Opuscoli provvisori
Alfredo M. Bonanno
Come un ladro nella notte
Opuscoli provvisori – 13
2009, 2a ediz., pagine 108
euro 4,00
L’azione che non mi coinvolge, che non mi cambia la vita mettendomi a repentaglio, è un semplice fare, una routine che rischia di infettare perfino la mia stessa quotidianità. Vorrei, e lo sto facendo, scrivere tutto questo per gli altri, per me questo è un male necessario al quale cerco in ogni modo di sfuggire. Quando trovo un lettore ho un tuffo al cuore e mi chiedo se finalmente è arrivato chi riuscirà a leggere quello che anche io, solo io, riesco a intravedere a malapena in quello che scrivo. La libertà, e quindi anche l’anarchia, non va raccontata, è una condizione cieca, non si lascia mettere per iscritto. La volontà l’azzera solo apparentemente, per meglio controllarla, ma non può mai cancellarla del tutto. Perfino nei peggiori, nei mestatori e nei venduti, si trasforma in falsa coscienza e morde senza pietà. La volontà campa a credito della libertà. Il dolore che porta con sé non si distingue facilmente dal piacere. L’anarchia è il massimo livello della libertà, riconoscere questo itinerario, scoprirlo, seguirlo, sono esercizi massacranti e richiedono una certa tendenza omicida. L’anarchico non sogna distruzioni, distrugge. L’anarchia, e quindi anche la libertà, non può essere cercata come comunione conchiusa, perfetto completamento di quello che palesemente mi manca nella vita. Lo sforzo dell’azione è diretto, nella migliore ipotesi, a una delusione, alla constatazione di una sconfitta, ma questo fine è per pochi, sono difatti pochi quelli che non si fanno travolgere dal trionfo decretato loro dagli stupidi.
2009, 2a ediz., pagine 108
euro 4,00
L’azione che non mi coinvolge, che non mi cambia la vita mettendomi a repentaglio, è un semplice fare, una routine che rischia di infettare perfino la mia stessa quotidianità. Vorrei, e lo sto facendo, scrivere tutto questo per gli altri, per me questo è un male necessario al quale cerco in ogni modo di sfuggire. Quando trovo un lettore ho un tuffo al cuore e mi chiedo se finalmente è arrivato chi riuscirà a leggere quello che anche io, solo io, riesco a intravedere a malapena in quello che scrivo. La libertà, e quindi anche l’anarchia, non va raccontata, è una condizione cieca, non si lascia mettere per iscritto. La volontà l’azzera solo apparentemente, per meglio controllarla, ma non può mai cancellarla del tutto. Perfino nei peggiori, nei mestatori e nei venduti, si trasforma in falsa coscienza e morde senza pietà. La volontà campa a credito della libertà. Il dolore che porta con sé non si distingue facilmente dal piacere. L’anarchia è il massimo livello della libertà, riconoscere questo itinerario, scoprirlo, seguirlo, sono esercizi massacranti e richiedono una certa tendenza omicida. L’anarchico non sogna distruzioni, distrugge. L’anarchia, e quindi anche la libertà, non può essere cercata come comunione conchiusa, perfetto completamento di quello che palesemente mi manca nella vita. Lo sforzo dell’azione è diretto, nella migliore ipotesi, a una delusione, alla constatazione di una sconfitta, ma questo fine è per pochi, sono difatti pochi quelli che non si fanno travolgere dal trionfo decretato loro dagli stupidi.
20 mag 2015 Leggi il testo completo...
Alfredo M. Bonanno
Critica del sindacalismo
Opuscoli provvisori – 12
2009, 2a ediz., pagine 190
euro 4,00
Molte delle intuizioni e alcuni svolgimenti di pensiero contenuti in questo libro sono stati, in un certo modo, a volte violento, verificati nella realtà quotidiana di questo inizio di millennio. I sindacati sono diventati sempre di più quello che sono sempre stati, comprese le eventuali frange reggicoda. Non potevano avere sorte diversa. I lavoratori, colpiti in pieno dagli strumenti di disgregazione di classe, hanno rinculato fino a trovarsi con le spalle al muro. Guardandosi attorno hanno visto di essere rimasti soli, circondati da varie componenti produttive di riserva, disponibili a salari minimi, e hanno finito per perdere la fiducia in se stessi dopo averla persa nei loro dirigenti sindacali. Ormai questi ultimi, nei luoghi della produzione svolgono il semplice ruolo di cinghie di trasmissione con la classe dirigente degli inclusi, più che con quella politica dei partiti, disgregatasi anch’essa e in preda a problemi tutti suoi, dei quali, in questa sede, non mette conto parlare. Le esplosioni di rabbia sono altro, e da queste, come da manuale, il sindacato si mantiene lontano. Per molti aspetti questo libro continua a colpire il chiodo quando è ormai del tutto entrato nella parete. Un de profundis? forse no, chissà? In queste cose non si sa mai. Arrivederci sulle barricate.
2009, 2a ediz., pagine 190
euro 4,00
Molte delle intuizioni e alcuni svolgimenti di pensiero contenuti in questo libro sono stati, in un certo modo, a volte violento, verificati nella realtà quotidiana di questo inizio di millennio. I sindacati sono diventati sempre di più quello che sono sempre stati, comprese le eventuali frange reggicoda. Non potevano avere sorte diversa. I lavoratori, colpiti in pieno dagli strumenti di disgregazione di classe, hanno rinculato fino a trovarsi con le spalle al muro. Guardandosi attorno hanno visto di essere rimasti soli, circondati da varie componenti produttive di riserva, disponibili a salari minimi, e hanno finito per perdere la fiducia in se stessi dopo averla persa nei loro dirigenti sindacali. Ormai questi ultimi, nei luoghi della produzione svolgono il semplice ruolo di cinghie di trasmissione con la classe dirigente degli inclusi, più che con quella politica dei partiti, disgregatasi anch’essa e in preda a problemi tutti suoi, dei quali, in questa sede, non mette conto parlare. Le esplosioni di rabbia sono altro, e da queste, come da manuale, il sindacato si mantiene lontano. Per molti aspetti questo libro continua a colpire il chiodo quando è ormai del tutto entrato nella parete. Un de profundis? forse no, chissà? In queste cose non si sa mai. Arrivederci sulle barricate.
15 mag 2015 Leggi il testo completo...
Julen Agirre (Eva Forest)
Operazione Ogro
Come e perché abbiamo ucciso Carrero Blanco
Opuscoli provvisori – 11
2009, pagine 192
euro 4,00
Il 20 dicembre 1973 l’ammiraglio spagnolo Luis Carrero Blanco, numero due del regime falangista, è fatto saltare in aria dall’ETA. Il testo – pubblicato dalla rivista “Anarchismo” nel 1975 – cerca di riproporre l’azione nella sua essenzialità organizzativa e con la massima obiettività possibile. Trattandosi di un argomento che ha affascinato molti compagni, e che ha visto l’attività mistificatrice di cineasti e mestieranti vari, non ci è sembrato inutile rimettere a posto le cose. Eva Forest firmò il libro pubblicato nel 1974 da Ruedo Iberico con uno pseudonimo (Julen Agirre) perché usciva da tre anni di prigionia nelle galere franchiste e non poteva in quel momento correre altri rischi. Speriamo che questi fatti si possano finalmente leggere con una certa distanza critica e che non si cada nell’equivoco di fruirne come di un qualsiasi racconto poliziesco.
2009, pagine 192
euro 4,00
Il 20 dicembre 1973 l’ammiraglio spagnolo Luis Carrero Blanco, numero due del regime falangista, è fatto saltare in aria dall’ETA. Il testo – pubblicato dalla rivista “Anarchismo” nel 1975 – cerca di riproporre l’azione nella sua essenzialità organizzativa e con la massima obiettività possibile. Trattandosi di un argomento che ha affascinato molti compagni, e che ha visto l’attività mistificatrice di cineasti e mestieranti vari, non ci è sembrato inutile rimettere a posto le cose. Eva Forest firmò il libro pubblicato nel 1974 da Ruedo Iberico con uno pseudonimo (Julen Agirre) perché usciva da tre anni di prigionia nelle galere franchiste e non poteva in quel momento correre altri rischi. Speriamo che questi fatti si possano finalmente leggere con una certa distanza critica e che non si cada nell’equivoco di fruirne come di un qualsiasi racconto poliziesco.
10 mag 2015 Leggi il testo completo...
Alfredo M. Bonanno
Anarchismo insurrezionalista
Opuscoli provvisori – 10
2019, 3a ediz., pagine 192
euro 4,00
Dietro ogni aspetto della teoria anarchica insurrezionalista si nasconde un progetto, non dico un quadro asfittico completo in tutte le sue parti, ma un progetto sufficientemente individuabile, ben al di là di queste pagine. Se non si tiene conto di ciò nessun chiarimento analitico potrà fare molto, anzi correrà il rischio di restare quello che è, un insieme di parole che pretendono contrastare la realtà, pretesa incongruamente idealista. Ciò non vuol dire che il problema del metodo possa essere affrontato di punto in bianco senza tenere conto di quanto è stato detto in tutte le salse, sarebbe una ingenuità. In questa prospettiva non ci sono scorciatoie né ricette privilegiate, solo il duro lavoro rivoluzionario, lo studio e l’azione distruttiva. Nel volere essere liberi c’è una mostruosa tentazione, occorrerebbe squarciarsi il petto. Di già la stessa parola libertà è uno scandalo, che la si riesca a dire senza arrossire è uno scandalo. Che io insista a dire questa parola senza far fronte alle conseguenze che l’essenza stessa di quello che questa parola sottintende e mi pone di fronte è altrettanto scandaloso. La libertà, in fondo, non può essere detta, quindi questa parola, libertà, è ingannatrice, e mi inganna nel momento che la pronuncio.
2019, 3a ediz., pagine 192
euro 4,00
Dietro ogni aspetto della teoria anarchica insurrezionalista si nasconde un progetto, non dico un quadro asfittico completo in tutte le sue parti, ma un progetto sufficientemente individuabile, ben al di là di queste pagine. Se non si tiene conto di ciò nessun chiarimento analitico potrà fare molto, anzi correrà il rischio di restare quello che è, un insieme di parole che pretendono contrastare la realtà, pretesa incongruamente idealista. Ciò non vuol dire che il problema del metodo possa essere affrontato di punto in bianco senza tenere conto di quanto è stato detto in tutte le salse, sarebbe una ingenuità. In questa prospettiva non ci sono scorciatoie né ricette privilegiate, solo il duro lavoro rivoluzionario, lo studio e l’azione distruttiva. Nel volere essere liberi c’è una mostruosa tentazione, occorrerebbe squarciarsi il petto. Di già la stessa parola libertà è uno scandalo, che la si riesca a dire senza arrossire è uno scandalo. Che io insista a dire questa parola senza far fronte alle conseguenze che l’essenza stessa di quello che questa parola sottintende e mi pone di fronte è altrettanto scandaloso. La libertà, in fondo, non può essere detta, quindi questa parola, libertà, è ingannatrice, e mi inganna nel momento che la pronuncio.
24 apr 2015 Leggi il testo completo...
Alfredo M. Bonanno
La bestia inafferrabile
Opuscoli provvisori – 9
2009, 2a ediz., pagine 128
euro 4,00
A braccarlo a lungo, l’animale diventa feroce. Si accorge di quanto le pretese convivenze civili siano ridicole fattezze del feticcio statale, e di come al di sotto resti intatta l’antica sostanza repressiva del dominio, quella dell’assolutismo indiscutibile perché certo della propria forza. La bestia ne aveva avuto sentore, anche quando la si accarezzava nel senso del pelo, quando le si rivolgevano parole fraterne di conforto e tolleranza, perché non sentisse fino in fondo gli aculei del collare o i denti del morso con cui si frenava la sua esuberanza bonaria e vogliosa. La catena era stata allungata fino ai margini del campo e, in tempi recenti, perfino colorata. Così, i suoi occhi di belva mansueta avevano potuto vedere, come in sogno, quel che restava del paesaggio lontano, mai raggiunto perché irraggiungibile, sempre desiderato. E allora, come per gioco, aveva cominciato a mostrare i denti al padrone, a fargli qualche versaccio maleducato, qualche ululato di troppo. Non è che il padrone non ha più fiducia nella catena, sia pure allungata, è che non gli va che la cosa si venga a sapere, che altre bestie incatenate si permettano di digrignare i denti, di fare versacci o ululare guardando con occhio voglioso il lontano paesaggio di libertà che mai avrebbero dovuto guardare.
2009, 2a ediz., pagine 128
euro 4,00
A braccarlo a lungo, l’animale diventa feroce. Si accorge di quanto le pretese convivenze civili siano ridicole fattezze del feticcio statale, e di come al di sotto resti intatta l’antica sostanza repressiva del dominio, quella dell’assolutismo indiscutibile perché certo della propria forza. La bestia ne aveva avuto sentore, anche quando la si accarezzava nel senso del pelo, quando le si rivolgevano parole fraterne di conforto e tolleranza, perché non sentisse fino in fondo gli aculei del collare o i denti del morso con cui si frenava la sua esuberanza bonaria e vogliosa. La catena era stata allungata fino ai margini del campo e, in tempi recenti, perfino colorata. Così, i suoi occhi di belva mansueta avevano potuto vedere, come in sogno, quel che restava del paesaggio lontano, mai raggiunto perché irraggiungibile, sempre desiderato. E allora, come per gioco, aveva cominciato a mostrare i denti al padrone, a fargli qualche versaccio maleducato, qualche ululato di troppo. Non è che il padrone non ha più fiducia nella catena, sia pure allungata, è che non gli va che la cosa si venga a sapere, che altre bestie incatenate si permettano di digrignare i denti, di fare versacci o ululare guardando con occhio voglioso il lontano paesaggio di libertà che mai avrebbero dovuto guardare.
24 apr 2015 Leggi il testo completo...
Alfredo M. Bonanno
Chiusi a chiave. Una riflessione sul carcere
Opuscoli provvisori – 8
2013, 4a ediz., pagine 104
euro 4,00
Il carcere è la struttura portante della società in cui viviamo. Una società progressista, educatrice, permissiva, una società che si lascia guidare da politici illuminati, contrari ad ogni ricorso alla maniera forte, una società che guarda scandalizzata ai massacri più o meno lontani che costellano la carta geografica del mondo, questa società che sembra abitata da tanti cittadini per bene attenti solo a non danneggiare il verde e a pagare il minimo possibile di tasse, questa stessa società che si crede lontana dalla barbarie e dall’orrore, ha il carcere alle porte. L’esistenza di un luogo dove uomini e donne vengono tenuti chiusi in gabbie di ferro guardati a vista da altri uomini e da altre donne che stringono in mano una chiave, un luogo dove esseri umani trascorrono anni e anni senza fare niente, assolutamente niente, è il massimo segno dell’infamia. Scrivo nel carcere di Rebibbia e non mi sento di modificare nulla della conferenza da me fatta a Bologna alcuni anni fa. Niente può cambiare il carcere. Esso è un bubbone che la società cerca di nascondere senza riuscirci. Come i medici del Seicento che curavano la peste mettendo unguenti sui bubboni ma lasciando i ratti fra le immondizie, così i nostri specialisti a tutti i livelli delle gerarchie carcerarie cercano di mettere coprivergogne per nascondere questo o quell’aspetto più orribile del carcere. Distruggerlo senza che di esso rimanga pietra su pietra.
2013, 4a ediz., pagine 104
euro 4,00
Il carcere è la struttura portante della società in cui viviamo. Una società progressista, educatrice, permissiva, una società che si lascia guidare da politici illuminati, contrari ad ogni ricorso alla maniera forte, una società che guarda scandalizzata ai massacri più o meno lontani che costellano la carta geografica del mondo, questa società che sembra abitata da tanti cittadini per bene attenti solo a non danneggiare il verde e a pagare il minimo possibile di tasse, questa stessa società che si crede lontana dalla barbarie e dall’orrore, ha il carcere alle porte. L’esistenza di un luogo dove uomini e donne vengono tenuti chiusi in gabbie di ferro guardati a vista da altri uomini e da altre donne che stringono in mano una chiave, un luogo dove esseri umani trascorrono anni e anni senza fare niente, assolutamente niente, è il massimo segno dell’infamia. Scrivo nel carcere di Rebibbia e non mi sento di modificare nulla della conferenza da me fatta a Bologna alcuni anni fa. Niente può cambiare il carcere. Esso è un bubbone che la società cerca di nascondere senza riuscirci. Come i medici del Seicento che curavano la peste mettendo unguenti sui bubboni ma lasciando i ratti fra le immondizie, così i nostri specialisti a tutti i livelli delle gerarchie carcerarie cercano di mettere coprivergogne per nascondere questo o quell’aspetto più orribile del carcere. Distruggerlo senza che di esso rimanga pietra su pietra.
24 apr 2015 Leggi il testo completo...
Alfredo M. Bonanno
La tensione anarchica
Opuscoli provvisori – 7
2013, 3a ediz., pagine 56
euro 4,00
Il processo in base al quale la tensione anarchica verso la libertà svuota se stessa della conoscenza non è mai ricordato come uniforme, non avviene tutto in una volta. La presa di coscienza non è un sacco che si vuota, alcuni elementi della conoscenza raffrenante non sono dettagli che si tolgono via a proprio gradimento, altri non possono essere tolti che con grande difficoltà e, non appena tolti, cercano in tutti i modi di ritornare al proprio posto. La paura di restare in balia dell’ignoto rimane forte. Sono portato, ed è naturale, a considerare più importanti gli elementi conoscitivi che tolgo via con maggiore difficoltà, ma questa purificazione non assegna una graduatoria né qualitativa né quantitativa. La parola, di fronte a questi sforzi, ha reazioni sue, non risponde mai in modo adeguato alla follia della tensione distruttiva, difatti non può quest’ultima presentarsi come progetto progressivo e dettagliato. La sua danza ricorda più quella del dio delle donne che la sapienza dominatrice di Atena.
2013, 3a ediz., pagine 56
euro 4,00
Il processo in base al quale la tensione anarchica verso la libertà svuota se stessa della conoscenza non è mai ricordato come uniforme, non avviene tutto in una volta. La presa di coscienza non è un sacco che si vuota, alcuni elementi della conoscenza raffrenante non sono dettagli che si tolgono via a proprio gradimento, altri non possono essere tolti che con grande difficoltà e, non appena tolti, cercano in tutti i modi di ritornare al proprio posto. La paura di restare in balia dell’ignoto rimane forte. Sono portato, ed è naturale, a considerare più importanti gli elementi conoscitivi che tolgo via con maggiore difficoltà, ma questa purificazione non assegna una graduatoria né qualitativa né quantitativa. La parola, di fronte a questi sforzi, ha reazioni sue, non risponde mai in modo adeguato alla follia della tensione distruttiva, difatti non può quest’ultima presentarsi come progetto progressivo e dettagliato. La sua danza ricorda più quella del dio delle donne che la sapienza dominatrice di Atena.
24 apr 2015 Leggi il testo completo...
Étienne De La Boétie
La servitù volontaria
Opuscoli provvisori – 6
2013, 3a ediz., pagine 78
euro 4,00
Con La Boétie siamo agli inizi della riflessione libertaria. Piccoli lampi che si accendono in un cielo pieno di nubi. Rabelais, un altro lampo. È il secolo della nascita e della crescita delle monarchie centralizzate. Il modo di vita derivante direttamente dal tardo medioevo si sgretola sotto i colpi della nuova potenza dei re: i mezzi di una forma embrionale di burocrazia, embrionale ma già sufficientemente articolata per gestire dal centro un vasto groviglio di interessi, sono pronti a entrare in azione. A parte la nobiltà parassitaria, piena di debiti e in via di mangiarsi pure le residue entrate provenienti dalla vendita dei diritti di libertà ai comuni, e non considerando una borghesia ancora non ben sicura di sé, in quanto classe e in quanto detentrice di mezzi di produzione, restano i contadini. Un mondo pieno di contraddizioni, colpito da miserie endemiche e periodiche, sotto il segno della croce e dei preti, con sussulti di liberazione e con accenni di conservatorismo.
2013, 3a ediz., pagine 78
euro 4,00
Con La Boétie siamo agli inizi della riflessione libertaria. Piccoli lampi che si accendono in un cielo pieno di nubi. Rabelais, un altro lampo. È il secolo della nascita e della crescita delle monarchie centralizzate. Il modo di vita derivante direttamente dal tardo medioevo si sgretola sotto i colpi della nuova potenza dei re: i mezzi di una forma embrionale di burocrazia, embrionale ma già sufficientemente articolata per gestire dal centro un vasto groviglio di interessi, sono pronti a entrare in azione. A parte la nobiltà parassitaria, piena di debiti e in via di mangiarsi pure le residue entrate provenienti dalla vendita dei diritti di libertà ai comuni, e non considerando una borghesia ancora non ben sicura di sé, in quanto classe e in quanto detentrice di mezzi di produzione, restano i contadini. Un mondo pieno di contraddizioni, colpito da miserie endemiche e periodiche, sotto il segno della croce e dei preti, con sussulti di liberazione e con accenni di conservatorismo.
24 apr 2015 Leggi il testo completo...
The Angry Brigade. Documenti e cronologia 1967-1984
Opuscoli provvisori – 5
2013, 6a ediz., pagine 87
euro 4,00
La bellezza dei comunicati dei compagni dell’Angry Brigade sta nella loro immediatezza e semplicità, convinti come erano che le azioni migliori sono quelle che non hanno bisogno di spiegazioni. E allora questo libretto potrà essere utile a chi crede che la lotta si radicalizza attaccando sì le manifestazioni concrete del nemico di classe, ma senza pensare di colpire un presunto “cuore”, come se il processo rivoluzionario fosse una mera questione militare. A chi vuole, con l’azione, dare un’indicazione di metodo e non praticare un gesto esemplare per cui fare il tifo delegando la lotta all’organizzazione armata invece che al sindacato. Ma anche a chi, pur ritenendo di non rappresentare nessuno o tanto meno di esserne la guida, non si pone questi problemi e pensa che qualsiasi azione possa bastare a se stessa.
2013, 6a ediz., pagine 87
euro 4,00
La bellezza dei comunicati dei compagni dell’Angry Brigade sta nella loro immediatezza e semplicità, convinti come erano che le azioni migliori sono quelle che non hanno bisogno di spiegazioni. E allora questo libretto potrà essere utile a chi crede che la lotta si radicalizza attaccando sì le manifestazioni concrete del nemico di classe, ma senza pensare di colpire un presunto “cuore”, come se il processo rivoluzionario fosse una mera questione militare. A chi vuole, con l’azione, dare un’indicazione di metodo e non praticare un gesto esemplare per cui fare il tifo delegando la lotta all’organizzazione armata invece che al sindacato. Ma anche a chi, pur ritenendo di non rappresentare nessuno o tanto meno di esserne la guida, non si pone questi problemi e pensa che qualsiasi azione possa bastare a se stessa.
24 apr 2015 Leggi il testo completo...
Alfredo M. Bonanno
Distruggiamo il lavoro
Opuscoli provvisori – 4
2013, 4a ediz., pagine 36
euro 4,00
Capire il fare significa capire la speranza. Fare è sperare il completamento. L’immagine emblematica è quella del collezionista. Atroce, ma veritiera. Nel mondo io sono il fare, mi progetto e mi ricordo come fare. Vivo la vita e non voglio che sia altro dal fare, in caso contrario avrei paura di non viverla, di lasciarmela sfuggire. Il volere, che mi domina, non è altro che fare, il volere fare è una forma riflessa di fare, fare anch’esso. Il lavoro è una forma particolarmente acuta del fare, la forma coatta per eccellenza. Non ho certezza del fare che intraprendo, ma è la completezza a cui miro. So bene che questa prospettiva tranquillizzante non è praticamente accessibile, ma la tengo davanti agli occhi mentre timbro il cartellino ogni mattina. Spero che non sia così, anche se so che è così, che la morte verrà e concluderà la partita per sé e non più per me. Inafferrabile e lontana è la completezza, essa risiede nella straordinaria rarefazione della qualità e mi affascina non con la sua pienezza, che posso attingere solo con intuizioni coinvolgenti e pericolose, comunque non durature, ma con l’inganno del desiderio, vuota immaginazione che la necessità riempie di contenuti presto assimilati nel processo produttivo. Distruggendo il lavoro che mi opprime, sabotando l’amministrazione del mondo, mi accingo a passare oltre, a guardare che c’è oltre la siepe che chiude la prospettiva dell’orizzonte.
2013, 4a ediz., pagine 36
euro 4,00
Capire il fare significa capire la speranza. Fare è sperare il completamento. L’immagine emblematica è quella del collezionista. Atroce, ma veritiera. Nel mondo io sono il fare, mi progetto e mi ricordo come fare. Vivo la vita e non voglio che sia altro dal fare, in caso contrario avrei paura di non viverla, di lasciarmela sfuggire. Il volere, che mi domina, non è altro che fare, il volere fare è una forma riflessa di fare, fare anch’esso. Il lavoro è una forma particolarmente acuta del fare, la forma coatta per eccellenza. Non ho certezza del fare che intraprendo, ma è la completezza a cui miro. So bene che questa prospettiva tranquillizzante non è praticamente accessibile, ma la tengo davanti agli occhi mentre timbro il cartellino ogni mattina. Spero che non sia così, anche se so che è così, che la morte verrà e concluderà la partita per sé e non più per me. Inafferrabile e lontana è la completezza, essa risiede nella straordinaria rarefazione della qualità e mi affascina non con la sua pienezza, che posso attingere solo con intuizioni coinvolgenti e pericolose, comunque non durature, ma con l’inganno del desiderio, vuota immaginazione che la necessità riempie di contenuti presto assimilati nel processo produttivo. Distruggendo il lavoro che mi opprime, sabotando l’amministrazione del mondo, mi accingo a passare oltre, a guardare che c’è oltre la siepe che chiude la prospettiva dell’orizzonte.
24 apr 2015 Leggi il testo completo...
Parigi 1871. La Comune libertaria
Opuscoli provvisori – 3
2013, 4a ediz., pagine 50
euro 4,00
Gli avvenimenti di marzo portarono nelle strade di Parigi una umanità dolorante che non si era mai vista. La borghesia (secondo la testimonianza di Vilfredo Pareto) ne fu addirittura terrorizzata. Più che gli scontri veri e propri, le barricate e le distruzioni, come l’abbattimento della colonna Vendôme eretta a ricordo delle vittorie di Napoleone, fatti che interessarono solo una parte dei quartieri della città, quello che fece veramente paura fu l’autorganizzazione di una realtà sovversiva che non si immaginava potesse fare da sé. Dai luoghi più reconditi e miseri di Parigi uscirono le forze vive di quella parte della società da sempre destinata alla fame e all’ignoranza. E questa gente non andava tanto per il sottile, anche se i tentativi di frenarla partirono subito da quelle componenti – politici, letterati, avvocati – che in questi casi riescono a mettersi alla testa di ogni iniziativa per darle il “giusto” freno e indirizzarla verso quelle contrattazioni che nella logica del potere possono dare i migliori frutti. Difatti, anziché attaccare subito Versailles, utilizzando i cannoni che si trovavano a Parigi, e impiegando le forze militari che potevano avere facilmente ragione dei resti di un esercito umiliato e sconfitto, questi “capi proletari” fecero di tutto per rallentare le cose e permettere al governo provvisorio di riorganizzarsi e, con l’aiuto dei Prussiani, schiacciare la Comune.
2013, 4a ediz., pagine 50
euro 4,00
Gli avvenimenti di marzo portarono nelle strade di Parigi una umanità dolorante che non si era mai vista. La borghesia (secondo la testimonianza di Vilfredo Pareto) ne fu addirittura terrorizzata. Più che gli scontri veri e propri, le barricate e le distruzioni, come l’abbattimento della colonna Vendôme eretta a ricordo delle vittorie di Napoleone, fatti che interessarono solo una parte dei quartieri della città, quello che fece veramente paura fu l’autorganizzazione di una realtà sovversiva che non si immaginava potesse fare da sé. Dai luoghi più reconditi e miseri di Parigi uscirono le forze vive di quella parte della società da sempre destinata alla fame e all’ignoranza. E questa gente non andava tanto per il sottile, anche se i tentativi di frenarla partirono subito da quelle componenti – politici, letterati, avvocati – che in questi casi riescono a mettersi alla testa di ogni iniziativa per darle il “giusto” freno e indirizzarla verso quelle contrattazioni che nella logica del potere possono dare i migliori frutti. Difatti, anziché attaccare subito Versailles, utilizzando i cannoni che si trovavano a Parigi, e impiegando le forze militari che potevano avere facilmente ragione dei resti di un esercito umiliato e sconfitto, questi “capi proletari” fecero di tutto per rallentare le cose e permettere al governo provvisorio di riorganizzarsi e, con l’aiuto dei Prussiani, schiacciare la Comune.
24 apr 2015 Leggi il testo completo...
Alfredo M. Bonanno
La gioia armata
Opuscoli provvisori – 2
2013, 3a ediz., pagine 74
- ESAURITO - Ristampa in Piccola biblioteca n.2
Il compagno che ogni mattina si alza per andare a lavorare, che s’incammina nella nebbia, che entra nell’atmosfera irrespirabile della fabbrica o dell’ufficio, per ritrovarvi le stesse facce: la faccia del capo reparto, del conta-tempi, della spia di turno, dello stacanovista-con-sette-figli-a-carico, questo compagno sente la necessità della rivoluzione, della lotta e dello scontro fisico, anche mortale, ma sente pure che tutto ciò gli deve apportare un poco di gioia, subito, non dopo. E questa gioia se la coltiva nelle sue fantasie, mentre cammina a testa bassa nella nebbia, mentre passa ore nei treni o nei tram, mentre soffoca sotto le pratiche inutili dell’ufficio o davanti agli inutili bulloni che servono a tenere insieme gli inutili meccanismi del capitale.
2013, 3a ediz., pagine 74
- ESAURITO - Ristampa in Piccola biblioteca n.2
Il compagno che ogni mattina si alza per andare a lavorare, che s’incammina nella nebbia, che entra nell’atmosfera irrespirabile della fabbrica o dell’ufficio, per ritrovarvi le stesse facce: la faccia del capo reparto, del conta-tempi, della spia di turno, dello stacanovista-con-sette-figli-a-carico, questo compagno sente la necessità della rivoluzione, della lotta e dello scontro fisico, anche mortale, ma sente pure che tutto ciò gli deve apportare un poco di gioia, subito, non dopo. E questa gioia se la coltiva nelle sue fantasie, mentre cammina a testa bassa nella nebbia, mentre passa ore nei treni o nei tram, mentre soffoca sotto le pratiche inutili dell’ufficio o davanti agli inutili bulloni che servono a tenere insieme gli inutili meccanismi del capitale.
24 apr 2015 Leggi il testo completo...
Alfredo M. Bonanno
Io so chi ha ucciso il commissario Luigi Calabresi
Opuscoli provvisori – 1
2013, 4a ediz., pagine 120
euro 4,00
Se questo mondo si basa sulla giustizia commisurata, sui calcoli numerici di un dare e un avere, di un punire per il torto fatto e di fare un torto per la pena subita, si tratta di un mondo che non ha niente a che fare con quell’idea di giustizia venuta fuori collettivamente in quel momento, quella sera, nel Cimitero Maggiore di Milano. Ecco quindi che quella sera, senza che nessuno lo volesse o lo sapesse, è venuta fuori un’idea di giustizia che prima non c’era, un’idea che travalica e rende risibile il singolo desiderio, la singola fantasia di sparare in bocca al buon commissario Calabresi, desiderio e fantasia coltivati senz’altro dalla quasi totalità dei presenti.
Ecco perché io so chi ha ucciso il commissario Luigi Calabresi, il 17 maggio 1972, sotto casa sua, in via Cherubini 6, a Milano, alle nove e un quarto del mattino.
Nessun perdono. Nessuna pietà.
2013, 4a ediz., pagine 120
euro 4,00
Se questo mondo si basa sulla giustizia commisurata, sui calcoli numerici di un dare e un avere, di un punire per il torto fatto e di fare un torto per la pena subita, si tratta di un mondo che non ha niente a che fare con quell’idea di giustizia venuta fuori collettivamente in quel momento, quella sera, nel Cimitero Maggiore di Milano. Ecco quindi che quella sera, senza che nessuno lo volesse o lo sapesse, è venuta fuori un’idea di giustizia che prima non c’era, un’idea che travalica e rende risibile il singolo desiderio, la singola fantasia di sparare in bocca al buon commissario Calabresi, desiderio e fantasia coltivati senz’altro dalla quasi totalità dei presenti.
Ecco perché io so chi ha ucciso il commissario Luigi Calabresi, il 17 maggio 1972, sotto casa sua, in via Cherubini 6, a Milano, alle nove e un quarto del mattino.
Nessun perdono. Nessuna pietà.
24 apr 2015 Leggi il testo completo...
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