perciò totale. Ad ogni incertezza del coinvolgimento, tutto ripiomba nell’immediatezza, dove le cose si possono sempre sistemare. Qui, la certezza è a portata di mano, proprio perché interna al meccanismo della ragione, il quale deve garantire contro ogni dubbio il funzionamento del processo.

Il suicidio. ↔ Operari sequitur esse, la vita non fa eccezione, comprende la morte e l’eccezionale mostruosità, tutto incluso, compreso nel biglietto. Gli dèi non parlano più faccia a faccia con l’uomo. Per testimoniarlo non c’è bisogno della febbre inestinguibile di Pascal, della follia di Hörderlin e Nietzsche, del suicidio di Nerval e Vaché, basta non accettare gli equivoci promettenti degli imbroglioni di servizio al potere di turno.

Per un’analisi della coscienza di classe. ↔ L’astuzia della coscienza di classe è molto più sottile e complessa di ogni immaginazione interpretativa, questa ultima me la devo guadagnare con il sudore del coinvolgimento, quella la possiedo in eredità dal meccanismo oggettuale stesso. Sono controllore nato e rivoluzionario per vocazione.

Teatro della crudeltà. ↔ Antonin Artaud. “ J’ai à me plaindre d’avoir dans l’électro-choc rencontré des morts que je n’aurais pas voulu voir”.

Alle origini del problema della verità. ↔ Friedrich Nietzsche. “La ricerca metodica della verità è il risultato di quei tempi in cui le convinzioni si combattevano reciprocamente. Se l’individuo non avesse tenuto alla sua verità, cioè al suo avere ragione, non esisterebbero metodi di ricerca, invece, con l’eterna lotta dei vari pretendenti alla verità assoluta si avanzò passo passo, per trovare quei princìpi incontestabili in base ai quali esaminare la validità di quelle pretese e comporre la contesa”.

Primi passi della logica dell’a poco a poco. ↔ Tutto quello che viene fuori dalla pura logica dell’a poco a poco nasce solo allo scopo di costruire strutture e accumulare risultati. La vita può essere soltanto questo, una forma nemmeno molto camuffata di annientamento.

Una delle forme più avanzate di teoria della verificazione. ↔ Nessuna guarentigia. Non mezzo sterilizzato, ridotto all’essenziale, griglia di verificazione che non verifica niente, il nucleo cui fa riferimento Carnap. Occorre che questo metodo venga impiegato per capire se è adatto a essere impiegato. Insomma, il suo collaudo non può essere preventivo. La libertà è l’utopia più facile perché ha l’agilità dell’imprevedibile.

Teorie della semplicità. ↔ L’uomo è questa notte, rileva Hegel, questo puro nulla, che tutto contiene nella sua semplicità, un’infinita ricchezza di molte rappresentazioni e immagini. In fantastiche rappresentazioni tutto intorno è notte. Improvvisamente balza fuori qui una testa insanguinata, là un’altra figura bianca e altrettanto improvvisamente dileguano. È questa notte che si guarda, quando si fissa negli occhi un uomo, dentro una notte che diventa spaventosa. Qui a ognuno sta sospesa contro la notte del mondo. Il giorno è l’esatto contrario.

Introduzione a Pierre-Joseph Proudhon. ↔ Il lavoro economico di Proudhon, il suo testo fondamentale, comincia con un’analisi del problema di Dio. La scienza economica non si può fondare su basi oggettive, egli dice, se non si fa chiarezza sul problema divino. “Non vi accorgete cosa avviene della religione, come dei governi, il più perfetto dei quali sarebbe la negazione di ogni governo? Nessuna fantasia religiosa o politica impacci e leghi l’anima vostra, è ormai l’unico mezzo per non essere né un minchione, né un rinnegato”.

Equivoci dell’anarchismo metodologico. ↔ Paul Feyerabend. “Sorge il sospetto che il presunto successo di una teoria sia dovuto al fatto che la teoria, quando fu estesa oltre il suo punto di partenza, fu trasformata in una rigida ideologia”.

Gesù Cristo non è mai esistito. ↔ Voltaire. “Molti studiosi si mostrano sorpresi per il fatto di non trovare nello storico Giuseppe alcun cenno di Gesù Cristo, tutti gli specialisti infatti sono d’accordo oggi che il breve passaggio in cui se ne fa cenno nella sua Storia giudaica è interpolato. Eppure il padre di Flavio Giuseppe avrebbe dovuto essere uno dei testimoni di tutti i miracoli di Gesù. Giuseppe era di schiatta sacerdotale, parente della regina Marianna, moglie d’Erode. Egli si diffonde in particolare sulle azioni di questo principe, tuttavia non dice una parola né della vita né della morte di Gesù, questo storico che non nasconde alcuna delle crudeltà d’Erode, non parla affatto del massacro di tutti i fanciulli, da lui ordinato, quando apprese che era nato un re dei Giudei. Non parla affatto della nuova stella che sarebbe comparsa in Oriente dopo la nascita del Salvatore, fenomeno meraviglioso, che non sarebbe dovuto sfuggire a uno storico così illuminato com’era Giuseppe. Non una parola, inoltre, sulle tenebre che avrebbero coperto tutta la terra in pieno mezzogiorno e per tre ore alla morte del Salvatore, sulla gran quantità di tombe che si sarebbero scoperchiate in quell’istante e sui giusti che sarebbero risuscitati”.

Chiarimenti sul concetto di totalità. ↔ Il movimento è la totalità, ma non è mai percepibile nella sua veste di dispiegamento. Soltanto piccole possibilità di questa grandiosa necessità, possono essere colte, e solo attraverso le varianti che ci sono nei singoli concetti a seguito dell’orientamento. Qui sono davanti alla qualità, inesprimibile nella sua interezza, e completamente racchiudibile in quel dispiegamento. Di volta in volta, cercherò di segnare le tracce possibili di questa inesprimibilità.

Agire e fare coatto. ↔ Agire significa avere dalla propria parte la coscienza della miseria in cui si riduce l’accumulo, ma non tenerne conto se non per rimetterla in questione in quanto miseria e circoscrivibilità. Uno spazio di mezzo disponibile all’evento futuro. Un evento del genere va tenuto stretto e sottratto ai commenti idioti, ancora più a quelli intelligenti. La tragedia del bisogno stimola all’acquisizione, ma l’agire è rottura di questo processo, quindi, in fondo, anche impedimento alla soddisfazione. Dolore e danno aspettano colui che si decide all’azione, non gloria, né completamento e perfezionamento, niente di tutto questo.

La servitù volontaria. ↔ La servitù volontaria, contratta nei riguardi del senso, porta il collezionista a proporre anche agli altri la bontà della sua scelta, escludendone gli aspetti meno gloriosi e più prosaici, le miserie dell’uomo, e imponendo un diverso modo di considerare la realtà proprio nell’assenza della diversità.

La pratica scissa. ↔ Nel caso, molto elementare, di percezione scissa, quando la ricezione persiste nel restare lontana da un qualsiasi coordinamento armonico, si passa direttamente al delirio. La follia non ha mezzi per fronteggiare questa situazione, se non quelli che le provengono dall’arsenale logico di chi la isola e la condanna.

Paul-Henry Thiry d’Holbach. ↔ Analisi illuminista degli strumenti che l’uomo possiede per raggiungere la felicità. Alcuni di questi strumenti sono molto conosciuti e su di essi la filosofia si è esercitata a lungo, in modo particolare la precettistica politica e morale ha condannato arbitrariamente una serie di strumenti perché sono moralmente dannosi. Paul-Henry d’Holbach da materialista completo si rende conto che le declamazioni di un filosofo sono di secondaria importanza davanti alla realtà oggettiva del meccanismo che spinge all’utilizzo di determinati mezzi. Egli ragiona in questo modo: dalla realtà proviene all’individuo lo stimolo collettivo del raggiungimento della felicità, ma nel singolo questo stimolo assume la caratteristica della motivazione individuale. Dalla realtà insieme a questo stimolo provengono anche i mezzi, gli strumenti per il raggiungimento della felicità. Ora, se era contraddittorio lo stimolo perché proveniente da una realtà contraddittoria, allo stesso modo devono essere contraddittori gli strumenti, cioè alcuni di questi strumenti garantiscono indiscussamente il raggiungimento di una posizione di potere, di una posizione di vantaggio, la ricchezza, la cultura, la forza, altri strumenti invece garantiscono un approfondimento delle condizioni oggettive che impediscono la crescita collettiva del raggiungimento della felicità. L’autorità è uno di questi strumenti.

Donatien Alphonse François de Sade. ↔ Esplosione di libertà, l’opera di Sade si pone malvolentieri il tema dei limiti. Da ciò finisce per ricavare un proprio limite intrinseco, insormontabile, il limite del proprio ateismo. L’ateismo di Sade è un ateismo di contrapposizione, di puntuale rigetto del teismo. Questo il punto centrale della sua opera e che tratteremo dettagliatamente più avanti, per il momento ci interessa chiarire come questo limite, dettato dalla lotta e dallo stesso entusiasmo iconoclasta, finisce per determinare un’impossibilità di progettazione morale. L’etica necessita di regole.

Il cristianesimo e la riforma sociale. ↔ Il cristianesimo in particolare, contro il mondo antico, ha parlato del mondo altro facendolo apparire perfino più importante di quello terreno. Il cielo copriva la terra e la anneriva di peccati. La morte era quindi un passaggio a un mondo superiore, un mondo divino, un mondo in cui c’è Dio, un mondo fatto della sola presenza di Dio, quindi senza miglioramento per l’uomo e senza libertà, se non quella di perdersi nella unica sostanza esistente in quel mondo, appunto Dio. Senza perché. La morte dell’immediatezza è la fine dell’uomo e il suo affievolimento a cadavere, oggetto fornito di coscienza immediata talmente affievolita da potersi affermare inesistente.

Agostino. ↔ Si fallor sum, dice Agostino, se dubito sono.

Tommaso. ↔ Un bruciare senza consumarsi in un fuoco infernale si trova in Platone, in Virgilio, nell’Apocalisse, uno stagno di fuoco e di zolfo, in Tommaso d’Aquino, fuoco crudele, inestinguibile, insopportabile, nel buddismo, acqua bollente e dannati scorticati, nella religione di Zoroastro, ghiaccio e freddo.

Niccolò Machiavelli. ↔ Non vale qui applicare la retorica dello smascheramento, sviluppata da Machiavelli, non esiste un metodo sicuro per innestare nel cuore di una moltitudine, secondo l’aspirazione dell’Alfieri, una sana opinione, unico e definitivo rimedio contro la tirannide.

Etica. ↔ Non potendo operare, dice Jacques Derrida, fino dal momento che si dichiara, se non all’interno della ragione, la rivoluzione contro la ragione ha dunque sempre la dimensione limitata di ciò che si chiama, nel linguaggio appunto del ministero degli interni, un’agitazione. Dovrebbe essere invece, come scrive Hermann Cohen, un periodo di etica sperimentale.

Mutuo appoggio. ↔ Vietato nominare la morte, mutuo appoggio di tutti, presenti e assenti.

Conquista del pane. ↔ Le concordanze sono la farina con cui si fa il pane, il pane è qualcosa d’altro.

Letteratura russa. ↔ Non so bene perché, quando leggo Tolstoj mi viene in mente la morte.

Equivoci della scarsità e dell’abbondanza. ↔ Mancanza, penuria, scarsità, difetto. L’ora non è mai dominio del poi, controllo e garanzia, capacità di ammaestrare l’abbondanza. In una considerazione non relazionale l’ora diventa per forza più pesante, diventa il punto in cui comincia il futuro in modo certo, ed è l’ora, in questa concezione, ad avere dentro di sé, in modo carico di timore e di preoccupazione il futuro. Nessuna interruzione della notte.

Scritti di storia. ↔ La vita si racchiude in questo modo nella storia e questa viene presentata come un processo che dall’origine si sviluppa progressivamente verso un futuro di completezze, oltre che di felicità e di anarchia finalmente realizzata.

Grande rivoluzione. ↔ Che uno solo, di colpo, per una illuminazione precisa, prenda queste parole sul serio, le lasci entrare dentro e istantaneamente si ha la più grande rivoluzione che possa prodursi, poiché è una rivoluzione nel regno del denaro, la sovversione del regno del denaro. E, in più, un uomo si salva.

Rielaborazione. ↔ La lunga concentrazione su di me, sulla mia condizione, facilita l’emersione della conoscenza di cui sono in possesso, ma anche la sua continua rielaborazione, quest’ultima fatta di fronte alla parola. Quello che ora leggo nella profondità degli strati della parola non è ancora quello che ascolto, l’ascolto verrà dopo, per il momento la parola dice altro, un altro che mi convince e a volte non mi convince, un altro che divaga e attende.

Recensione. ↔ La fuga dall’Ordine è per il Maestro del gioco il proprio coinvolgimento, una frattura se non proprio un’apertura nel senso cui si intende qui. L’Ordine è autenticità ma è anche parzialità, esso è uscito dall’era della chiacchiera e delle recensioni del sapere giornalistico, cioè dell’heideggeriano porre in discussione, costruendosi come somma o totalità di tutto il sapere relazionato appunto nel gioco delle perle.

Banditismo sociale. ↔ Accade così, da un momento all’altro, di dubitare. Non c’è un motivo valido, come una effusione amorosa, in un’esistenza di pesce dentro e fuori la libreria. La nebbia storica, con le sue maniere, un dandy dello stupro e scassinatore, ladro di macchine, operazioni delicate.

Galileo Galilei. ↔ “Forse stima che la filosofia sia un libro e una fantasia d’un uomo, come l’Iliade e l’Orlando furioso, libri ne’ quali la meno importante cosa è che quello che vi è scritto sia vero. Signor Sarsi, la cosa non istà così. La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l’universo, ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola, senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto”.

Ricerche su Dioniso. ↔ In effetti una corrente ideologica sotterranea percorre tutto il pensiero antico e si contrappone all’ideologia dominante con una propria cultura, cioè con un insieme di miti e di leggende, di ricordi e di racconti orali. È certamente molto approssimativo identificare questo insieme culturale col mito di Dioniso, ma questo mito dovette senz’altro rappresentare una larga parte di quel movimento antagonista per quanto poi si intrecciasse e si confondesse con altri miti e altre tradizioni. Il pensiero classico ufficiale è difatti molto coerente nella condanna delle insurrezioni degli schiavi. E non poteva essere altrimenti. Gli storici del potere sono essi stessi un’espressione del potere, ed abbiamo visto nelle precedenti parole di Diodoro Siculo accanto ad una malcelata paura, lo scandalizzarsi vero e proprio per l’ardire di questa sottospecie di uomini che osano attaccare la santità stessa dell’Impero. Il concetto moderno di rivolta e quindi anche quello correlato e più ampio di rivoluzione manca del tutto nel pensiero antico. Il motivo è semplice: la concezione del mondo per gli antichi aveva un fondamento esclusivamente statico, manca loro un’idea di progresso che facesse considerare la storia come uno svolgimento, cioè come una vicenda che si delinea nel tempo, che si sviluppa, si costruisce lentamente e che può anche subire improvvisi e profondi cambiamenti.

Distruzione. ↔ Cusano. “L’infinito è la distruzione del finito”. L’infinito non si può comprendere che partendo dal finito, ma bisogna evitare di distruggere quest’ultimo per salvare la comprensione del primo, in questo caso si perderebbero tutte e due le conoscenze. Per quanto risibili queste conoscenze siano, esse si inseriscono, anche loro, in un cerchio che è semplice movimento, da cui posso salpare per terre lontane.

Estremismo muscolare. ↔ Se voglio vincere a ogni costo sugli altri, o su di me, tutto svanisce in un estremismo muscolare o in un precario equilibrio che mi priva di ogni sensazione degna di essere vissuta.

Comunista. ↔ Il comunismo va bene, non vanno bene i lager e i massacri. Ma così facendo, rifiutandosi di fare una critica non solo dei lager e dei massacri, fatti evidenti, ma anche del comunismo di Stato, si conferma proprio l’utilizzo metafisico e ideologico della teoria comunista.

Foglio marrone chiaro cm. 16x19

Due tipi di movimento. ↔ Con la mia scomparsa, scomparirà anche questo tipo di movimento, estremamente complesso, in cui si inserisce l’uomo, il movimento che ho definitivo della concretezza, ma la realtà allora non sarà più come io la posso conoscere adesso, sia pure parzialmente.

Tre livelli di effettualità. ↔ Il senso procede nella totalità del reale alternando l’accumulo all’affievolimento, questo processo avviene attraverso l’orientamento dei flussi e la loro riunificazione grazie al movimento dei tre livelli dell’effettualità.

Coscienza. ↔ La coscienza è posta sul chi vive dalla propria stessa diversità.

Individuo. ↔ L’individuo è condotto a nascondersi dietro il simbolo e dentro il gregge. Tutti agiscono allo stesso modo e si muovono in un ambiente che tende a omogeneizzarsi.

Modificazione. ↔ La modificazione è anche capace di comprendere in sé, come insieme strutturale, aspetti e ricordi di provenienza qualitativa sempre filtrati attraverso l’accumulo.

Oggetti. ↔ Nel tardo Medioevo una bolla papale denunciava coloro che per mezzo di pratiche magiche imprigionavano dèmoni in immagini o in altri oggetti, interrogandoli e ottenendo risposte.

Apprensione. ↔ È la ragione che alimenta la conoscenza come apprensione nella realtà codificata della differenza di cui, in base ai protocolli, si comincia a misurare e specificare la presenza.

Interpretazione. ↔ Nella inquietudine deformata, la paura viene usata come forza immaginativa per portare gli oggetti oltre l’apertura, per costruire il vasto mondo dell’interpretazione.

Scala di valori. ↔ Non c’è una scala di valori nella realtà. È solo l’immediatezza e le sue varianti effettuali che producono giudizi di valutazione, ma la realtà le considera elementi relazionali legati insieme dal movimento possibile, mai da una necessità obbligatoria.

Valutazione. ↔ Ogni valutazione è circoscritta, il modo in cui fisso i miei riferimenti si evolve, alla fine vengo espulso dalla totalità. I miei stessi strumenti di riflessione mi faranno compagnia nell’esodo.

Trasformazione. ↔ La trasformazione non è un opposto della cosa ma è la cosa, è per me che essa è azione, cioè l’opposto del fare, ma questo opposto è sempre nella cosa solo che il mio sforzo negativo di orientamento e interpretazione ha ricavato il fondamento provvisorio della quantità su cui sono pronto a giurare. Vivo del fare e nel fare, riconquistando la qualità torno a perderla nel fare attraverso un nuovo orientamento. Nessuna domanda potrebbe mettermi in condizioni di vivere la qualità, ma io sono incapace di non porre domande, ecco perché sono qui.

Cosa. ↔ La cosa è infinito niente, non corre, non scamperà nella distesa dei richiami.

Decisione. ↔ Se per scelta intendo semplicemente una decisione fra diverse possibilità, il che comunemente è piuttosto comune accettare, si sottrae al termine ogni interesse e lo si carica di velleità idealiste, se invece gli si attribuisce il significato di scelta in vista dell’azione, allora sono nel campo trasformativo e tutto diventa più interessante, in ambedue i casi la conclusione resta quella di una situazione relazionale complessa e tutt’altro che puntuale.

Situazione1. ↔ Sono un semplice riferimento passivo di una situazione che non governo più. Lo stesso controllo esercitato dalla mia volontà si allenta e non ne capisco il perché.

Destrutturazione. ↔ La vischiosità della destrutturazione è un fenomeno che ritarda le modificazioni di qualsiasi struttura e agisce anche qui rendendo la vita delle situazioni piuttosto resistente, almeno se paragonata a quella dei flussi.

Intenzionalità individuale. ↔ L’affievolimento di alcune strutture, considerato dalla logica analitica come destrutturazione, consiste in un abbandono più o meno significativo di alcuni aspetti dell’assetto relazionale e dei nessi con gli altri assetti relazionali.

Mascheramento ricognitivo. ↔ Nell’estremismo di superficie c’è un doppio mascheramento della propria tendenza a rifiutare, da un lato si vorrebbe scendere, dall’altro non si vuole abbandonare il senso ricognitivo. Chi possiede una reale disposizione al rischio finisce per nascondere direttamente la spinta alla duplice avventura del senso, chi è insicuro di sé opera una doppia parentesi, inserisce una riserva che rischia di annegare la prima mascheratura, ribadendo la violenta priorità del senso.

Incoerenza dell’oggetto. ↔ Il movimento rimane catturato però nella modificazione, dove trova sensazioni dominanti e volontarie sempre più forti, che precipitano e traboccano nel presente, nella incoerenza dell’oggetto e nella causalità del presente. Un immenso apparato di funzioni coordinate da regole e corrispondenze produce un gioco che si sviluppa per piani distinti ma non contrastanti.

Spazio1. ↔ Il movimento con cui realizzo la qualità presenta la grande difficoltà di essere mantenuto al di là del tempo e dello spazio, come si mantiene una conquista che so irrimediabilmente votata all’inutilità.

Affievolimento. ↔ La morte non scioglie il flusso di possibilità raccolto nel destino, l’affievolimento è talmente forte che rende inintelligibile ogni messaggio fino a farlo sparire. Tutto il resto continua non più governato da me e partecipa del mondo delle relazioni.

Implicazioni relazionali. ↔ Le implicazioni relazionali sono molteplici e non sono nemmeno queste attingibili attraverso gli assetti strutturali.

Assetto. ↔ L’originarietà dell’antefatto partecipa interamente alla contingenza inquieta dell’accadimento reale, capace di sconvolgere l’assetto ordinato della coscienza. Bisogna però possedere gli strumenti adeguati a questo intervento di violenza e di raffinatezza.

Struttura1. ↔ Si ha con il riconoscimento della coscienza immediata. La struttura è approssimativa, anche un livello minimo di tensione finisce per scatenare conflitti insanabili. L’eccedenza di qualità, anche minima, induce a trovare un appoggio, ovviamente fittizio, una base strutturale fuori della stessa capacità di produrre senso.

Realtà1. ↔ La realtà è percepita da me, quindi è in relazione con me, sono io il suo artefice.

Azione. ↔ L’azione è conquista per la perdita, e consapevolezza di questo itinerario assurdo.

Movimento1. ↔ Nel territorio della desolazione, la massima tensione del desiderio si acquieta facilmente nello sbocco riunificatore del movimento.

Tempo1. ↔ Il tempo torna randagio.

Spazio2. ↔ Una conoscenza della geografia del territorio della cosa aggrotta lo spazio della struttura.

Forma1. ↔ Nella caccia alla qualità, cioè alla forma della vita, non c’è mistero in gioco, non ci sono suoni di violini o rapimenti estatici. Ci sono solo dubbi di sapienti e paure.

Effettualità. ↔ La coscienza, avendo ormai avviato l’effettualità interpretativa, adesso la vede in pieno viaggio verso la cosa, e trova sempre mille scuse per tornare al senso e all’accumulazione.

Campo1. ↔ Ci sono zone estranee, per quanto ridotte, dove lo sguardo della diversità attraversa le regole e i protocolli del campo e li svuota di contenuto.

Spazio3. ↔ La sua vita è tutta racchiusa nell’attimo, in un’estrema puntualizzazione del tempo e dello spazio, e gli sta bene così.

Interpretare. ↔ Non si tratta qui di interpretare aspetti misterici della realtà. Tutto ciò non avrebbe gusto.

Trasformare. ↔ L’insistenza sulla cosa permette di svolgere un progetto di penetrazione, cioè di trasformare il protrarsi inquieto in un’attività diversa.

Senso. ↔ Il progetto penetrativo è di natura critica e tende a capire, a recarsi, al di là delle strutture opache che costituiscono il senso.

Tensione. ↔ La tensione allontanata è ricordo oggettuale, quindi anch’essa concetto, solo ormai del tutto perduto, un’allucinazione da specchio.

Situazione2. ↔ Il rapporto fra strutture implica una certa situazione nel campo, cioè ogni struttura si situa in relazione alle altre, e questo suo situarsi è a prescindere dal protocollo spaziale, cioè una situazione a esempio puntuale, come un semplice concetto, nomina orientamenti e quindi polarizza nel campo connessioni con altri aggregati relazionali altrettanto significativi di quelli messi in atto da aggregati strutturali macroscopici.

Relazione. ↔ la relazione è, nello stesso tempo, conosciuta e ignota, orientata e non orientata, nominata e non nominata.

Flusso. ↔ Il flusso è praticamente costituito da relazioni e le sue vicende di separazione e unificazione non cambiano questa sua base fondamentale.

Realtà2. ↔ Sofocle riflette sulla follia che non consente di vedere la realtà, la presenza del dio è il fulcro attorno al quale ruota la visione fantastica che acceca e sconvolge il retto vedere.

Movimento2. ↔ Søren Kierkegaard. “Non è strano porre il movimento a fondamento di una sfera dove il movimento è impensabile, ovvero lasciare che il movimento spieghi la logica mentre la logica non può spiegare il movimento? In un sistema logico non si deve assumere nulla che abbia un rapporto all’esistenza, che non sia indifferente rispetto all’esistenza”.

Campo2. ↔ Solo se ammetto che l’oggetto è un prodotto della coscienza immediata, del soggetto, risolvo tutte le antinomie del rinvio all’infinito accettando la convenzione del campo e ciò perché l’oggetto in questo modo è oltre tutte le possibili antinomie.

Tempo2. ↔ Il tempo come movimento che incessantemente procede finisce che si mangia la coda. Le notti seguono ai giorni, le figure della festa e del dolore ritornano mentre la linea ripara in secondo piano, assistita dalle formule religiose che cercano di garantirla. Costruire un materialismo senza tempo, il sogno dell’impossibile che perseguo da troppo tempo.

Spazio4. ↔ Le quantità si affastellano, ecco lo spazio della menzogna che nasconde malamente i macchinari, le pretese ordinative dell’accumulazione.

Struttura2. ↔ L’irrigidimento dei movimenti produce una struttura, dapprima esigua, poi sempre più estesa.

Forma2. ↔ La tensione, cioè l’intensità qualitativa possibile, che abita nella cosa, viene orientata in direzione contraria, e si indirizza verso il terreno della forma.

Foglio bianco cm. 21x15

Attenzione. ↔ Søren Kierkegaard. “L’attenzione è quando la vita vuole un solo obiettivo”.

Campo. ↔ Solo il sapere è inutile, ed è inutile perché non sottostà alle regole del campo.

Flussi. ↔ Śiva è il signore delle delizie e della sofferenza, della peste che uccide e delle gioie feconde, governa i flussi delle vene e del cuore, un tocco suscita passione, uno sguardo distrugge.

Forme. ↔ Non si vede ancora chiaro nelle prospettive di brutte e strane forme di metallo e mattoni.

Strutture. ↔ La forma invece è il territorio di confine delle strutture, e queste ultime non hanno un unico modo di contatto con la forma.

Prevalenza della tensione. ↔ Ci sono confini della singola relazione, o come qualche volta ho indicato dell’elemento puntuale ipotetico, i quali sono caratterizzati da una prevalenza del contenuto o della tensione, oppure da una ripartizione tra questi due aspetti che non raggiunge mai una posizione di equilibrio e che equivale in sostanza a una posizione del genere come si esprime nel flusso unificato.

Prevalenza del senso. ↔ Ho visto come si sviluppano i versanti nell’individuo, con un più ampio versante soggettivo con prevalenza di flussi unificati. Quando questa prevalenza si riduce e aumentano i flussi di senso che entrano solo in quanto orientati verso il senso, il risultato è una vera e propria reificazione dell’individuo.

Quantità. ↔ Attraverso la quantità analizzo tempi e processi, spazi e correlazioni, lo faccio faticosamente e dolorosamente, ma questo fare mi individua dominandomi.

Senso. ↔ L’oggetto è racchiuso in se stesso nell’ambito dei propri confini relazionali, questi sono tanto più rigidi quanto più il senso deve essere tenuto prigioniero in una prospettiva di ripetitività che da per se stessa è piuttosto estranea alle condizioni relazionali.

Qualità1. ↔ Sono io che immagino l’uno come possibilità infinitamente creativa, mi è comoda questa figura per designare il luogo della qualità, ma è la qualità che rifiuta il luogo e quindi non c’è creazione se non per me che la penso come possibilità dell’uno che è e che non può non essere.

Tensione. ↔ C’è nella voce della cosa una tensione qualitativa che non è la voce stessa, come la paura non è l’urlo con cui si esprime.

Cosa. ↔ Il tempo batte i suoi istanti e questi, a loro volta, battono le pareti della mia gabbia, ognuno proponendosi come l’istante buono, quello in cui accadrà l’evento diverso, l’accesso alla cosa.

Forza della cosa. ↔ Nell’improvviso sopravvento della qualità, che in ogni caso continua a sfuggirmi, ma è sempre là davanti a me, c’è tutta la forza della cosa.

Prevalenza della forma. ↔ Nel caso di prevalenza del senso ci sarebbe l’orientamento, nel caso di prevalenza della forma l’immediatezza prenderebbe la via della fantasia e l’orientamento non si verificherebbe.

Qualità2. ↔ Nella trasformazione, un qualcosa in più.

Foglietto bianco cm. 12x12

Dire di no. ↔ Pierre Joubert, uno spirito caustico capace perfino di dire di no.

Ricusare. ↔ Friedrich Nietzsche. “Il mondo è semmai tornato a essere infinito, nella misura in cui non possiamo ricusare la possibilità che esso racchiuda interpretazioni infinite”.

Smentire. ↔ Non è vero che non desidero il dolore o la paura, mille prove pratiche potrebbero smentire questa affermazione di cautela.

Confessare. ↔ Non si può non confessare la grande utilità del senso comune.

Rispondere di no. ↔ Sulle soglie del viaggio nel territorio della desolazione, occorre ribadire che non è tanto importante il rifiuto della ragione, fatto di per sé non trascurabile, quanto l’affermazione che la ragione ha in sé una legge del cuore, il proprio rispondere di no. Il rifiuto radicale di cui parlo non è una critica oggettiva, ma un altro modo di chiamare il coinvolgimento.

Critica, che è? ↔ La critica è radicale nel momento in cui opera in vista del coinvolgimento, in caso contrario diventa semplice motivo di soddisfazione per la coscienza immediata, ulteriore chiusura del processo di archiviazione.

Accumulo1. ↔ Pensare che soltanto l’accumulo abbia un valore, in termini appunto di campo, come vuole la tesi dello storicismo, significa sacrificare la vita, accontentarsi di un riflesso pallido ed estenuato, quello dei valori del campo, semplici residui.

Modificazione. ↔ Ogni singolo elemento della modificazione è nel campo rappresentazione per l’altro, quindi universo chiuso che posso smontare a mio piacimento, fino in fondo, senza riuscire a possederlo.

Distinguere bene. ↔ Occorre distinguere bene tra fare e agire.

Accumulo2. ↔ L’accumulo può fare saltare le regole del campo e prospettarmi la diversità.

Concetto. ↔ In una filosofia relazionale il concetto di possibilità è per forza un concetto affievolito.

Produzione. ↔ La conservazione non ha qui nessuno dei significati che invece assume nell’ambito dell’accumulo, dove diventa difesa punteruola e controllo preventivo di quanto ridotto alle condizioni della produzione.

Oggetto. ↔ L’oggetto è tale perché la sua oggettualità ha perduto la cosa che avrebbe potuto renderlo veramente oggetto, cioè qualcosa di oggettivo nel senso proprio del termine, una parte della cosa senza la perdita della qualità.

Interpretazione come lavoro d’arte. ↔ Il facitore del lavoro d’arte, sia pure in maniera preliminare, riapre la partita proponendo l’avventura verso la cosa e facendo venire meno l’utilità oggettuale grazie ai movimenti deformativi.

Trasformazione come idea. ↔ Ogni idea di libertà è sempre ordinativa, perché corrisponde a movimenti del residuo qualitativo, non alla libertà vera e propria, che però come assenza intuita della tensione, provoca l’emozione di cui parlo. La sensazione di gioia, di dolore, di piacere o di paura, è unitaria, non c’è modo di distinguerla se non artificialmente, dividendo e specificando la gioia dal dolore, il piacere dalla paura, ecc.

Nuovi sviluppi. ↔ Ilya Prigogine. “Come caratterizzare il momento scientifico nel quale viviamo oggi? Indubbiamente la scienza conosce nuovi sviluppi nei più svariati campi, ma sembra anche trovarsi di fronte a un bivio, il mondo è termodinamico o meccanico? A questa domanda, alcune decine di anni fa, si sarebbe risposto, il mondo è essenzialmente meccanico, la termodinamica vi svolge una parte secondaria. Ora la risposta sarebbe più incerta, ci sono state le scoperte delle particelle elementari instabili, alcune scoperte di cosmologia, e tutte quelle del campo della fisica del non equilibrio”.

Penetrazione. ↔ Henri Bergson tratteggia una rete completa di penetrazione vitale, in lui non c’è traccia di relazionismo vero e proprio. Questa assenza di limiti è una specie di vizio dell’idea della completezza che è di già esistente prima di essere raggiunta.

Protrarre. ↔ La follia non può essere considerata una soluzione per la diversità, o il suo naturale completamento o acquietamento, piuttosto un protrarre la morte.

Scendere. ↔ Andare avanti vuole dire scendere nel vivo della produzione, rendersi conto del funzionamento utilitario della struttura, non baloccarsi su movimenti esclusivamente astratti operati dall’orientamento.

Pagina di rispetto di un quaderno cm. 15x20,5

Niente da togliere. ↔ Dialettica.

Filosofia e sapienza. ↔ Alano di Lilla. “Ragione immanente, profondo noûs, sapienza vera, autentica luce ignara delle tenebre, origine somma, perfetta bellezza del mondo, vita perenne, che governi le cose create e coordini quelle che verranno, fai vivere ciò che nasce, riporti ogni cosa ad un ordine numerico, dando consistenza a ciascuna cosa in virtù del peso che le conferisci, e tieni tutto quanto fermo ad una misura costante, tu che realizzi le specie delle cose e l’ombra del mondo sensibile”.

Campo e costume. ↔ Rimbaud. “Princesses de démarche et de costume tyranniques, petites étrangères et personnes doucement malheureuses”.

Acquisire. ↔ L’acquisire una condizione di maggiore rigidità, nel corso stesso della concretezza attiva, porta qualche volta a un abbreviarsi del percorso esplorativo, a un’acquisizione quasi minerale della qualità, movimenti che preludono di regola a un abbandono o almeno a una riduzione d’importanza dell’obiettivo dell’unificazione nei riguardi della cosa.

Sfumature1. ↔ Le intuizioni rapidissime e le folgoranti trasformazioni, che lei vorrebbe calare nei protocolli soliti, sfuggono a misurazioni e calcoli, smarrendosi in sottigliezze insolite, in sfumature di buio e di luce, in emozioni, in silenzi.

Critica. ↔ Avanzo con alterigia e con arbitrio, non acconsentendo ma distruggendo, la mia mania sconvolge gli assetti viventi non li adula, la mia critica negativa corrode non allenta le catene.

Forma. ↔ L’orientamento fonda da questo lato, nella struttura e nel senso, la forma e la tensione si allungano come le ombre della sera e hanno solo l’urgenza di scomparire all’orizzonte.

Sfumature2. ↔ L’attività nel suo stesso procedere riesce a cogliere le bizzarrie di una testa fantastica, tutte le sfumature patologiche del possesso, come pure il ruolo che quest’ultimo ha di equilibrare i movimenti più incerti, fissandoli in strutture funzionali e legittime.

Apertura alla differenza. ↔ Nel progetto della realtà la differenza tra passato e futuro viene annullata. Non sono più io e l’accumulo di me stesso, l’immediatezza prigioniera del suo corredo di strumenti fra le quattro pareti del laboratorio, ma adesso spazio nell’apertura alla diversità.

Lavoro d’arte. ↔ La caratterizzazione della fase interpretativa sarà il dare vita alla deformazione dei contenuti del campo, quindi alla loro rielaborazione nel lavoro d’arte, quella della fase trasformativa sarà l’orientamento dell’esperienza diversa fatta con la qualità, cioè dell’idea della cosa.

Cosa. ↔ La tensione è travaglio, movimento della cosa, contrasto, lotta, anche perché pone problemi indecifrabili al senso.

Indifferenza. ↔ L’abitudine costruisce poi l’indifferenza come qualcosa di inappropriato.

Intelletto e volontà. ↔ = ragione.

Struttura rigida. ↔ L’autenticità, intesa come attitudine, come idoneità, viene dedotta dalla stessa condizione accumulativa, la quale non avrebbe la struttura rigida del fare coatto se possedesse una possibilità realmente progressiva.

Struttura incerta. ↔ L’uomo, struttura incerta e vicina alla forma, oggetto precario per eccellenza.

Vicinanza alla forma. ↔ Il mondo è caratterizzato dalle strutture più deboli, a causa della loro vicinanza alla forma, e non dalle strutture più rigide che sono quelle più lontane dalla forma.

Lontananza dalla forma. ↔ Alcuni aspetti della struttura che mi riguarda, sono talmente rigidi da avere una lontananza dalla forma che li rende quasi predeterminati.

Centro e periferia. ↔ = interscambio.

Oltrepassamento. ↔ L’oltrepassamento è ancora lontano, mentre l’insieme dei movimenti contraddittori che lo caratterizzano sono di già in corso. Scopro così il mondo della diversità, vedo con occhi diversi e sono io stesso la diversità.

Tensione. ↔ = movimento della forma che tolgo via nell’orientamento.

Iniziazione al sapere inutile. ↔ L’intuizione del mio movimento narrativo costituisce un evento di grande importanza trasformativa, può contribuire a gettare le basi per quella che considero una iniziazione al sapere inutile.

Oggetto e contenuto. ↔ = senso dell’oggetto.

Come ha origine l’orientamento? ↔ Per la precisione l’orientamento è il fare della coscienza immediata con cui ha origine la percezione.

Foglio bianco cm. 21x29,7

Esperienza di un quotidiano. ↔ L’esperienza che abbiamo fatto insieme. L’idea di dar vita ad un quotidiano anarchico a livello nazionale ha affascinato e tenuto impegnati negli ultimi due anni molti compagni. Non voglio qui fare il punto sulla situazione cui siamo pervenuti, e sugli esiti di un numero di prova come quello che ospita questo mio intervento. Mi preme di più invece sottolineare gli aspetti interessanti dell’intero percorso in comune che è stato fatto, e quello che per me questo percorso ha avuto di entusiasmante e di deludente. Devo ricordare qui, per coloro che non avessero fatto attenzione alla cosa, che per la prima volta veniva tentato un quotidiano anarchico non di tendenza, cioè non un quotidiano come a suo tempo furono l’argentino “La Protesta” o il malatestiano “Umanità Nova”, ma un quotidiano aperto a tutte le idee nelle quali oggi prende corpo e si fa vita il movimento anarchico italiano. Le difficoltà di un’impresa del genere sono solo in parte state sormontate. La dichiarazione di princìpi che trova posto in questo stesso numero prova è un risultato acquisito in questa direzione. Allo stesso modo lo schema di funzionamento che cerca, pur nella sua apparente macchinosità, di dar vita ad un meccanismo redazionale in cui nessuna decisione di pubblicare o meno possa risultare coartazione di una minoranza da parte di una maggioranza. È ovvio che in condizioni redazionali di tendenza questi problemi non avrebbero avuto senso. Il giornale sarebbe uscito dalle mani di una redazione fortemente affine e sarebbe stato altrettanto fortemente caratterizzato dalla personalità dei suoi redattori se non del solo direttore responsabile, come accadeva al sempre citato “Umanità Nova” malatestiano. Non posso dire, pur dopo tante riunioni, che questo problema del funzionamento redazionale, cioè dei rapporti tra redazione tecnica e redazioni periferiche, si possa considerare risolto in forma definitiva. Forse la pratica redazionale di un giornale vivo e vero potrebbe riservare ancora sorprese piuttosto amare, ma per il momento mi sembra che ci si sia attestati su posizioni molto interessanti e produttive di possibili collaborazioni anche fra pratiche e idee anarchiche differenti. Veniamo alle delusioni. Prima fra tutte il ritardo nella scomparsa di reciproci sospetti e la persistenza di sospensioni di giudizio che non possono che nuocere non solo ad una iniziativa come quella del quotidiano, ma a qualsiasi altra iniziativa anarchica che intendesse superare le attuali, fittizie barriere tra i differenti modi di vivere il proprio essere anarchici. Poi il persistere in molti compagni, sebbene non in tutti, di una scarsa considerazione delle proprie capacità, anche strettamente redazionali. So benissimo che la quasi totalità dei compagni partecipanti all’iniziativa non ha mai lavorato in un giornale, ma a mio giudizio non è questo un ostacolo, in quanto il prodotto che si ha in mente non è certo il “giornale” in senso classico, ma un giornale “diverso”, tutto da inventare, all’interno del quale le competenze specifiche pur continuando ad avere una certa importanza, non hanno il valore assoluto che possono avere nella redazione di un qualsiasi giornale. Personalmente penso che dar vita ad un quotidiano sia ancora possibile e che non si tratta di un sogno da mettere nel cassetto chissà per quanto tempo. Basta credere di più nelle proprie possibilità e manifestare una maggiore fiducia nelle intenzioni di quei compagni che da tempo si sono fatti promotori dell’iniziativa. Se qualcosa uscirà da tutto questo lavoro preparatorio, sarà qualcosa di comune, che faremo tutti insieme e che sarà utile per tutti.

Esperienza di una rivista. ↔ Perché Macknovicna? Questo il titolo della nostra rivista. Un titolo che ricorda avvenimenti e realizzazioni ben definiti, un titolo che richiama alla memoria il nome di un grande rivoluzionario anarchico: Mackno. Occorrono, ad uso dei nostri lettori, alcune precisazioni sul perché si è scelto questo titolo. Innanzi tutto non lo si è scelto per condizionare tutto il nostro lavoro nei limiti, oggi [1975] troppo ristretti, delle realizzazioni e delle teorizzazioni che per un verso o per l’altro si richiamano a Mackno e al suo lavoro. Noi consideriamo la figura di Mackno come una delle più notevoli della storia dell’anarchismo, non come la sola che possa oggi indicare una strada da seguire a occhi chiusi. Allo stesso modo, con l’uso di questo titolo, non intendiamo sottoscrivere la validità di quella piattaforma che si richiama parimenti al nome di Mackno e che in questi ultimi tempi vediamo circolare tanto insistentemente in traduzioni italiane in Italia, dopo avere richiamato l’attenzione di diversi gruppi. Se quest’ultima ha qualche utilità sarà cosa che andrà discussa ed esaminata a tempo e luogo, ma in questa sede possiamo dire che in alcun modo vediamo in essa un punto di riferimento fondamentale, oggi, per l’anarchismo italiano e internazionale. Macknovicna comunque significa anche qualcosa di valido e di attuale, significa un tentativo di costruzione di una società diversa avvenuto in un momento rivoluzionario contro la volontà di coloro che intendevano strumentalizzare la rivoluzione a favore di una nuova cricca di potere. Significa, se si vuole, problema profondamente controverso da approfondire e da studiare, ma significa anche lotta rivoluzionaria contro il nemico di sempre e contro il nuovo nemico che si profilerà all’orizzonte della rivoluzione, quando gli autoritari cercheranno di riproporre il loro discorso di gestione del vecchio potere. Significa eliminazione dei concetti di proprietà e di casta, guerra ad ogni compromesso con la gestione del potere, eliminazione dei fondamenti della divisione in classi, e tutto ciò non come solitamente avviene, sulla carta e con belle frasi o altrettanto belle analisi che restano quello che sono, ma con l’azione diretta, con la forza delle armi della rivoluzione. In questi ultimi significati acquista valore, per noi, la Macknovicna, diventando se non proprio un punto di riferimento per la nostra problematica, cosa che risulterebbe necessariamente angusta visto il rapido evolversi dei tempi e delle prospettive rivoluzionarie, una discriminante utile a farci capire che cosa non è l’anarchismo nella sua fase attiva, che cosa resta soltanto elucubrazione cervellotica di qualche teorico isolato.

Progetto di una cooperativa editoriale. ↔ La nascita di una iniziativa editoriale politicizzata è legata oggi [1973] a molti presupposti, non sempre realizzabili, che è bene chiarire subito, onde dominarne per tempo le difficoltà di attuazione o ridurne i rischi di un loro concretizzarsi come ostacolo ai fini proposti dall’iniziativa. Il primo elemento che occorre determinare bene è l’indirizzo politico da dare all’iniziativa. Non c’è dubbio che questo indirizzo, almeno riguardo il problema che ci occupa, sia di sinistra, cioè si presenti con caratteristiche accentuatamente progressiste, con caratteristiche antitradizionali (nel senso politico del termine), con caratteristiche antiaccademiche (nel senso di non legarci a interessi di carriera o arrivismi), con caratteristiche antipartitiche (nel senso di non legarsi a questo o a quel partito di sinistra, in senso specifico), con caratteristiche positivamente culturali e di controinformazione (nel senso di controbattere la disinformazione ufficiale del sistema). Il problema politico militante che dalla prima riunione fatta è emerso giustamente come momento centrale dell’iniziativa editoriale, andrebbe quindi affrontato attraverso una dimensione di ricerca teorica, storica e politica, e non soltanto attraverso una dimensione politica militante in forma diretta. Ad esempio, dovendosi affrontare il problema meridionalistico, il lavoro potrebbe avere questa tipicità di svolgimento. Indagini concrete su realtà specifiche locali del meridione, indagini di tipo socioeconomico con analisi statistiche dei risultati, indagini di più ampio raggio partenti da dati raccolti da altri, valutazioni politiche sul problema meridionalistico in generale o sui diversi settori in cui esso si articola, analisi storiche sulle diverse considerazioni del problema meridionalistico, da Gramsci in noi. Ma, e qui andrebbero fatte precise limitazioni, nessun interesse rispecchierebbe per noi un’analisi del tipo di quelle che sono solite pubblicare riviste come “Rinascita” o giornali come “L’Unità”, ecc., cioè indagini dove è in prima linea l’elemento determinante del partito e la politica elettoralistica dello stesso. In questo modo si avrebbe la possibilità di azionare una tribuna culturale dalla quale fare partire delle interpretazioni di singole realtà, organate in modo che non emerga un intento polemico con questo o quello schieramento politico di sinistra, ma una sollecitazione di ricerca e di approfondimento. Quando, dalla realizzazione concreta delle ricerche pubblicate, dovessero emergere implicite divergenze di interpretazioni tra la concezione teorica dei singoli problemi con quella, poniamo, dei grossi schieramenti politici di sinistra (ad es. PCI) la cosa non potrebbe in alcun modo essere considerata un attacco al partito in senso specifico, questione che non deve assolutamente formare l’oggetto dell’attività dal gruppo editoriale. Esiste una larga fascia di problemi che è possibile affrontare senza dare di punta con una polemica spicciola contro i partiti, polemica che farebbe scadere il contenuto della rivista, o dello strumento che si deciderà di realizzare, a battibecco parlamentare o tribunizio. Problemi come quello delle singole realtà zonali, di grande rilievo, oggi, in una fase di ristrutturazione capitalista, possono avere una grande importanza sia costituendo materiale di costruzione di una futura analisi sintetica di domani, sia anche come singolo contributo alla chiarificazione militante delle forze rivoluzionarie. Problemi come quelli teorici e storici, sul marxismo o suoi rapporti di questa dottrina con le altre componenti dello schema culturale radicale e rivoluzionario, hanno sempre importanza grandissima, ponendosi come valida chiarificazione delle forze che oggi agiscono su realtà concrete e che, spesso, non sono più in grado di valutare le divergenze di fondo alle quali hanno dovuto soggiacere senza accorgersene. Problemi come l’alienazione nella società moderna, la burocratizzazione e suoi effetti, l’autogestione economica degli Stati cosiddetti socialisti, o tanti altri che non importa indicare, sono di grande valore, certamente più importanti di quella polemica spicciola cui facevamo cenno prima. Resta, comunque, la buona volontà, di tutti i partecipanti, nel proporsi di fare restare in piedi un organismo che, senza fare concessioni a ogni tipo di compromesso all’ideologia comunista e libertaria in genere, possa nel tempo sviluppare una ricerca comune di un certo valore e di un certo significato.

Elementi per una metodologia anarchica. ↔ La mente è una riunione anarchica di unità altamente specializzate.

Luoghi comuni. ↔ Le pretese generalizzanti si presentano sempre in una lingua ottusa, massificata, cementata in luoghi comuni, difficili da smontare.

Prenozioni. ↔ Quegli oggetti particolari che sono le prenozioni comuni, vestite dalla parola mi arricchiscono enormemente malgrado la loro presentazione costantemente conchiusa. D’altro canto, non è forse parimenti conchiuso anche il mio pensiero? Riesco forse a parlare dell’inquietudine in modo inquieto?

Verità. ↔ Se io amo la verità non posso dirlo nel concetto di campo che caratterizza la verità svolta nella corrispondenza tautologica, o nella tesi del rispecchiamento.

Linguaggio. ↔ Il mondo mi indica una strada per sentire la sua stridente modificazione, per sentirla bene al di là del catalogo, e questo meccanismo mi parla un nuovo linguaggio ricco di suggestioni e immagini.

Scienza. ↔ I presupposti della vita sono di tipo problematico, le categorie sclerotiche della scienza non li attingono.

Forme sociali. ↔ Si formano strutture istituzionali che costituiscono gli antipodi di alcune implicazioni relazionali anch’esse fondamentali, capaci di produrre forme sociali che hanno grande importanza.

Continuo-discreto. ↔ Il concetto di permanenza è estraneo sia alla filosofia relazionale che alla logica analitica, dove il continuo è artificiosamente deformato nel discreto.

Integrale-sommatoria. ↔ Ogni atomo della conoscenza ora mi apre a una filosofia relazionale che prima si rinchiudeva in una prospettiva di semplice sommatoria.

Matematica. ↔ La matematica odierna ha fatto vedere le difficoltà di arrivare a stabilire il concetto di continuità. Sarebbe pertanto più logico ipotizzarlo in una contiguità totale.

Aritmetica. ↔ Contro ogni sistema si potrà sempre mettere sull’altro piatto della bilancia lo scetticismo, ma alla fine il suo peso diverrà così scarso rispetto all’altro che non lo danneggerà, più di quanto può danneggiare la quadratura aritmetica del circolo il fatto che essa è approssimativa.

Critica del nulla. ↔ Il fatto che è non esce dalla propria chiusura. In questo senso anche il nulla è, ma non mi dice altro non dicendomi qualcosa di diverso dal nulla.

Critica della partecipazione. ↔ L’oggetto prodotto si inserisce in un contesto relazionale, quasi sempre un assetto sufficientemente strutturato, in un modo differente in funzione della differente partecipazione del produttore.

Critica della previsione. ↔ Più la modificazione si accumula, più crescono le possibilità di sviluppi che allo stato attuale della previsione analitica risultano inconcepibili.

Critica del compromesso. ↔ È proprio l’interpretazione che permette di condurre l’incertezza all’interno dello strumento, obbligandola a rivelarsi nel corso del mascheramento stesso, cioè come contingenza che ha accettato un accordo, un compromesso, allo scopo di pervenire all’oggetto, che ha subito una sorta di riduzione, propriamente quella oggettuale, dalla quale vuole liberarsi non riconoscendo più la necessità di un sacrificio che avrebbe dovuto condurre al dominio e invece ha aperto la strada all’inquietudine.

Critica dell’approssimazione. ↔ La funzione della provvisorietà, o meglio ciò che è infondabile sostituisce sia la certezza del definitivo che la prudenza dell’approssimazione.

Anarchia. ↔ In fondo alla strada non c’è necessariamente l’anarchia.

Società. ↔ Carlo Michelstaedter. “La senti la voce della società? È come un ronzio colossale, ma se porgi l’orecchio a seguire i singoli suoni, udirai voci di impazienza, di eccitamento, voci di gaudenti senza gioia, di comando senza forza, di bestemmia senza scopo. E se li guardi negli occhi, vedrai in tutti, nel lieto e nel triste, nel ricco e nel povero, lo spavento e l’ansia della bestia perseguitata”.

Stato. ↔ C’è chi attribuisce tutto alle carenze repressive dello Stato e sogna un mondo altrimenti ordinato.

Problemi di metodo. ↔ La filosofia studia la parzialità e l’incompletezza dell’uomo, oltre ai suoi vari modi di essere nel mondo, e approfondisce anche problemi di metodo, quindi l’indagine critica sulle regole e sui protocolli, oltre ai meccanismi acquisitivi e ai problemi di limite, la sapienza va oltre e si diversifica in modo netto, fornendo occasioni di riflessioni sulle esperienze con la forma, con l’apertura verso la differenza, con la cosa.

Possibilità anarchiche. ↔ Che strano pensiero ha tenuto legato per decenni il cuore degli anarchici? Una volta si poteva fare con determinazione e animo pesante, senza pensarci due volte, adesso non più. L’ora avente questa capacità dominatrice del divenire è prigioniera della storia, è il dominio originario a dare il segno a questa concezione.

Teoria. ↔ La teoria è un modo della produzione, una produzione essa stessa che cerca di cogliere i movimenti rielaborativi dell’accumulo. Non è necessario che si basi su princìpi particolari o su categorie. L’orientamento del senso è un problema di campo.

Azione. ↔ È il momento estremo di chi agisce e si vede agire, nello stesso tempo, per cui capisce che egli è la coscienza che sta agendo, e anche la cosa su cui la sua azione si sta esercitando.

Spazio sociale. ↔ Nello spazio sociale si può anche dare vita a dei punti di vista relativi, in funzione del luogo di osservazione e delle implicazioni relazionali complessive sia di affievolimento o di intensificazione.

Dialettica. ↔ Karl Reinhardt. “Sorge così la dialettica, che è sempre nemica dell’esperienza e del senso, e solo grazie a questa inimicizia diviene grande”.

Teoria del valore simbolico. ↔ L’ideologia del valore d’uso è tramontata per sempre, in una condizione in cui prevale non solo il valore di scambio dell’oggetto, ma principalmente il suo valore simbolico, quello che il suo possesso può conferire al possessore in termini di status sociale.

Totalità. ↔ So bene che non avendo sperimentato direttamente questa affermazione essa appare quanto meno opinabile, ma avverto dentro di me mille sollecitazioni che mi incatenano al fascino segreto di un’avventura nella cosa, cioè nell’oggettività assoluta, nella totalità dell’uno che è, vinculum perfectionis, e so anche che in questo viaggio non potrò usare la logica dell’a poco a poco, ma devo impiegare una logica diversa, sperimentata nella critica negativa della interpretazione, la logica del tutto e subito.

La logica riformista dell’a poco a poco. ↔ Nella ipotesi di campo ci riesco bene e anche io stesso in quanto struttura individuale penso di conoscere bene e di muovere in modo definitivo, ma per poco che comincio a rifletterci sopra mi accorgo che queste certezze sono tutte approssimazioni analitiche, fantasmi della logica dell’a poco a poco.

La logica rivoluzionaria del tutto e subito. ↔ Lontana dalla qualità, che neanche il tutto e subito riesce a cogliere, la logica della spiegazione appare splendente come un sole di carta e si impregna di una forza fasulla che prima o poi finisce per mettere in mostra i propri limiti.

Struttura istituzionale. ↔ Alla struttura istituzionale famiglia, corrisponde la forma sociale dell’affettività.

Forma sociale. ↔ Alla struttura istituzionale organizzazione, corrisponde la forma sociale dell’affinità.

Livelli dello scontro. ↔ I livelli dello scontro attivo con la struttura, svolgendosi quasi completamente nell’ambito interpretativo, stringono gli assetti relazionali verso le loro estreme conclusioni, verso i loro affievolimenti più insospettati, senza alcuna remora nei riguardi delle regioni di confine.

Logica dell’azione. ↔ Si può ottenere così, nel campo, un senso universale, fondato naturalmente sul protocollo? Non è questo il problema che mi riguarda, in quanto preoccupato operatore della logica dell’azione.

Teoria del movimento. ↔ Arthur Schopenhauer descrive un movimento circolare che al suo acume filosofico appare privo di senso. La vita è per la percezione modificativa priva di senso. La qualità, separata dalla quantità, è priva di senso.

Indeterminazione. ↔ Friedrich Wilhelm Joseph Schelling distingue tra indeterminazione e determinazione, due princìpi, femminile e maschile, che separano il mondo e che solo il tempo si incarica di sfumare in espressioni diverse.

L’altra faccia della storia. ↔ La concezione di un progresso del genere umano nella storia è inseparabile da quella del processo della storia come percorrente un tempo omogeneo e vuoto.

Centralità. ↔ Il proliferare di sensi è indispensabile alla metafora, come mezzo per circoscrivere ad arbitrio la pretesa centralità dello strumento di partenza e anche come pratica di riduzione a ulteriore strumento di quel parallelismo che potrebbe pretendere alla gestione della metafora per intero.

Periferia. ↔ Tutte le volte che mi accingo a parlare del tutto inizio dalla mediazione, e qui trovo parole e occasioni che mi caratterizzano, ma che restano esterne, si aggirano alla periferia, mi rincuorano, mi dicono che sono sulla buona strada e così mi stornano e mi allontanano.

Utilità. ↔ La tesi diretta a sostenere un rapporto tra utilità e oggetto, per cui si poteva sfuggire a quest’ultimo solo venendo a cessare l’influenza della prima, è stata sempre posta male a causa del fatto che ciò che ho sempre sott’occhio è proprio l’oggetto e nient’altro, e ciò anche nel caso dell’opera d’arte la quale, erroneamente, è considerata qualcosa di diverso.

Vita. ↔ Qui sto parlando della vita, a un certo punto accade inevitabilmente che la vita cominci a scorrere più velocemente, non c’è più il tempo di una volta, gli indugi sono ormai rotti, sono stati rotti da un inestricabile miscuglio di elementi fisici e psichici, la vita è agli sgoccioli e bisogna prepararsi.

Sconfitta. ↔ Lottare fino alla morte, sputare la propria vita alla prima occasione, può essere un ottimo alibi per chi non si sente di affrontare tutte le condizioni dell’esistenza, le sue complicazioni, una scelta degli strumenti, un approfondimento dell’odio e dell’amore, una costruzione puramente teorica della conoscenza, sia pure nell’ottica razionale dell’a poco a poco, una coerenza con il proprio obiettivo di qualità, il lungo studio della sconfitta, l’esorcizzazione della vittoria.

Calcolo. ↔ Molti movimenti modificativi si ergono a legge di se stessi, come fa la volontà, che costituisce l’esempio più vistoso, tratta di procedura che impegna realmente la coscienza solo nell’utile, di quel calcolo della convenienza che costituisce certo una remora, ma soltanto esteriore.

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Implicazione-forma. ↔ Si ha con gli aspetti differenti che la qualità riesce ad assumere.

Interpretazione1. ↔ Rovesciamento del campo. La diversità si presenta soltanto attraverso l’inquietudine, quindi come rovesciamento dell’autosufficienza e del controllo.

Interpretazione2. ↔ Importante per l’azione. L’interpretazione è essa stessa territorio della deformazione oggettiva, non si può pensare a una separazione netta tra coscienza diversa e contenuti deformati.

Cosa oggettiva. ↔ La filosofia relazionale colloca fuori del campo le implicazioni formali della tensione, cioè i movimenti relazionali che racchiudono nella totalità del reale come nella cosa oggettiva, le qualità etiche che nel campo vengono viste soltanto nel pallido riflesso dei valori.

Azione soggettiva. ↔ La realtà della cosa è l’equivalente oggettivo dell’azione soggettiva, elementi ambedue finalmente liberi delle preoccupazioni sulla soglia della coscienza, sotto qualsiasi aspetto la si consideri.

Assetti. ↔ Gli assetti relazionali possono essere strutturati come si vuole ma restano sempre al di qua, in un ambito autogiustificato che una volta destituito dalla precedentemente supposta efficienza del meccanismo di supporto non può avere credito oggettivo al di là di quello che riuscirà a operare l’innesto dell’avventura interpretativa e trasformativa.

Strutture trasversali. ↔ Gli elementi strutturali si compongono in assetti differenti, sovvertendo la sintassi regolamentare, quella dei protocolli di campo, sostituendo le ipotesi fondanti, le giustificazioni accumulative, proponendo fughe di senso, infiltrazioni geologiche che consentono l’identificazione di sedimentazioni relazionali mai conosciute, tagli trasversali che portano alla luce doppi significati, nascondigli imperscrutabili.

Ricerca. ↔ Di tutte le qualità e non solo della verità.

Spazio. ↔ Prossimità totale di ogni movimento relazionale a se stesso.

Produrre. ↔ Significa accettare la struttura.

Interpretazione3. ↔ Uguale a mascheramento più protocollo.

Irreversibilità. ↔ La modellistica sul tempo, sviluppata all’interno del campo, è partita dalle perplessità della meccanica riguardo la direzione privilegiata del tempo, dal passato al futuro, di cui parla la termodinamica, fondando il cosiddetto principio di irreversibilità.

Morte. ↔ Arthur Schopenhauer afferma che i guai della vita possono crescere a tale punto, e ciò accade tutti i giorni, che la morte, di regola temuta al massimo, viene accolta con gioia. Inutilmente il sofferente chiede una speranza al suo destino. Questa impossibilità di scampo non è altro che la stessa indomabilità del suo volere.

Fuga dalla struttura. ↔ È nel senso, nel contenuto delle mie attività quotidiane che si rivelano profondamente le mie capacità di mistificare, di ingarbugliare, di costruire la mia vita sulla falsità e l’imbroglio, e ciò per mettere da parte un possesso qualsiasi che mi garantisca la fuga dalla struttura, dalla morte, dalla sconfitta, dalla vergogna, dalla debolezza, dalla paura, mentre è nella vergogna che mi avvolgo.

Struttura significativa. ↔ L’atto trasformativo non ha che la forma leggibile solo a posteriori in termini di struttura significativa, non c’è altro che lo sostenga nel momento in cui tutto quello che sta prima, il mondo e le sue modificazioni, viene salutato.

Intensificazione. ↔ La tensione è l’intensificazione di tutta la qualità, la definisco così in quanto qui devo operare dei processi di restringimento diretti a proporre un ipotetico, ma non sempre identificabile, percorso effettuale interpretativo e trasformativo, percorso che con un termine discutibile ho definito superiore, senza volergli assegnare con questa definizione una gradazione di valore nei riguardi della concretezza modificativa.

Rallentamento. ↔ Scendendo più a fondo, verso la cosa, si vede che il rallentamento del controllo costantemente operato dalla coscienza è operazione faticosa che solo con difficoltà ricorda le dolcezze dell’abbandono amoroso.

Forma e qualità. ↔ La differenza tra forma e qualità viene così specificata meglio da questo movimento dell’immaginazione. Il movimento è di una repentinità continua, non è possibile cogliere momenti di maggiore intensità. In qualsiasi momento, di un qualsiasi giorno, mi può cogliere un desiderio irrefrenabile, o un sospiro di insoddisfazione, un’inquietudine attiva o un generico languore, attraverso i quali mi renderò conto che una parte della mia vita sta scappando via, mi sta scivolando come acqua fra le dita.

Qualità e forma. ↔ Devo perdere tutto questo se voglio ritrovare nella concretezza, una forma per me fondamentale, il dispiegamento semplice della cosa, l’adesione a un sogno, l’accettazione di un amore totale, senza condizioni, al di là di se stessi, dei propri sogni, dei propri progetti, del proprio ordine minimo, al di là della propria vita. Quanto è difficile.

Flusso unificato e cosa. ↔ Lo statuto reciproco del soggetto e dell’oggetto sono molto diversi, nel flusso vi stanno entrambi e la differenza tra flusso unificato e flusso orientato è una faccenda del soggetto ma a cui l’oggetto nella sua oggettualità e la cosa nella sua oggettività sono tutt’altro che estranei.

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Peccato passivo. ↔ Friedrich Nietzsche. Femminile, curiosità, menzogna, lusinga, seduzione, lascivia.

Peccato attivo. ↔ Friedrich Nietzsche. Maschile, prometeico, giusto e morale, fondato sulla sofferenza che si sopporta.

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Struttura istituzionale. ↔ Nello spazio sociale ci sono dei vuoti tra i rami delle diverse strutture istituzionali.

Forma sociale. ↔ Le forme sociali coprono l’intero spazio sociale con una intensità via via minore dal basso verso l’alto.

Punti. ↔ I singoli punti della struttura istituzionale sono gli stessi della forma sociale. Quindi i punti sono interscambiabili.

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Esterno interno. ↔ Divisione che trova origine nella vecchia concezione positiva della caverna (luogo sicuro) che si contrapponeva all’“esterno”, luogo pieno di insidie, ignoto, da conquistare, ecc.

Informalità. ↔ Finisce per fare svanire la significatività dei contenuti, cioè dell’elemento strutturale che aveva faticosamente cacciato fuori l’oggetto stesso dalla sua mera potenzialità creativa. Quindi è senz’altro all’appesantimento di elementi strutturati che mi riferisco quando parliamo di informalità e non all’assenza di elementi creativi, o meglio all’assenza della forma. Ancora una volta devo sottolineare l’importanza di non cogliere la forma sotto specie oggettiva. In questo modo non si avrebbe altro che la cristallizzazione formale della forma, coglierei cioè la formalità e non la forma. E la formalità non è altro che la buccia vuota della struttura, il suo guscio esteriore, l’etichetta di un cerimoniale che ha vanificato i contenuti.

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Forma organizzativa. ↔ Sono figlio di una totalità che non posso alienare, neanche con tutta la forma organizzativa della mia volontà.

Autogestione. ↔ Non soltanto la fabbrica, anzi proprio questo è l’ultimo residuo di un balenio di scontro di classe dove a certe condizioni si potrà forse parlare ancora di autogestione. Ma nemmeno ridurre tutto a semplice modello mentale, attitudine psicologica.

Movimento. ↔ Karl Marx. “La cosa che più incisivamente fa sentire al borghese, uomo pratico, il movimento contraddittorio della società capitalistica sono le alterne vicende del ciclo periodico percorso dall’industria moderna, e il punto culminante di quelle vicende, la crisi generale”.

Forma militare. ↔ La guerra scatenata da Friedrich Nietzsche non è ancora esaurita, anche le sue intuizioni riguardo il conflitto tuttora in corso sono solo parziali per quanto possano sembrare eccessive e, a volte, come in questo caso, perfino spudorate. Contro il militarismo, contro la scienza sotto forma militare, contro la religione, per una costruzione della civiltà che è ancora da iniziare.

Guerriglia. ↔ So bene che si può proiettare uno schema categoriale partendo dalle strutture e identificando le corrispondenze in termini di forme, per esempio il riferimento Stato e società, istituzione e individuo, classi dominanti e formazione burocratica, produzione capitalista e autorganizzazione produttiva, guerra e guerriglia, ma si tratta di polarizzazioni, che rientrano tutte nelle strutture, vi rientrano in modo diverso, questo è vero, ma l’antitesi con la forma è altro. Ogni sperimentazione, anche rivoluzionaria, avviene sempre nel campo, ed è qui che è colta sempre in forma quantitativa.

Forma ideologica. ↔ Il rigetto della critica dell’ideologia a seguito del fallimento dei tentativi marxisti di costituire una forma critica che non sia essa stessa ideologica, non può autorizzare la libera circolazione di tutte le svendite e di tutti i compromessi.

Forma sociale. ↔ Alla struttura istituzionale della sessualità corrisponde la forma sociale dell’eros. Alla struttura istituzionale del fare, corrisponde la forma sociale dell’azione.

Classi. ↔ Ignacio Matte Blanco. “L’unione causata dalla somiglianza è una espressione del modo di essere indivisibile all’interno della logica classica. L’intero sistema razionale si regge dunque anche sul modo di essere indivisibile, e non solo sulle differenze. Le classi in particolare sono legate dalla simmetria, mentre i singoli individui si distinguono grazie alle differenze. Un giusto equilibrio tra differenze e somiglianze, relazioni simmetriche e relazioni asimmetriche, divisibile e indivisibile, unità e varietà, è dunque alla base della corretta formazione dei nostri concetti”.

Forma politica. ↔ Non appena sottolineo un accento di volgarità, interviene un infallibile gusto a stupirmi, o il coraggio di una forma politica scelta, o l’astuzia dei bons mots, buttati lì quasi a caso, per cui mi devo ricredere, per subito ricadere nella precedente considerazione.

Forma religiosa. ↔ Solo la forma religiosa ha elaborato, da sempre, fino in fondo, una prospettiva, molto lucrosa per i suoi intendimenti di controllo. Infatti, ogni rappresentanza presuppone una delega e ogni delega una subordinazione. Io rifiuto le rappresentanze, rifiuto le deleghe, sogno le evocazioni.

Forma economica. ↔ La religione, che parlava di una vita vera in un aldilà, aveva almeno il vantaggio, di fronte alla forma economica e sociale, di non ingannare sulla possibilità del meccanismo produttivo di pervenire a un completamento, essa infatti rinviava questo completamento a un futuro divino, per il momento inattingibile.

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Azione individuale. ↔ Il flusso unificato realizza una trasformazione proprio perché consente di cogliere la qualità, e di coglierla nel senso, cioè nel contenuto oggettuale dei prodotti della modificazione, non nell’astrattezza dei princìpi. L’azione individuale che produce questa riunificazione, produce oggettivamente anche il rapporto conflittuale tra strutture e forme.

Interazione. ↔ Mauro Ceruti. “Il decorso del gioco comporta l’interazione fra le regole poste come vincoli e come costitutive del gioco, il caso e la contingenza di particolari eventi e particolari scelte, e le strategie dei giocatori volte a utilizzare le regole e il caso per costruire nuovi scenari e nuove possibilità. Con il preannuncio che le regole del gioco e i vincoli talvolta possono cambiare”.

Momento dell’azione. Apprensione. ↔ Da qui la corsa al possesso, perché nella forza dell’afferrare, nel movimento dell’apprensione, sembrerebbe nascondersi la sola soluzione della mancanza, fatto sistematicamente inesatto.

Momento dell’azione. Valutazione. ↔ La saggezza è la giusta valutazione di ciò che si è e ogni giusta valutazione è sempre un eccesso, una rottura di argine, un’alluvione, anche da parte del destino. Se sorge in me la prospettiva della cosa questa è una possibilità che indirettamente mi arriva, tramite l’immediatezza stessa, all’esperienza diversa.

Momento dell’azione. Conglobazione. ↔ Conglobare le luci e le ombre della vita universale. L’analisi scientifica impoverisce sempre il materiale che tocca, perché lo costringe a entrare, bene o male, in caselle preconfezionate, le quali anche nei differenti tentativi di approssimazione, non portano altro che sempre nuovi preconfezionamenti e sempre nuovi compromessi, in un processo all’infinito impossibile a realizzarsi come qualsiasi completamento.

Azione-apprensione. Bisogno. ↔ Non potendo accettare il ritorno indietro, al momento in cui sarebbe stato possibile porre in questione l’utilizzabilità modificativa, questa rinvia in avanti, alla logica dell’a poco a poco intesa come una effettualità operata, lasciando intendere che non si poteva fare altrimenti, che i bisogni vanno comunque soddisfatti in questo modo, scarnificando la cosa, eliminando dal movimento la tensione.

Azione-valutazione. Simbolica. ↔ Le symbole donne à penser.

Azione-conglobazione. Oggettivazione intuitiva. ↔ L’insistenza sui simboli è importante perché si tratta della strada per arrivare, attraverso i vecchi contenuti della immediatezza, a una qualità nuova, dovuta all’avvenuto coinvolgimento. E allora non sarà più una sorta di oggettivazione intuitiva assoluta, come quella del folle, a instaurarsi attraverso l’apertura, quanto l’azione di un’effettualità pienamente operativa, di un’effettualità diversa.

Interazione-sollecitazione genetica. ↔ Se non fosse possibile l’esperienza nella cosa, e perfino il salto che ora posso leggere nelle due espressioni di pazzia o suicidio, non potrei pormi di fronte al mondo in maniera critica, sarei in balia del mio destino senza poterlo in qualsiasi momento capovolgere, sarei costretto a formulare sempre lo stesso progetto, impostomi dalla sollecitazione genetica, sarei una struttura vivente particolarmente rigida.

Interazione-esperienza sociale1. ↔ William James. “Il concetto della realtà indipendente da me e da voi, che è preso dalla comune esperienza sociale, è la base della definizione pragmatista della verità”.

Interazione-permeabilità. ↔ Il movimento relazionale ha implicita una condizione di permeabilità che il campo deve rispettare, in quanto è questo l’elemento che consente il riempimento del campo stesso.

Interazione-sollecitazione culturale. ↔ Questa latenza nel campo, questo essere stabile trova un elemento di sollecitazione culturale che la risveglia e la mette in opera, obbligandola a diventare la mia relazione.

Robert Oppenheimer. ↔ “L’abuso che minaccia di più la cultura è una specie di filisteismo che afferma che una certa parte dell’esperienza umana non ha importanza, sia perché riservata a qualche persona, sia perché difficile a capirsi, sia perché esotica o bizzarra, sia perché esige uno studio o una preparazione. Una specie di filisteismo che, nella vita intellettuale, è la forma falsata della democrazia. Esso afferma in pratica che soltanto ciò che è evidente, ciò che si può rendere evidente, può avere un senso reale. La disapprovazione di ciò che è difficile e approfondito favorisce nei fatti il cinismo e la disperazione”.

Interazione-esperienza sociale2. ↔ David Hume. “Oso affermare, come proposizione generale che non ammette eccezione, che la conoscenza della relazione di causa ed effetto non è in ogni caso raggiunta, ragionando a priori, ma sorge interamente dall’esperienza sociale quando noi troviamo che certi particolari oggetti sono costantemente uniti con altri”.

Interazione-vischiosità. ↔ È necessario accennare ai ritardi nell’apparizione dell’inquietudine, cioè a quella forma di vischiosità relazionale che avvolge l’immediatezza nell’abitudine della fruizione facile e a portata di mano.

Potenzialità d’apertura. ↔ Il fare arricchisce la potenzialità intuitiva, l’intuizione realizzata, vissuta, arricchisce la capacità di fare grazie alla rammemorazione. L’uno fluisce pure restando indifferente.

Situazione genetico-socio-culturale. ↔ L’uomo è partecipe di questo eccesso di vitalità e di forza, ma la sua stessa situazione genetica, sociale e culturale lo porta verso la conservazione e il compromesso.

Rapporti con gli oggetti. ↔ Inviti, pressanti e irrevocabili, a considerare come principale oggetto di attenzione i rapporti immediati, col mondo, compreso il proprio corpo.

Interazioni e forme sociali. ↔ Susan Oyama. “La forma emerge attraverso interazioni successive. Lontana dall’essere imposta alla materia da qualche agente, essa è funzione della reattività della materia a molti livelli gerarchici, nonché della reciproca sensibilità di quelle interazioni”.

Interazioni e strutture istituzionali. ↔ Fra le strutture istituzionali organizzative la più conosciuta è lo Stato.

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Forma-struttura. ↔ La struttura fa la forma.

Coscienza immediata-inquietudine. ↔ Lo scontro tra senso e inquietudine riproduce quello globale tra forma e struttura.

Forma-disagio. ↔ Il motivo del disagio della coscienza nel territorio della cosa sta proprio qui, che per quanto si attrezzi di opportune interpretazioni o si inoltri nella desolazione, non è mai la sua propria presenza, è sempre estraniata nell’assolutamente altro, specie nei movimenti di compenetrazione. Questo senso di non essere a casa propria l’ha vissuto l’arte nel suo insieme tra la fine del secolo scorso e gli inizi di quello che si è chiuso da poco.

Relazioni fra forme. ↔ Quest’occhio si apre al mondo attraverso una strettoia, le difficoltà più alte della vita. A sua volta, la continuità residuale non si esaurisce in un semplice dispiegamento ma, come risultato di un orientamento in piena regola, si configura in concetti perfettamente conchiusi. Da qui la possibilità di definire meglio il continuo come dispiegamento delle relazioni fra forme.

Affievolimento. ↔ Dal buio di un affievolimento, si arriva al buio di un altro affievolimento, ai due lati non c’è l’assenza, ma tutta una diversa presenza, e così dappertutto.

Forma-tensione. ↔ Il processo di rifiuto cosciente mi può fornire alcuni degli elementi costituitivi della cosa, come ad esempio la tensione o la forma, ma sempre attraverso riferimenti di tipo oggettuale, via via più indeterminati, senza mai arrivare all’assoluta indeterminatezza che corrisponde all’oggettività.

Struttura-senso. ↔ Henri Bosco. “Nulla suggerisce, come il silenzio, il sentimento degli spazi illimitati”.

Coordinate-forma. ↔ La produzione dell’oggetto lega indissolubilmente la coscienza immediata al prodotto del suo fare. In questo modo l’immediatezza conosce il mondo che la circonda e si appropria delle coordinate regolamentari del campo.

Nessi-struttura. ↔ Vi può anche essere un pedantismo del rischio, una catalogazione del pericolo o, almeno, della ricerca ordinatamente pericolosa. Vi possono essere dettagli e nessi spiazzati.

Funzionamento. ↔ Ogni rifiuto è rinuncia a favore delle catalogazioni altrui, che si ricevono poi impacchettate e pronte all’uso, catalogazioni che avvengono nei laboratori del potere, in quei medesimi posti dove l’altissima specializzazione produce l’ideologia della separatezza, non solo elaborata ma anche mantenuta in perfetto stato di funzionamento, divulgata e veicolata nei diversi campi attingibili.

Azione senza scopo. ↔ Il risveglio pragmatico segna il nuovo orientamento del flusso.

Minimo di senso. ↔ Nell’oggetto oggettivamente considerato c’è il minimo di senso.

Oggetto1. ↔ Nell’immediatezza si sviluppa il versante oggettuale.

Oggetto2. ↔ Nella diversità si fa strada il versante oggettivo.

Oggetto-cosa. ↔ Relazione antitetica perché costantemente orientata.

Soggetto. ↔ Nella diversità, l’oggetto coscienza allontanandosi dall’oggettualità e avvicinandosi all’oggettività, si sente soggetto.

Flusso unificato. ↔ Nuovo orientamento della comunicazione.

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Modificazione. ↔ Assetto relazionale, struttura, sospensione in attesa di eventuale completamento.

Interpretazione. ↔ Implicazione relazionale, forma, simpatia.

Trasformazione. ↔ Abbandono, coinvolgimento, apertura, salto nella cosa. Desolazione, punto di non ritorno.

Territorio della cosa. ↔ Perdo perché, quale che sia il risultato interpretativo, il passaggio al territorio della cosa non mi darà la soluzione del chi sono io, a quali domande sono capace di rispondere.

Relazione. ↔ Né oggettiva né soggettiva, per sempre lo stesso flusso.

Oggettualità. ↔ Oggettività dell’oggetto.

Oggettività. ↔ È solo nella cosa.

Flusso unificato. ↔ Prevalenza versante soggettivo.

Flusso orientato. Senso. ↔ Prevalenza versante soggettivo che cataloga e produce gli oggetti (versante oggettivo = residui).

Flusso orientato. Tensione. ↔ Prevalenza versante oggettivo. Dispiegamento.

Cosa. ↔ Il versante soggettivo ha il massimo affievolimento. Mancano i residui.

Versanti e individuo. ↔ L’esperienza altra non scompare del tutto ma finisce per parlare di se stessa come tutto quantitativo, come sequenza di generi platonici visitati negli alveoli rispettivi, come i versanti secolari di una catena montuosa. La cesura manifesta tutta la propria inconsistenza proprio dove crede di essere più fondata, nella separazione tra passato e futuro. Verso questa limitazione non c’è pietas che tenga, non c’è piacere capace di legare alla vita.

Assetto relazionale. ↔ Struttura. Simpatia.

Implicazione relazionale. ↔ Forma. Affinità.

Scelta. ↔ La cosa sceglie e si muove. Andamento.

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Coscienza1. ↔ Prevalenza versante soggettivo.

Cosa1. ↔ Prevalenza versante oggettivo.

Coinvolgimento. ↔ Realizzabile nel versante oggettivo, cioè nella cosa.

Cosa2. ↔ Semplice.

Coscienza2. ↔ Complessa.

Salto. ↔ A mente leggera so di non riuscire a concretizzare un sogno nel segno logico, un salto nel mondo della verità assoluta, anzi mi batto contro certe evidenze di facilità che suggeriscono astiosamente la maestà della regola.

Versante soggettivo. ↔ Apparenza. Tensione. Forza vitale.

Cominciamento radicale. Cosa. ↔ Ciò che colpisce di più nel dispiegamento è la meravigliosa assenza di preoccupazioni morali, un continuo cominciamento radicale e, come ogni cominciamento, la cosa procede alla radicale eliminazione di quanto ostacola, di quanto fa schermo o semplicemente depista.

Coinvolgimento. ↔ Cominciamento non radicale. Coscienza. Contrasto relazionale.

Volontà. ↔ Coscienza immediata non ancora diversificata.

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Crisi. ↔ È evidente che a partire dagli strumenti prettamente empirici, la coscienza, prima o poi, entra in crisi, diventa inquieta.

Mito. ↔ Nel greco di Omero mito vuole dire parola.

Morte. ↔ Nessuno pensa alla sconfitta come conclusione, e quando ci pensa, cioè quando pone riflessione alla morte, la vede come accadimento limite, estraneo e da rinviare più a lungo possibile.

Irreversibilità. ↔ Non so dire quando arriva esattamente il momento in cui il percorso nel territorio della desolazione diventa irreversibile, nel senso di poter parlare dell’esistenza di un punto di non ritorno, di un vero e proprio distacco.

Individualità. ↔ L’individualità reale è possibilità aperta al diverso, quindi non può essere attinta nel campo dove l’incognito è sostanzialmente necessario, e sempre uguale in rapporto ai protocolli fissati. In altre parole, l’individualità dell’oggetto, cioè la sua oggettività, contiene la cosa e questa continua a restare lontana dal campo.

Tempo-spazio. ↔ Il movimento è il vero segreto della cosa, è la forza che si diffonde dappertutto all’infinito, senza tempo e senza spazio. Tra libertà e solitudine c’è un patto solidale.

Frattura morale. ↔ L’apertura determina quindi una frattura morale, ma questa non è un ulteriore oggetto prodotto, non sta davanti al produttore in maniera slegata.

Trasformazione. ↔ Si sarà diversi nel momento in cui si sarà oltrepassata quell’apertura, quando si starà dando inizio alla trasformazione della realtà, quando finalmente si sarà ciò che si è.

Scala di valori. ↔ Ancora oggi molti non si rendono conto che spingere sulla propria personale scelta chi sta invece andando per un’altra strada, e tutto ciò fondandosi su di una scala di valori che non può che essere personale, risulta operazione violenta e prevaricatrice, operazione che trova le sue origini nella illusione ortopedica che fece costruire tutto l’armamentario della paura e lo tiene in piedi.

Oggetto e cosa. ↔ Non c’è una distinzione tra oggetto e cosa.

Diversità. ↔ Unità della coscienza dopo la diversità.

Circolarità. ↔ La circolarità richiama l’Uroboros, il serpente circolare, antico simbolo egizio, che è uomo e donna, genera e concepisce, divora e partorisce, è attivo e passivo, è sopra e sotto contemporaneamente.

Forma del capo. ↔ Estensione del senso.

Relazioni. ↔ Più importanti e meno importanti.

Campo. ↔ Flusso interno determinabile in modo finito.

Percezione della durata. ↔ Relazione con la differenza e la diversità. La percezione della durata è una qualità, cioè viene percepita come qualità, attraverso la cosa. Lo stesso avviene per lo spazio. La natura di questa qualità emerge dalla composizione della cosa, dove tempo e spazio si trovano non quantificati come nel campo, non meccanizzati nella ripetizione accumulativa.

Differenza. ↔ Il limite massimo di estraneità corrisponde all’orientamento della differenza. Perché appaia chiaro all’immediatezza la presenza di un altro processo di orientamento occorre che si superi questa soglia di incidenza, dopo la quale la potenza degli orientamenti riflessi è incontrollabile. Per quanto siano poco significative le singole riflessioni operanti attorno alla zona d’orientamento dell’immediatezza, alla lunga quest’ultima si rende conto di vivere nel mondo.

Tempo e spazio. Tensione e forma. ↔ Diversi dai corrispondenti del campo.

Copertina di quaderno colore arancio interno bianco cm. 21x30

Cosa. ↔ Totalità senza parzialità.

Mondo. ↔ Parzialità senza totalità.

Cosa-mondo. ↔ Come è possibile?

Flusso unificato. ↔ Sostituire qualcosa al flusso unificato.

Versante soggettivo. ↔ Cambiare con oggettuale.

Immediatezza. ↔ Primo aspetto, vicino alla forma. Secondo aspetto, immediatezza vera e propria, terzo aspetto, vicino alla rigidità della struttura.

Senso. ↔ I contenuti del senso sono le parole. La deformazione dei contenuti deforma le parole.

Fondamento. ↔ La coscienza immediata e quella diversa hanno lo stesso fondamento, in altre parole il progetto della cosa così come si dispiega anche nel campo.

Iniziazione. ↔ L’iniziazione è anche educazione all’oggettività. Qualcosa mi fronteggia e quindi la pongo in modo oggettivo, da cui la reciproca penetrazione.

Compenetrazione. ↔ Nell’effettualità trasformativa il mio movimento è di intensificazione, quello della cosa è di dispiegamento.

Particolarità dell’uomo. ↔ L’uomo è particolare, crea il mondo e vive un movimento unificante nella cosa ma non partecipa solo al dispiegamento di questa.

Filosofia e sapere. ↔ Il sapere mi uccide. Interrogo quello che mi circonda, ma non ho risposta, solo diplomi di acquisizione che i miei figli useranno come coperchi del cesso. Tutto quello che so non riesce a stare nelle mie mani, scivola via fra le dita, acqua e fango.

Distinzione. ↔ Chiarezza e distinzione forniscono una realtà semplice, cartesianamente molto ridotta. Tutto sembra trovare un proprio posto, ma non appena inizia la collocazione dei primi tasselli, si vede che il puzzle continua, sempre di più occorrono nuovi tasselli, tutti ugualmente logici e necessari.

Fare. ↔ Una mediatizzazione realizzata dall’incontro di accumulo, modificazione, laboratorio e logica.

Accumulo. ↔ Concetto più archivio.

Modificazione. ↔ Processo produttivo.

Laboratorio. ↔ Progetto di perdita e acquisizione.

Logica. ↔ Regole e protocolli di campo.

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Zeitlos. ↔ Fuori dal tempo. Nell’attimo del passaggio dalla cosa al campo si consuma non solo l’unione puntuale con la cosa, ma anche l’operare nel senza tempo.

Eine Kunstfeindliche Zeit. ↔ Un tempo ostile all’arte. Mi rendo conto della funzione ordinatrice e protocollare del diversivo, del passatempo, ritengo che più le parentesi organizzate del tempo libero servono per ritemprare le forze, più sono all’interno del processo di cretinizzazione.

Punctum dolens. ↔ Jean Paul. “Con tutte le limitazioni nella totalità di ogni uomo risalta e scintilla un punto essenziale, un fulcro, un punctum saliens attorno a cui le parti secondarie si disegneranno gradualmente. Solo che questo fulcro non si trova nell’accumulo, non è una risultante del senso”.

Bon gré mal gré. ↔ Gabriele D’Annunzio. “Non ho più nome né sorte / tra gli uomini, ma il mio nome / è Meriggio. In tutto io vivo / tacito come la Morte. / E la mia vita è divina”.

Roman d’un jeune homme pauvre. ↔ L’individualità non viene vista come qualcosa di completabile in modo quantitativo, ma come un elemento da cui partire per non avere l’incompletezza. Il romanzo consolatorio si spezza.

Physique du rôle. ↔ Czeslaw Milosz. “In piedi sui lastroni del marciapiede all’ingresso dell’Ade Orfeo si piegava nel vento impetuoso, che sbatacchiava il suo cappotto, sollevava gomitoli di nebbia, si rivoltava tra le foglie degli alberi”.

Durch Nacht vorwärts zum Licht. ↔ Attraverso la notte, avanti verso la luce. Chi sei tu? chiede Sankara nel Dasasloki, una delle risposte all’asceta Govindapada. Non sono né terra né acqua né fuoco né aria né spazio né organi di senso né l’insieme di tutto questo. Nessuno di essi è certo. Quel che abita nello stato di sonno profondo, quel che sempre sussiste, l’Uno, Śiva, il Liberato, questo io sono. Le caste, le osservanze, i doveri inerenti al sistema delle caste e ai diversi tempi dell’esistenza non sono fatti per me, e neppure la concentrazione spirituale, la meditazione o lo yoga.

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Parzialità. ↔ Non esiste verità della parzialità.

Specificazione della parzialità. ↔ Nessuna specificazione operativa, se non una partecipazione dall’interno, in modo che la cosa sia me stesso.

Illusione del nulla. ↔ L’illusione del nulla mi viene proprio dalla mia abitudine a ragionare per oggetti ispirata dalla noia della ripetizione, penso per esempio a una scatola vuota e dico che in quella scatola non c’è niente. Poi allargo il concetto in modo arbitrario e dico che nella scatola non c’è nulla. Dal niente al nulla il passo è breve.

Identità-necessità. ↔ La realtà della cosa viene ridotta nel campo alla realizzazione del fare, al distinguere le posizioni all’interno dell’identità.

Realtà come totalità. ↔ Considerando la realtà come totalità relazionale ne avverto il dispiegamento come molteplicità che tutto implica in modo relazionale, ma anch’io implico nel mio pormi in attività relazionali la totalità del reale, non sono bloccato dal fatto di essere una parte della molteplicità, sono davanti al problema più importante della realtà, cioè alla sua contemporanea e totale presenza nella parte e nel tutto.

Realtà come non necessità. ↔ Nell’inseguire la fantasia c’è la certezza di una non necessità che si collega con l’essermi messo a disposizione. Non voglio cercare i dettagli che completano la fantasia, io stesso sono questi dettagli che sgorgano fuori e che dilagano, ora allargandola, ora trascurandola per indirizzarsi altrove.

Centro e periferia. ↔ La coscienza non può negare il mondo che ha creato, ma può oltrepassarlo. Questo movimento non costituisce superiorità.

Movimento non come un aspetto della realtà. ↔ Non si tratta di una legge che regola il funzionamento del movimento relazionale nel suo insieme, il quale non è altro che una costante di cambiamento delle relazioni, un modo convenzionale per capire un aspetto della realtà, l’aspetto costitutivo fondamentale.

Impossibilità di una fermata del movimento. ↔ La funzione concreta del movimento non è distinguibile all’interno della realtà come un qualcosa che sia caratteristico della realtà stessa, una qualità di quest’ultima, un suo modo di essere. Infatti, se così fosse si dovrebbe ipotizzare la possibilità di una fermata, sia pure puntuale, sia pure nell’attimo in cui una data espressione del dispiegamento relazionale complessivo si trasforma nell’espressione successiva. È anapodittico il fondamento erroneo di queste riflessioni, la realtà è sempre in movimento perché essa è movimento.

Correlazione universale eterna. ↔ C’è una grande correlazione universale delle strutture che caratterizza il mondo dell’accumulo e della modificazione, una costellazione materiale in continuo movimento che fonda e dà consistenza alla realtà manomessa, orientata, alla realtà che ha subito l’intervento della paura e lo snaturamento dovuto all’artificialità.

Relazioni in continuo movimento. ↔ L’eterno confronto di possibili relazioni in movimento apre il futuro a una caoticità senza limiti.

Bisogno reciproco delle relazioni. ↔ Nella realtà ogni relazione dipende dall’altra in una correlazione universale che è assoluto bisogno reciproco all’interno di un’esistenza complessivamente senza limiti.

Consumo delle relazioni. ↔ La rispondenza agli accordi è materiale di consumo, quindi, munito di prezzo, si aggira per il mondo in cerca di acquirenti.

Consumo irreversibile degli oggetti. ↔ Il consumo è un modo di archiviare.

Correlazione complessiva. ↔ La correlazione complessiva di tutte le relazioni possibili esiste sempre in movimenti diversi, che producono aspetti diversi, concatenazioni diverse.

Negazione del divenire1. ↔ Non ci si è mai decisi verso una negazione del divenire in termini di tempo, e anche di spazio. Quando lo si è fatto si è arrivati alla conclusione che in quel dato caso non ci sarebbe stato affatto un divenire, inteso nel senso di cambiamento, ma solo un eterno restare immobili.

Negazione del divenire2. ↔ La vecchia paura della staticità come negazione del divenire, qui non ha ragione di esistere. Era la troppa cautela nell’avanzare il cambiamento come base della realtà, che metteva avanti il fantasma della staticità. Ma non c’è motivo per fare baluginare cautele del genere.

Flussi. ↔ I flussi sono divisi in modo diverso, cioè possono essere unificati oppure orientati, nulla di più. Questa divisione riguarda sempre movimenti di maggiore o minore affievolimento.

Processo storico. ↔ L’unità del processo storico, impensabile nel fare se non come impoverito meccanicismo, è nella cosa che si coglie come totalità. Né linearità né circolarità, l’analogia circolare è solo un espediente, nulla di più. Il fatto che non può esserci storia della cosa non significa che la storia non faccia parte della rammemorazione, certo spogliata dalle impalcature che altrove ne costituiscono peritura gloria.

Miglioramento. ↔ Mi riaccomodo pertanto con le mie inquietudini che mi portano a specificare le mie parzialità e le mie attese di miglioramento.

Reversibilità. ↔ Sono io che posso ipotizzare una reversibilità procedendo a ritroso nella serie significativa dei flussi, ma nel fare ciò mi porto dietro la paura.

Equivoco della determinazione storica. ↔ Sono prigioniero dell’equivoco della determinazione storica. Non voglio rendermi conto che penso allo stesso modo, e con le stesse probabilità di certezza sensibile, sia a un avvenimento passato, sia a un avvenimento futuro e il motivo risiede nel fatto che né l’uno né l’altro sono mai esistiti e mai esisteranno per come li penso.

Sofferenze dell’umanità. ↔ Millenni di sofferenze urlano nelle mie parole.

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L’individuo e i suoi due versanti. ↔ Lasciarsi penetrare dal dispiegamento della realtà è assolutamente indispensabile per realizzare il coinvolgimento che così, a questo punto, sono riuscito a inquadrare finalmente nel suo duplice aspetto, nella sua duplice consistenza oggettiva e soggettiva, nei suoi due versanti.

Orientamento del flusso e sua divisione. ↔ L’orientamento del flusso deve essere considerato come una separazione, e sotto certi aspetti lo è, si tratta di un divaricarsi concentrico, cioè di movimenti circolari che rispettano sempre la sostituibilità del centro con la periferia e viceversa.

Versanti del flusso orientato. ↔ La chiusura del guscio è custodia e tutela dell’origine, dell’idea e del modo di modificarla, con tutto quello che sta dentro l’accumulo, cioè l’eterogeneità dei versanti del flusso orientato verso il senso.

Situazione come struttura dell’intenzionalità. ↔ Mi pongo il problema della situazione e riduco l’intenzionalità immediata, cioè la volontà, solo all’ipotesi del controllo oggettuale, in quanto se la dovessi aprire alla diversità, il trattamento del materiale sarebbe del tutto differente.

Dispiegamento ed effettualità. ↔ Dennis Ruyer. “Ogni nascita e dispiegamento di forme si presenta come una attività posseduta, partecipata”.

Effettualità. ↔ L’azione ha bisogno di supporti e questi vanno cercati in un’effettualità altra, non possono tesaurizzarsi nel laboratorio, nell’ambito delle sue immediatezze.

Modificazione. ↔ Le Furie imperversano continuamente nella modificazione con metamorfosi e incarnazioni ininterrotte.

Apprensione. ↔ La rigidità del linguaggio permette una certa uniformità di comprensione, garantendo una media di apprensione delle relazioni abbastanza costante.

Interpretazione e valutazione. ↔ La valutazione varia da relazione a relazione. Ci sono uomini che affrontano le situazioni più estreme della vita con una forza che li proietta verso l’esterno, che li fa restare freddi e lontani. Sanno valutare e decidere, ma non si fanno coinvolgere.

Trasformazione e decisione. ↔ Essa dovrebbe interpretare gli avvenimenti dell’effettualità altra, dall’apertura alla trasformazione, e mostrare in questo la sua inadeguatezza a ogni forma di decisione.

Il versante soggettivo cresce nel terzo livello. ↔ Nell’accumulo il versante soggettivo è ridotto al minimo essendo rappresentato dagli aspetti residuali intrinseci sia al meccanismo nel suo insieme, sia alla coscienza immediata, sia ai processi di riorganizzazione.

Formazione della volontà. Somma dei due versanti. ↔ Ripartizione binaria tra rapporto considerato come flusso della vita reale, comunità, e rapporto considerato come formazione meccanica della volontà.

Perturbazioni dei due versanti. ↔ La volontà registra perturbazioni che non sempre le riesce di controllare.

Paura di perdere il primato del soggetto. ↔ La volontà ha paura di perdere la coscienza come primato del soggetto, per questo si riflette in una continua fattività di controllo che l’assoggetta ordinandola continuamente e riconducendo nei limiti della regola immediata ogni sollecitazione alla libertà.

L’oggetto non è una parte della natura. ↔ L’oggetto può essere considerato una parte della natura originaria e allora incappa nelle antinomie che ormai conosco. Quale parte riesce a mantenere il proprio significato? Dove si arresta il rinvio all’infinito delle significazioni?

Le condizioni dell’accumulo. ↔ Le condizioni dell’accumulo non sono solo gli elementi che fissano i termini dentro cui si sviluppano i movimenti protocollari, sono essi stessi elementi mortali, accumulatori di morte, nel senso di deprivare la realtà di quell’elemento essenziale qualitativo che la completa in modo ineliminabile.

Recupero del dispiegamento della realtà. ↔ Il dispiegamento della realtà è creativo, ma questo dispiegamento comprende anche la modificazione, anche l’accumulo e i processi produttivi, a stretto rigore di termini, sono anch’essi creativi, per cui si può concludere che tra contenuto e qualità c’è una sorta di parentela sotterranea, ma questa creatività della modificazione e talmente affievolita da non potersi valutare da un punto di vista relazionale.

Spoliazione e distinzione. Concetti antitetici. ↔ La spoliazione realizzata nell’oggetto è molto efficace e impedisce di trovarvi qualcosa di diverso dal semplice residuo. La struttura invece è molto più complessa e tende a ricostituire elementi svariati della concretizzazione modificativa da cui sorge il movimento caratteristico che ho definito come distinzione.

Assenza e trascurabilità del versante oggettivo nell’accumulo. ↔ L’oggetto si arrende all’oggettualità, prigioniero della struttura, non riesce a dirla perché gli manca la possibilità della maschera e dell’ironia, mentre il riflettore instancabile della consapevolezza immediata ne controlla tutti gli aspetti, assolvendolo nella sua corposa trascurabilità oppure frantumandolo in frammenti che diventano affievoliti solo quando cessano di produrre, perdendosi nella polvere del tempo, ormai invisibili componenti di un assetto relazionale che tutti gli obiettivi fotografici dei turisti non mancheranno di ricordare, parti di un discorso balbettante e giustificatorio.

Effettualità come negazione dell’assenza. ↔ È proprio al livello di orientamento del senso che si sviluppa la conoscenza che posso definire di fondo, ed è qui che si avverte dolorosamente l’incolmabilità del passo che separa il fare dall’agire, la morte dalla vita. E questi due momenti, nel loro continuo trapassare l’uno nell’altro, costituiscono l’effettualità modificativa, la produzione di oggetti, l’accumulo.

Dall’oggettualità all’oggettività. ↔ Tutte le volte che provo a uscire dall’oggettualità ritorno al punto di partenza. Solo l’azione mi porta oltre l’apertura verso la cosa.

La funzione del negare. ↔ Il negare è fatto intermedio, non realmente terminale. Non posso negare se non avventandomi contro qualcosa che mi contrasta. Da questa lotta viene fuori sempre una nuova dimensione ulteriormente negabile. Per venire a capo della critica devo acquisire la perdita, lavorare positivamente alla mia sconfitta, non evitarla perfezionando la serie delle acquisizioni parziali. La tragicità della vita sta tutta qui.

Trasformazione dell’oggetto. ↔ Negare rafforza la diversità della coscienza e la trasforma nello stesso momento in cui quest’ultima sta cominciando il suo lavoro di trasformazione dell’oggetto.

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Nulla. ↔ Il nulla non esiste, ogni intuizione si riferisce sempre alla realtà nel suo dispiegamento come nell’implicazione effettuale interna al dispiegamento stesso.

Dislocamento nella totalità. ↔ Cessando il dislocamento nella totalità, la coscienza immediata riprende il sopravvento e l’inopinata presenza della realtà viene persa o frantumata nelle specificazioni.

Volontà. ↔ La volontà come noumeno nella sua immediatezza si rivolge esclusivamente al contenuto, essa si illude di potere costruire un mondo di strutture sufficienti a se stesse, al massimo provviste di una lacca di tensione, poche briciole di un lontano ricordo.

Compiutezza dell’oggetto. ↔ L’uomo è la sua libertà, ma questa gli si presenta sempre come realizzazione di se stesso, il cerchio non si chiude per via del simbolo che attesta la presenza della compiutezza nel mondo.

Completezza e totalità. ↔ La morte è quindi la perdita definitiva dell’uomo, il suo massimo capolavoro, l’estremo limite della completezza, il suo fissarsi nella cosa.

Realtà come correlazione. ↔ Non è la struttura più rigida a essere più vicina al completamento, ma quella meno rigida, la coscienza immediata. La correlazione è inversa. Critica negativa. ↔ La critica negativa va al di là della critica perché non ha paura della desolazione che troverà nella cosa, anzi per essa la desolazione è il segno che sta andando nella giusta direzione. Non si tratta di dire no, ma no al possesso, il che è diverso.

Dispiegamento della realtà. ↔ L’elaborazione accumulativa con tutti i suoi limiti fa parte del dispiegamento della realtà, se non altro in quanto primo momento della concretezza.

Dilagamento della realtà. ↔ Limitare le intenzioni complessive del formalismo è uno dei compiti di una filosofia relazionale. Non potendo per altri aspetti farne a meno, questa filosofia è bene che sia costantemente in vigile attesa critica di ogni dilagare ordinativo.

Movimento della realtà. ↔ Uno degli equivoci è dato dal fatto che io confondo il movimento della realtà, il quale è un movimento qualitativo, di rapporti differenti, con un movimento quantitativo, cioè di oggetti se non uguali almeno del medesimo genere.

Coscienza immediata rudimentale della cosa. ↔ Si tratta di una coscienza immediata rudimentale capace però, opportunamente sollecitata, di consentire al mio versante soggettivo, molto più sviluppato e dotato di una più impegnativa coscienza immediata, il modo migliore per realizzare l’estremo limite del fallimento di ogni approccio da collezionista.

L’opinione e la cosa. ↔ L’opinione è solo passività inculcata apposta da un meccanismo contro cui resistere è difficile. L’assenza riflette nel mondo il silenzio della cosa, avanza come vuoto che non è possibile riempire, una muta possibilità filtrata dal destino, dal mio destino, quindi dalla mia vita.

Rinchiusi nell’accumulazione. ↔ Guardando questi processi con gli occhi del campo si resta rinchiusi nella necessaria logicità del tempo, per la precisione nella convenzione fondamentale che distanzia gli avvenimenti tra loro e li rende sufficientemente individualizzabili.

Io e il dispiegamento. ↔ Contrariamente a quello che può sembrare a prima vista, non scompare il mio passato e non si cancellano le possibilità relazionali di quello che nel campo consideravo il mio futuro, semplicemente si concretizzano nella totalità del reale, con il quale dispiegamento entro relazionalmente in contatto non appena sono nella.concretezza attiva.

Atteggiamento raggomitolato. ↔ Per essere realmente, interamente, nel senso della realtà, devo uscire dall’atteggiamento raggomitolato che avevo nel grembo materno. Paura della coscienza nel dispiegamento. ↔ Il dispiegamento si realizza ma non può essere spiegato, esso contiene la spiegazione e questa non può contenerlo, la coscienza ne ha paura.

Disordine del dispiegamento. ↔ Il disordine presuppone la libertà del dispiegamento, la progettualità logica della negazione, l’eternità del ritorno sempre diverso. La coscienza immediata non sa come trovare questa strada verso la negazione e la surroga con una negazione sostitutiva, fittizia, ma altrettanto valida dal punto di vista della concretezza. Essa contribuisce alla produzione dell’oggetto e in questo modo, indirettamente, partecipa anche al dispiegamento.

Creazione continua della realtà. ↔ La cosmologia moderna, per esempio, ha abolito l’ipotesi stessa di sistema chiuso, parlando di creazione continua.

Nessuna coscienza collettiva di sé. ↔ Nella totalità delle esperienze confuse e connesse insieme non c’è una coscienza collettiva, ma sa anche che in questo coacervo in cui la mescolanza di tutto con tutto sembra inestricabile può identificarsi un serbatoio di quello che lui definisce scala dei valori, e che io sono più propenso a chiamare accumulo delle conoscenze.

Paura. ↔ La fede in un meccanismo è sempre una germinazione della paura.

Chiusura ulteriore. ↔ Per paura di sopravvivere si rinuncia alla vita, la propria delicatezza, la tenerezza di cuore impedisce di condividere, sia pure per poco, le miserie della realtà immediata. Mi ritraggo allora in una chiusura aristocratica, splendidamente isolata. Un arroccamento nel proprio orgoglio e, in fondo, nella propria paura.

Possibilità di abbandono. ↔ La sconfitta della ritrosia significa possibilità di abbandono, di dispiegamento.

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Impossibilità di spiegare il dispiegamento. ↔ Può mai il concetto temporale di divenire spiegare il dispiegamento? Non lo può. Ma, se mi colloco io stesso in questa idea e nego criticamente la sua formula consolatoria, apro una direzione deformata del divenire, un avvenimento circolare che nega ogni linearità e rimette in discussione il meccanismo di riconferma delle certezze.

La realtà e la coscienza diversa e immediata. ↔ Restando fuori, fatto sostanzialmente impossibile, ma metodologicamente ipotizzabile, si ha solo il risultato di sezionare la realtà in tante piccole porzioni che si possono solo catalogare. Il movimento verso la cosa comincia con la critica del senso, e presto, malgrado tutti i tentativi contrari, negli individui integri esso si dimostra inevitabile.

Nessuna separazione tra realtà e diversità. Il concetto presuppone il fare, non è mai, come qualcuno ama affermare, un semplice momento teorico. Non è possibile nessuna separazione del genere. Il pensare è quindi fare, non c’è un istante in cui si è fermi e uno in cui comincia il movimento.

Dispiegamento e rifiuto dell’oggetto. ↔ Il dispiegamento è l’esistenza della realtà, se una definizione del genere può essere utile, la si coglie in quanto rifiuto dell’oggetto come quest’ultimo mi viene fornito dall’accumulo, rifiuto che è un’alzata di scudi della coscienza ma che, nello stesso tempo, è l’acquisizione di un reale livello oggettivo del tutto ignoto nella fossilizzazione.

Risultati positivi e impossibilità dell’unione definitiva con la realtà. ↔ Una sconfitta intermedia equivale a una resa volontaria, o involontaria questo non conta, un accadimento del destino o una decisione della volontà, e qui sto parlando d’altro, della sconfitta conclusiva, quella che costruisco attraverso tutte le mie vittorie, i risultati positivi, ecc. Così la coscienza immediata comincia a capire che non può utilizzare lo strato irreale di fondo della follia, né può trasferirsi armi e bagagli nel territorio della cosa, senza compromettere un progetto critico, che è quello della sconfitta.

Equilibrio e vita attiva. ↔ Il destino dell’oggetto, il mio destino nella prigione del campo non è ancora del tutto conchiuso, posso spezzare le catene e liberarmi e liberare. Il futuro è la mia vita attiva. Ancora una volta, io sono la totalità.

Inquietudine e interpretazione. ↔ Il terribile diventa così la mia nuova dimensione, resa improvvisamente accessibile dalla sua stessa progettualità interpretativa e non dal mio rifiuto dell’inquietudine.

Lotta. ↔ Ecco perché chi ha difficoltà a vivere con poco rumore si trova a combattere una dura e difficile lotta con la solitudine.

Contemporaneità della coscienza in più flussi. ↔ La contemporaneità non può essere accidentale ma voluta, un merletto traforato, cercato attraverso la cognizione dell’affinità. Essa è il risultato, o la continuazione, di quello che è accaduto nel mondo. L’incontro con la differenza deve quindi avvenire prima nell’apertura della cosa, in un terreno ancora obbligato all’oggettualità, attraverso l’operazione.

Dispiegamento e immediatezza. ↔ Il dispiegamento, partendo dall’immediatezza, entra nella coscienza diversa portandola al sapere della bellezza.

Penetrazione da parte del dispiegamento. ↔ Orientare significa penetrare con violenza nella cosa grazie al dispiegamento, violenza non necessariamente distruttiva, ma sufficiente alla penetrazione stessa. Non sempre si tratta di stupro, ma occorre entrare nel qualcosa della cosa, altrimenti si resta fuori ad alimentare fantasmi.

Campo e realtà. ↔ Conoscenza quindi come ordinamento del campo, condotto dalla coscienza immediata, fatto penetrare nella realtà della cosa.

Organizzazione del dispiegamento. ↔ Il salto è sempre inutile, un ritorno continuo davanti al dispiegamento, non organizzazione produttiva di questo. Il progetto della cosa non collima mai col progetto dell’immediatezza.

Futuro. Passato. Nulla. ↔ Parlami di quando tutto sbadigliava e non c’era passato né futuro né spazi oscuri da riempire o stalle da vuotare, le fatiche non erano ancora cominciate e Crono non si muoveva nell’avello di fuoco.

Dispiegamento ed effettualità. ↔ La cosa è l’insieme delle relazioni possibili quindi non solo quelle che nell’attimo si offrono in un preciso dispiegamento ma anche quelle che avrebbero potuto partecipare a quell’attimo e non vi si trovano perché diversamente dispiegate.

Ancora sul dispiegamento. ↔ È solo un punto di vista del campo quello che insiste nel vedere un divenire nel dispiegamento della cosa.

Organismo. ↔ L’interno così separato, come qualcosa di costante, è poi rappresentato dall’attività oggettivante della forma della causalità come soggetto del conoscere, collocato nello spazio come organismo umano.

Compito dell’accumulo. ↔ Chiuso alla curiosità, pieno soltanto del poco che crede di sapere, è tagliato fuori dal movimento dell’accumulo. Gli viene così a mancare perfino quella condizione percettiva sveglia, che coglie possibili relazioni nella loro molteplicità. Produce, non potendo fare altrimenti, ma non pone problemi, non si apre al dubbio e all’inquietudine.

Parti dell’organismo. ↔ Perdo il contatto e mi conforto affermando che si tratta di luoghi non individuabili dell’organismo ma sufficientemente proponibili in relazione fra loro come parti di un tutto funzionante.

Limiti della produzione di oggetti. ↔ C’è un limite alle mie concretezze, in modo particolare a quelle su cui si basa il meccanismo accumulativo, cioè la modificazione, la produzione di oggetti.

Limiti di conoscenza della realtà. ↔ Questi modelli precostituiti, interrompendosi nella conoscenza della realtà, avendo lo scopo più o meno dichiarato di costruirne un riflesso, impediscono di individuare altre vie, quelle per esempio che la realtà propone come di già esistenti in nome della relazione che esiste, per quanto affievolita, con il problema in atto della coscienza immediata.

Contraddizione-non contraddizione. ↔ So perfettamente che esistono modi di specificazione relazionali che non sono così netti e astratti come quelli fondati sul principio di non contraddizione, ma aventi caratteristiche approssimative e molto concrete. All’interno di queste implicazioni relazionali possono perfettamente coesistere elementi che dal punto di vista analitico sono da considerare contraddittori, e ciò senza che l’insieme relazionale preso in considerazione ne abbia a soffrire.

La realtà è sempre attuale. ↔ Robert Jauss. “Opporre all’esperienza reificata e al linguaggio asservito della società dei consumi, la funzione critica e creativa della percezione estetica e mantenere attuale, di fronte alla pluralità dei ruoli sociali e ai molteplici aspetti del mondo delle scienze, l’orizzonte di un mondo a tutti comune, che ancora una volta l’arte, prima di ogni altra cosa, ci può porre dinanzi agli occhi come una totalità possibile da realizzare”.

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Accumulo come fuga. ↔ La sua calda luce stermina le superstizioni e le paure della notte accoccolandosi vicino a me, fuga i fantasmi che mi hanno fatto visita e che stamattina si erano attardati attorno alla tazza del cesso, aspettando che mi svegliassi.

Cominciamento radicale. Cominciamento elementare. ↔ È una mia negazione, sia come cominciamento semplice perché è immediatezza, sia come cominciamento radicale, al di là del salto nella cosa, proprio per questo, cioè proprio in quanto negazione, la mia vita al suo interno, così regolata e condizionata da parametri e convenzioni, è leggibile per intero come una negazione, un passaggio verso altri lidi positivi, un luogo dove non potrò mai raccogliere nulla che sia realmente e concretamente una vittoria, una mia personale ed esclusiva conquista.

Sviluppo iniziale della diversità. ↔ Tagliata fuori dalle acquisizioni dirette, l’inquietudine ha acquisito un ruolo cardine per lo sviluppo delle effettualità altre.

Angoscia della diversità. ↔ Dioniso era pieno di passione, con variazioni che causavano angoscia e confusione.

Inquietudine dell’immediatezza. ↔ L’intensificazione delle relazioni, che a un dato momento si riassume nell’inquietudine dell’immediatezza, non mira subito all’azione, non ha, di per sé, lo scopo della conquista, ma contrasta con le disposizioni oggettuali della modificazione, spezzando le categorie produttive in cui l’oggetto viene alla luce e proponendo un percorso diverso.

Campo e spazio fisico o sociale. ↔ La grande disponibilità di spazio illusorio, corrispondente al reale ridursi dello spazio fisico libero, ormai contaminato e contrassegnato dai confini voluti dal capitale, caratterizza il campo e mi fa schiavo di una semplice esigenza di libertà distribuita come conquista nello spazio, di un qualcosa che da un lato non esiste più, mentre dall’altro esiste in grande abbondanza, con una forte riduzione al suo solo contenuto oggettivo.

Mondo-natura. ↔ Nietzsche. “La punta della sapienza si rivolge contro il sapiente, la sapienza è un delitto contro la natura”.

Concezioni della natura. ↔ La natura sconosciuta mi avvince con i suoi misteri che vivo riflessi sul fondo di un bicchiere d’acqua, o sul mio solito teleschermo oggetto degli incubi quotidiani.

Campo-natura. ↔ Spetta all’individuo la decisione di ciò che è apparente e di ciò che è reale, essendo reale sia la natura che il pensiero, per cui diventa assurda una distinzione avversativa in merito. Il guaio di questa affermazione foriera di grandi sviluppi, è che anche la miseria viene innalzata a nobiltà e la nobiltà abbassata a miseria. Tutto è legato al mio metro, ma il mio metro a che è legato? Solo alle mie pochezze? Peggio ancora, forse, alle mie smanie di dominio?

Assetti relazionali. ↔ Se non si vuole sposare la tesi di Hegel dei burattini nelle mani della storia, e io sono dell’opinione di rigettarla, non per questo si può insistere nel ruolo coerente dei grandi uomini, la coerenza strutturale è tutt’altro, esclusivamente quantitativa, e riguarda aspetti interni alla struttura legati alla probabilità di certe relazioni invece che di altre, come pure aspetti esterni, e riguarda i movimenti degli assetti relazionali nel loro complesso, come momento della totalità del reale.

Naturalizzazione della cosa. ↔ So finalmente di essere congiunto con la cosa naturalmente senza che a mantenere questa comunione assoluta intervenga la volontà o il bisogno. Solo allora posso sconfinare nello stagno indifferente, lasciare in bianco il riferimento.

Analisi della durezza. ↔ Jean Servier. “La durezza e le frane. Si sono rotti i vasi di porcellana”.

Sostanza. ↔ È inutile parlare di sostanza nel senso tradizionale del termine, la cui ultima affermazione è l’incredibile nota wittgensteiniana secondo la quale la sostanza è ciò che esiste a prescindere da ciò che accade.

Materia. ↔ Restano superate le antitesi del tipo materia contro spirito, come sono sorte nell’aristotelismo originale, nelle varianti cristiane e nelle cautele cartesiane.

Senso comune. ↔ Un punto di osservazione privilegiato, afferma il senso comune, deve per forza essere al di fuori dell’oggetto osservato. Non è il caso di dimostrare l’errore grossolano di questa affermazione.

Contraddizione del mondo. ↔ Tutto quello che dico in merito alla contraddizione appare contraddittorio, proprio perché non ho cognizione della perdita di senso, e quando la presuppongo la declino al passato, come fatto avvenuto e corretto, salvato al limite stesso del pericolo.

Non contraddizioni nell’a poco a poco. ↔ L’estraneità oggettuale della immediatezza deve scostarsi da sé, fuggire di fronte al protocollo logico della non contraddizione.

Irrealtà della natura accumulata. ↔ Vivo pieno fino all’orlo di irrealtà che scambio per valori sorretti da un’ottima morale o da un’ottima giustificazione scientifica.

Violenza contro la natura. ↔ La violenza della volontà tornerà a dominare e a controllare.

Cosa. ↔ Un traguardo nella cosa è molto pericoloso.

Punto di vista. ↔ Dal punto di vista empirico tutto appare fiacco e fanatico.

Negazione della posizione relativa. ↔ Ogni filosofia circoscritta al fare del pensiero è conchiusa e ogni filosofo è un saggio, e così tutto sfuma nelle nebbie irreali del relativismo.

Non dimensionalità delle relazioni. ↔ Ogni problema ha una sua dimensionalità, se non altro logica, attraverso la quale si modifica e diventa un elemento relazionale, una parte che non può essere trascurata, in quanto in mille modi perviene ad agganciarsi alla mia vita, per poi ripartire fornendo stimoli e nuovi elementi al mio progetto.

Strutture. ↔ Il nemico sarebbe ancora la società nel suo complesso, perché intimamente essa, pure nel cambiamento di tanti aspetti, ha lasciato intatto il meccanismo del potere, cioè la progressione rigida delle strutture, riflesso macroscopico del controllo e dell’accumulo.

Confini come affievolimento. ↔ L’uomo si muove dentro i confini di una legge morale, e altre favole.

Confini come unione. ↔ Perdo ogni contatto reale col mondo che mi circonda, e vivo contagiato dalla nebbia. Invece di giocare vengo giocato.

Compenetrazione universale. ↔ C’è una compenetrazione universale, solo che dal livello di intensità a quello di affievolimento la distanza è breve, poi questo affievolimento si estende all’infinito, in una progressione sempre meno significativa mai del tutto esaurita.

Tassonomia di un oggetto. ↔ La stessa tassonomia che mi racchiude come in un bozzolo richiama una capacità di acquietamento.

Implicazioni relazionali. ↔ Il movimento della tensione attiene globalmente alle implicazioni relazionali che costituiscono la forma.

 
 

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Prossime uscite
Rudolf Rocker, Nazionalismo e cultura William Godwin, Ricerca sulla giustizia politica e sulla sua influenza su morale e felicità Alfredo M. Bonanno, Dal banditismo sociale alla guerriglia Carlo Cafiero, Anarchia e comunismo Luigi Galleani, La fine dell’anarchismo? Bakunin, Opere vol. II – La Prima Internazionale e il conflitto con Marx