Titolo: Scritti sull’ateismo
Data: 1795
Note: Testi originali: Dialogue entre un prêtre et un moribond (post., 1926)
Pensée sur l’athéisme (post., 1931)
La philosophie dans le boudoir, 2 voll., 1795.
Prima edizione italiana: Ragusa 1971
Seconda edizione: novembre 2013
Traduzioni e note di Alfredo M. Bonanno
Opuscoli provvisori n. 41
SKU: opuscoli-000041
Dimensioni: cm 10 x 10,5
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Nota introduttiva alla seconda edizione

L’ateismo prima di tutto, radicale e congrua negazione di Dio, poi la lotta, qui e subito, contro la funzione che la religione esercita come strumento di dominio, come ancella, suggeritrice e sovvenzionatrice del potere. Ecco il programma di Sade.

Si possono condividere più o meno i suoi scritti e le sue interpretazioni della virtù politica del cittadino, peraltro conformi agli illuministi, come si può essere, più o meno, disturbati dal modo in cui tratta le fantasie sessuali, espressioni naturali dell’uomo e del vivere in società, ma non si può negare la fondatezza della sua critica alla religione. In fondo è per ciò che ripubblichiamo questi Scritti, perché dopo quarant’anni essi sono sempre attuali.

Più che un imbroglio, come ho sottolineato tante volte, l’origine della religione, di qualsiasi religione, va cercata nel terrore e nella sofferenza. Se il primo si è attenuato, almeno per alcuni aspetti, abituandoci la società moderna a vivere spensieratamente pur restando sempre sull’orlo dell’abisso, la sofferenza, per chi subisce lo sfruttamento, non si è attenuata, ha preso forme sempre differenti ma tutte simili nel sibilo della frusta e nell’obbedienza imposta in un modo o nell’altro. Sade, di certo, non vede tutti questi aspetti del problema, alcuni dei quali sono stati chiariti solo recentemente, ma ne individua altri, e questi sono importanti e non devono essere posti da parte perché la forza del potere è in primo luogo su di essi che trova fondamento.


Trieste, 22 novembre 2011

Alfredo M. Bonanno

* * * * *

Il manoscritto di questo lavoro fu scoperto da Maurice Heine e pubblicato nel 1926. Si tratta dell’opera più antica di Sade, risalendo al 1782, la data che si trova indicata sul manoscritto è il 12 luglio 1782, all’epoca quindi della detenzione a Vincennes dove Sade si trovava in forza della lettre de cachet del re che aveva bloccata la sentenza favorevole emessa dal tribunale di Aix nel 1778 per i disordini commessi a Marsiglia. Sade resterà rinchiuso a Vincennes fino al luglio del 1783.

È necessario avvertire il lettore che l’opera si presenta come il tentativo più organico e sereno fatto da Sade per stabilire i fondamenti della sua dottrina ateista. Con tutto ciò, pur mancando gli eccessi che rendono spesso insopportabile tanta altra sua produzione, il Dialogo sfugge difficilmente all’accusa di pedanteria e artificiosità. Non manca la tirata patriottica e realista, (sull’autenticità del sentimento che la fonda sono autorizzati molti dubbi) bisognerà arrivare alle esperienze letterarie post-rivoluzionarie per avere un Sade repubblicano e con grande avversione verso ogni tipo di autorità costituita. Quest’ultima situazione si vedrà chiaramente nella Philosophie dans le boudoir, di cui non possiamo sapere la data di redazione in quanto possediamo solo l’edizione originale del 1795, ma che comunque si pone come componimento successivo ai rivolgimenti rivoluzionari.

Dialogo tra un prete e un moribondo

Il prete: Arrivato infine all’istante fatale in cui il velo dell’illusione non si apre che per mostrare al peccatore il quadro crudele dei suoi errori e dei suoi vizi, non vorrai pentirti, figlio mio, dei diversi disordini in cui la debolezza e la fragilità umana ti hanno trascinato?

Il moribondo: Certamente, amico mio, mi pento.

Il prete: Approfitta quindi di questi fortunati rimorsi per ottenere dal cielo, negli ultimi istanti della vita, la completa assoluzione dei peccati, pensando però che soltanto attraverso il santissimo sacramento della penitenza ti sarà possibile ottenerla dall’Eterno.

Il moribondo: Non credo di capire più di quanto tu non abbia compreso me.

Il prete: Cosa vuoi dire?

Il moribondo: Ti ho detto che mi pentivo.

Il prete: Questo l’ho sentito.

Il moribondo: Sì, ma senza capire.

Il prete: Ma come dovrei interpretare...?

Il moribondo: Ecco... Creato dalla natura con gusti vivissimi e assai robuste passioni [1], unicamente venuto al mondo per soddisfarli; ed essendo questi effetti del modo in cui fui creato semplicemente necessità relative ai fini essenziali della natura, o se preferisci, derivazioni essenziali dei progetti della natura sul mio conto, sempre in rapporto alle sue leggi; io non mi pento che dell’uso mediocre che ho fatto delle facoltà (secondo te criminali, semplicissime per me) ch’essa m’aveva dato per servirla. Qualche volta io resistetti ai suoi impulsi: ora me ne pento. Accecato dall’assurdità dei tuoi sistemi mi pento di avere contrastato la violenza dei desideri che un’ispirazione ben più che divina mi forniva [2], limitandomi a cogliere fiori quando avrei potuto cogliere frutti. Ecco i motivi del mio giusto pentimento, ti prego di stimarmi abbastanza da non attribuirmene altri.

Il prete: Dove mai ti portano i tuoi errori, dove ti conducono i tuoi sofismi! Alla cosa creata attribuisci tutta la potenza del creatore, e queste sciagurate tendenze che ti hanno posto sulla cattiva strada, non ti accorgi che sono solamente gli effetti di quella natura corrotta, alla quale attribuisci l’onnipotenza?

Il moribondo: Amico mio, la tua dialettica mi sembra falsa quanto il tuo spirito. O ti sforzi di ragionare esattamente o mi lasci morire in pace. Che cosa intendi per creatore e che cosa per natura corrotta?

Il prete: Il creatore è il padrone dell’universo, colui che ha fatto tutto, che ha creato tutto, e che tutto conserva per un semplice effetto di onnipotenza.

Il moribondo: Un grand’uomo, in fede mia! Ebbene, dimmi allora perché un uomo simile, così potente, ha fatto, secondo te, una natura corrotta.

Il prete: E quale sarebbe stato il merito degli uomini se Dio non avrebbe lasciato loro il libero arbitrio? e quale premio avrebbero potuto godere se sulla terra non vi fosse stata la possibilità di fare il bene e quella di evitare il male?

Il moribondo: Così il tuo Dio ha voluto fare tutto al contrario, unicamente per tentare o provare la sua creatura; ma non la conosceva dunque, non aveva certezza dunque del risultato?

Il prete: La conosceva indubbiamente, ma ancora una volta voleva lasciarle il merito della scelta.

Il moribondo: Ma perché, dal momento che conosceva a priori la sua scelta, non sarebbe dipeso da lui, visto che lo dici onnipotente, non sarebbe dipeso da lui, dico io, costringerla a scegliere il bene?

Il prete: Chi può comprendere le immense ed infinite vedute di Dio sull’uomo, chi può mai capire tutto quello che vediamo?

Il moribondo: Colui che semplifica le cose, amico mio, specie colui che non moltiplica le cause per meglio imbrogliare gli effetti. Perché ti crei una seconda difficoltà, quando non sei capace di spiegarti la prima? e poiché è possibile che la natura, da sola, abbia fatto tutto ciò che attribuisci al tuo dio, perché vuoi andare a cercarle un padrone? La causa che ti sfugge può essere la più semplice del mondo. Approfondisci la tua fisica, e comprenderai meglio la natura; purifica la tua ragione, elimina i pregiudizi e non avrai più bisogno del tuo dio.

Il prete: Disgraziato! ti credevo semplicemente sociniano [3], e m’ero preparato a combatterti, mi accorgo che sei ateo visto che il tuo cuore rifiuta l’immensità delle prove autentiche che riceviamo ogni giorno circa l’esistenza del creatore, non ho più nulla da dirti. Non si può restituire la vista ad un cieco.

Il moribondo: Amico mio, ammetti un fatto: il più cieco di noi due è quello che si mette la benda sugli occhi non quello che se la strappa. Tu costruisci, inventi, moltiplichi; io distruggo, semplifico. Tu assommi errori ad errori: io li combatto tutti. Chi di noi due è il cieco?

Il prete: Allora non credi per niente in Dio?

Il moribondo: No. E ciò per una ragione assai semplice: non mi è possibile credere in ciò che non comprendo. Tra la comprensione e la fede debbono esserci rapporti immediati; la comprensione è il primo alimento della fede; dove non agisce la comprensione, la fede è morta, e coloro che, in questo caso, pretendessero di averne, sarebbero degli impostori. Io sfido anche te a credere nel dio che vai predicando, in quanto non sapresti dimostrarmelo, in quanto non lo sai definire, e conseguentemente non lo capisci; e poiché non lo capisci non puoi fornire la benché minima dimostrazione. In una parola tutto ciò che è al di sopra dei limiti dello spirito umano, è o chimerico, o inutile; e poiché il tuo dio non può essere che l’una o l’altra di queste cose, nel primo caso sarei un pazzo a credervi, nel secondo un imbecille.

Amico mio, provami l’inerzia della natura, e ti concederò il creatore; provami che la natura non è autosufficiente, e ti permetterò di supporre un padrone. Fino a quel momento non aspettarti nulla da me, mi arrendo solo all’evidenza e questa non la ricavo solo dai miei sensi; dove questi si arrestano la mia fede perde le sue forze. Credo nel sole perché lo vedo e lo concepisco come il centro di riunione di tutta la materia infiammabile della natura; il suo periodico cammino mi dà gioia ma non mi stupisce. Si tratta di un fenomeno di fisica, forse molto semplice come l’elettricità [4]; ma che non comprendiamo. Che bisogno c’è di andare oltre? Quando avrai innalzato il tuo dio al di sopra di tutto ciò, che vantaggio ne ricaverò, non mi ci vorrà forse per comprendere l’artefice uno sforzo altrettanto grande di quello occorrente a definire l’opera?

Non mi hai reso alcun servizio, quindi, costruendo la tua chimera, hai turbato il mio spirito ma non lo hai illuminato, per cui ti devo solo del rancore in luogo di riconoscenza. Il tuo dio è una macchina che hai fabbricato per servire le tue passioni, e tu la fai muovere secondo le necessità di queste; ma non appena essa disturba le mie, adattati a vederla rovesciare. Nell’istante in cui la mia debole anima ha bisogno di calma e di filosofia, evita di disturbarla con i tuoi sofismi, che incutono paura senza riuscire a convincere, che irritano senza rendere migliore. La mia anima, amico mio, è ciò che la natura ha deciso che fosse, cioè il risultato degli organi forniti da essa in funzione dei suoi scopi e delle sue necessità; e, siccome essa ha parimenti bisogno di vizi e di virtù, quando le è piaciuto spingermi ai primi lo ha fatto, quando ha voluto le seconde, me ne ha ispirato il desiderio, ed io mi sono ugualmente abbandonato. Non cercare che le sue leggi come unica causa dell’incoerenza umana, e non cercare a queste leggi principio differente del suo volere e delle sue necessità.

Il prete: Così nel mondo è tutto necessario?

Il moribondo: Assolutamente [5].

Il prete: Ma essendo tutto necessario tutto soggiace ad una regola.

Il moribondo: E chi dice il contrario?

Il prete: Ma chi potrebbe regolare tutto in questo modo se non una mano onnipotente e saggia?

Il moribondo: Non è necessario che la polvere prenda fuoco quando si avvicina alla fiamma?

Il prete: Sì.

Il moribondo: E quale saggezza ci trovi?

Il prete: Nessuna.

Il moribondo: È possibile quindi che esistano cose necessarie ma prive di saggezza, e per conseguenza è possibile che tutto derivi da una causa prima senza che in questa vi siano ragione o saggezza.

Il prete: Dove vuoi arrivare?

Il moribondo: A provarti che tutto può essere così com’è e come lo vedi, senza che alcuna causa saggia e ragionevole lo guidi, e che effetti naturali debbono avere cause naturali, senza la necessità di supporre per loro una causa soprannaturale come sarebbe il tuo dio, il quale, come ti ho detto, avrebbe bisogno di spiegazione invece di fornirne; e che per conseguenza non essendo buono a nulla, è perfettamente inutile. Ora essendo assai probabile che ciò che è inutile sia vano e che ciò che è vano sia niente, così, per convincermi che il tuo dio è una chimera, non ho bisogno di ragionamenti diversi da quelli che mi fornisce la certezza della sua inutilità.

Il prete: Su queste basi mi pare superfluo parlarti di religione.

Il moribondo: Perché no? Nulla mi diverte di più della prova degli estremi cui sono giunti il fanatismo e l’imbecillità degli uomini su questo argomento. Si tratta di pervertimenti così straordinari, che la descrizione, secondo me, sebbene terribile, risulta sempre interessante. Rispondi francamente, e soprattutto senza egoismo. Se fossi tanto debole da lasciarmi sorprendere dai tuoi ridicoli sistemi sull’esistenza favolosa dell’essere che rende necessaria la religione, sotto quale forma mi consiglieresti di onorarlo? Vorresti che adottassi le fantasie di Confucio piuttosto che le assurdità di Brama? dovrei adorare il gran serpente dei negri, l’astro dei Peruviani, o il dio degli eserciti di Mosè? a quale setta di Maometto vorresti che mi abbandonassi? o quale eresia cristiana sarebbe secondo te preferibile? Attento alla tua risposta.

Il prete: E puoi avere dei dubbi su questa risposta?

Il moribondo: Ecco allora il tuo egoismo.

Il prete: Assolutamente, è perché ti amo come me stesso che ti consiglio ciò in cui credo.

Il moribondo: Ma il prestare orecchio a simili errori significa amar ben poco tutti e due.

Il prete: Ma chi potrà restare cieco davanti ai miracoli del nostro divino redentore?

Il moribondo: Colui che non vede altro in lui che il più comune dei furbi o il più volgare degli impostori.

Il prete: O dèi, voi lo udite e non tuonate?

Il moribondo: No, amico mio, tutto è in pace, perché il tuo dio, sia per impotenza, sia a ragione, sia tutto quello che vuoi tu, dando per buono quest’essere che accetto per un momento solo per accondiscendenza verso di te, o, se credi meglio, per adattarmi alle tue ristrette vedute, perché questo dio, dicevo, se esiste come tu hai la follia di credere, non può avere scelto per convincerci dei mezzi così ridicoli come quelli che il tuo Gesù suppone.

Il prete: E come, le profezie, i miracoli, i martiri, non sono forse delle prove?

Il moribondo: Come vuoi che in buona logica io possa accettare come prova qualcosa che ha bisogno a sua volta di essere provata? Perché la profezia possa considerarsi come prova occorre anzitutto avere l’assoluta certezza che sia stata fatta. Ora essendo ciò certificato dalla storia, non può avere per me altra validità che quella di tutti gli altri fatti storici, dei quali i tre quarti sono fortemente dubbi. Se a questo aggiungo ancora il sospetto più che ragionevole che questi fatti sono stati tramandati da storici interessati, come vedi sarò bene in diritto di dubitare. D’altra parte chi mi garantirà che quella determinata profezia non sia stata fatta dopo l’avvenimento, che non sia l’effetto di una combinazione di astuzia semplicissima, come quella che prevede un regno felice sotto un re giusto, o un gelo d’inverno? E se tutto sta cosi, come vuoi che la profezia, la quale ha un simile bisogno di essere provata, possa essa stessa diventare una prova?

In merito ai tuoi miracoli, essi non mi convincono di più. Tutti i furbi ne hanno fatti e tutti gli sciocchi li hanno creduti. Per convincermi della verità di un miracolo, dovrei essere sicuro che l’avvenimento che chiamate tale, sia assolutamente contrario alle leggi della natura, in quanto solo ciò che è al di fuori di essa può essere considerato miracolo: ma chi la conosce così profondamente da osare affermare qual è precisamente il punto dove essa si ferma o dove è infranta? Sono sufficienti due sole cose per accreditare un preteso miracolo: un ciarlatano e delle donnette. Va’, non cercare mai altra origine ai tuoi miracoli, tutti i nuovi settari ne hanno fatti, e, cosa più singolare, tutti hanno trovato degli imbecilli che vi hanno posto fede. Il tuo Gesù non ha fatto nulla di più originale di Apollonio di Tiana [6], eppure nessuno penserebbe di considerare quest’ultimo come un dio. Quanto ai tuoi martiri, essi sono certamente il più debole di tutti i tuoi argomenti. Basta l’entusiasmo e la resistenza per avere dei martiri, e finché la causa contraria ne presenterà quanto la tua, non mi sentirò mai sufficientemente autorizzato a credere l’una migliore dell’altra, ma caso mai spinto a considerarle entrambe discutibili.

Oh, amico mio, se esistesse davvero il dio che predichi, avrebbe bisogno dei miracoli, dei martiri e delle profezie per stabilire il suo regno? E se, come dici, il cuore dell’uomo è opera sua, non sarebbe là il santuario che sceglierebbe per la sua legge? Questa legge, uguale per tutti perché frutto di un dio giusto, sarebbe irresistibilmente impressa in modo identico in tutti, da una punta all’altra dell’universo; così tutti gli uomini accomunati da quest’organo delicato e sensibile, si rassomiglierebbero maggiormente nell’omaggio che renderebbero al dio da cui l’hanno ricevuto; così tutti avrebbero soltanto un modo di adorarlo e di servirlo, e sarebbe per loro impossibile misconoscerlo come pure resistere alla intima attrazione del culto. Invece che cosa vediamo nell’universo? Tante divinità per quanti sono i paesi, tanti modi di servire questi dèi per quanti sono le teste e le immaginazioni. E questa molteplicità d’opinioni, nella quale è materialmente impossibile orientarsi, sarebbe, secondo te, l’opera di un dio giusto?

Va’, predicatore, tu oltraggi il tuo dio presentandomelo in questo modo; lasciamelo negare del tutto, in quanto se esiste lo oltraggio meno io con la mia incredulità che tu con le tue bestemmie. Torna alla ragione, predicatore, il tuo Gesù non vale di più di Maometto, Maometto non vale di più di Mosè, e tutti e tre non valgono di più di Confucio, il quale in ogni caso riuscì a dettare qualche buona massima mentre gli altri farneticavano. In generale si tratta di tutta una genia di impostori, di cui il filosofo si burla, in cui la canaglia ha fede e che la giustizia avrebbe dovuto impiccare.

Il prete: Purtroppo è quello che la giustizia fece con uno dei quattro.

Il moribondo: Era quello che lo meritava di più: sedizioso, turbolento, calunniatore, furfante, libertino, grossolano, buffone e pericoloso mentitore, possedeva l’arte di imporsi al popolo, e conseguentemente diventava passibile di pena in un regno nelle condizioni in cui si trovava allora quello della Gerusalemme dell’epoca. Hanno fatto bene quindi a liberarsene, e questo può essere considerato uno dei rari casi, in cui i miei princìpi, estremamente dolci e tolleranti, ammettono la severità di Temi [7]. Scuso tutti gli errori, eccetto quelli che possono diventare pericolosi per il governo sotto cui si vive; i re e le loro maestà sono le sole cose che mi incutono riverenza, le sole che rispetto: chi non ama il suo paese e il suo re non è degno di vivere [8].

Il prete: Ma in definitiva ammetterete l’esistenza di qualche cosa dopo questa vita? È impossibile che il vostro spirito non abbia voluto qualche volta penetrare le tenebre della sorte che ci attende; e quale sistema può averlo soddisfatto meglio di quello che prevede una serie di pene per chi è vissuto male e una eternità di ricompense per chi è vissuto bene?

Il moribondo: Quale, amico mio? Quello del nulla. Non mi ha mai spaventato e non vi vedo altro che semplicità e consolazione; tutti gli altri sistemi sono figli dell’orgoglio, questo solo è prodotto dalla ragione. Per altro il nulla non può essere né spaventoso né assoluto. Non ho forse davanti ai miei occhi la perpetua generazione e rigenerazione della natura? Nulla perisce, amico mio, nulla si distrugge nel mondo; oggi uomo, domani verme, dopodomani mosca, non è sempre un esistere? E perché vuoi che venga ricompensato delle virtù che non costituiscono in alcun modo un mio merito o punito dei delitti di cui non ho responsabilità? Puoi accordare la bontà del tuo preteso dio con questo sistema, può avermi creato per prendersi il piacere di punirmi, e ciò solo in conseguenza di una scelta di cui non mi ha fatto padrone?

Il prete: Ma lo siete.

Il moribondo: Naturalmente, lo sono secondo i tuoi pregiudizi, ma la ragione li distrugge; il sistema del libero arbitrio dell’uomo è stato inventato solo allo scopo di costituire il sistema della grazia, che tanto bene favorisce le tue stupidaggini. Qual è l’uomo che commetterebbe il crimine vedendovi accanto il patibolo, se fosse libero di commetterlo? Noi siamo trascinati da una forza irresistibile, mai padroni di noi stessi e soltanto capaci di indirizzarci dove la natura ci spinge. Non esiste una sola virtù che non sia necessaria alla natura, e all’incontro, un solo delitto di cui essa non abbia altrettanto bisogno, nel perfetto equilibrio che riesce a mantenere tra questi estremi consiste tutta la sua abilità. Possiamo quindi essere colpevoli della tendenza che ci inculca? Non di più di quanto lo sia la vespa che viene a trafiggerci con il suo pungiglione nella pelle.

Il prete: In questo modo il più gran delitto non dovrebbe ispirarci alcun orrore?

Il moribondo: Non si tratta di questo; è sufficiente che la legge lo condanni e che la spada della giustizia lo punisca, perché esso debba ispirarci un senso di ripulsa e di terrore [9]; una volta, però, che sfortunatamente sia stato commesso, bisogna sapere prendere una decisione e non abbandonarsi a sterili rimorsi. L’azione del rimorso e vana in quanto non avendoci preservato prima, non può porvi riparo dopo: dunque assurdo avere rimorso, è più assurdo ancora temere la punizione nell’altro mondo, una volta che si è stati tanto fortunati da sfuggire alla punizione in questo mondo. Mi guardo bene però da incoraggiare così il delitto! Bisogna assolutamente evitarlo finché è possibile, ma è con la ragione che dobbiamo sfuggirlo e non tramite falsi timori che non concludono nulla e il cui effetto è tosto svanito in un animo sia pure un poco saldo. La ragione, amico mio, solo la ragione deve avvertirci che nuocere ai nostri simili non potrà mai farci felici, mentre il nostro cuore dovrà avvertirci che il contribuire alla loro felicità è la gioia più grande accordataci dalla natura sulla terra. Tutta la morale umana è racchiusa in questa frase: rendere gli altri tanto felici quanto desideriamo esserlo noi stessi e non fare loro più male di quanto desidereremmo riceverne. Ecco, amico mio, ecco i soli princìpi che dobbiamo seguire, e non c’è bisogno di religione né di dio per apprezzarli e ammetterli: occorre soltanto buon cuore [10].

Ma mi accorgo di perdere le forze, predicatore; lascia i tuoi pregiudizi, sii uomo, sii buono, senza paura e senza speranza; lascia i tuoi dèi e le tue religioni; tutto ciò non è buono che a mettere la spada in mano agli uomini, e il solo nome di questi orrori ha fatto versare più sangue sulla terra di quanto non abbiano fatto le altre guerre e gli altri flagelli tutti insieme [11]. Rinuncia dunque all’idea d’un altro mondo, esso non esiste, ma non rinunciare al piacere di essere e fare felici in questo. Ecco il solo modo che la natura ti offre di raddoppiare la tua esistenza o di prolungarla... Amico mio, la voluttà fu sempre il più caro dei miei beni, l’ho adorata tutta la vita e ho voluto terminare nelle sue braccia: la mia fine si avvicina, sei donne più belle del giorno sono nello stanzino qui accanto, le serbavo per questo momento; prenditi la tua parte, seguendo il mio esempio cerca di dimenticare sul loro seno tutti i vani sofismi della superstizione e tutti gli sciocchi errori dell’ipocrisia.


Il moribondo suonò, le donne entrarono, e il predicatore divenne tra le loro braccia un uomo corrotto dalla natura, per non aver saputo spiegare che cosa fosse la natura corrotta.

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Interessantissimo saggio di filosofia sensista edito per la prima volta in Le Surréalisme au service de la Révolution (IV, 1931), in cui viene attaccata la posizione di Pierre Nicole (1625-1695) portorealista, autore in collaborazione con Antoine Arnauld (1612-1694) della Logica di Port-Royal o l’arte di pensare (1662).

L’interpretazione di Sade risente molto di un sensismo filosoficamente limitato, non potendo ovviamente prevedere determinati piani di sviluppo di una specifica formulazione realista del problema gnoseologico, comunque la sua critica al postulato cartesiano, sia pure restando alla sola apparenza idealista e non intraprendendo l’escussione del sottofondo realistico-illazionista tipico di Cartesio, precorre molti lavori contemporanei. Giustamente Zolla ha concluso quasi per un sesto senso profetico del nostro autore nel preannunciare conclusioni che poi il lento svolgersi degli studi avrebbe trovato naturale decenni più tardi. (Cfr. Marchese di Sade, Le opere, tr. it., Milano 1961, pag. 75).

Pensieri sull’ateismo

Dio è per l’uomo assolutamente ciò che i colori sono per un cieco di nascita; questi non può raffigurarseli in alcun modo. – Ma, si potrebbe obiettare, i colori tuttavia esistono: per cui se il cieco non può raffigurarseli si tratta di un difetto dei sensi e non di una vera e propria inesistenza della cosa. Allo stesso modo, se l’uomo non comprende Dio, si tratta di un difetto dei sensi non della mancanza dell’esistenza di questo essere.

È proprio qui che il sofisma sta annidato: il nome e le proprietà, o differenze, posseduti dai colori sono frutto di una convenzione, derivante dalla necessità in cui ci troviamo di distinguerli, ma la loro esistenza è illusoria, cioè è banale stabilire se un nastro bruno sia bruno in realtà; non c’è altra realtà che la nostra convenzione. La stessa cosa succede con Dio, esso si presenta alla nostra immaginazione assolutamente allo stesso modo in cui il colore si può presentare al cervello dei ciechi, cioè come una cosa di cui viene affermata l’esistenza, ma di cui niente prova la realtà, e che per conseguenza può benissimo non essere. In questo modo quando presentate un nastro ad un cieco precisandogli che è bruno, non solo non gli fornite alcuna idea, ma non gli dite niente che non possa negare, senza che voi abbiate le armi adatte per controbbattere. Allo stesso modo, quando parlate di Dio all’uomo, non soltanto non gli date alcuna idea, ma fornite alla sua immaginazione una cosa che egli potrà negare, combattere o distruggere, senza che voi abbiate il più piccolo argomento reale da impiegare per persuaderlo.

Dio non esiste dunque per l’uomo più di quanto per il cieco nato non esistano i colori. L’uomo dunque è in diritto di affermare che non c’è Dio, come il cieco di assicurare l’inesistenza dei colori, in quanto i colori non sono una cosa reale, ma convenzionale soltanto, e non potendosi tutte le cose convenzionali spacciare allo spirito umano come realtà se non nei limiti in cui, venendo a contatto con i suoi sensi, possono essere comprese. Pertanto una cosa può essere reale agli occhi di tutti gli uomini dotati dei loro cinque sensi, e diventare dubbia e anche inesistente per chi è privo del senso necessario a concepirla. Ma la cosa, assolutamente incomprensibile, o assolutamente impossibile ad essere colta con i sensi, diventa inesistente, come diventa inesistente il colore per il cieco. Dunque se il colore è inesistente per il cieco, in quanto non ha il senso necessario a concepirlo, allo stesso modo Dio è inesistente per l’uomo in quanto non può essere conosciuto con nessuno dei sensi, per cui questo Dio non ha più, come il colore, che una esistenza convenzionale, ma priva in se stessa di realtà alcuna. Una società di ciechi, priva del soccorso degli altri uomini, avrebbe ugualmente dei nomi convenzionali per designare le cose, ma queste non avrebbero alcuna realtà [12].

In merito alla bella chimera che chiamate Dio, noi siamo rispetto ad essa questa società di ciechi; ci siamo figurati una cosa che reputavamo necessaria ma che non ha altra esistenza che il bisogno che abbiamo avuto di crearla. Tutti i princìpi della morale umana si annienterebbero allo stesso modo, misurati con questo metro, in quanto tutti questi doveri essendo delle convenzioni sono puramente chimerici. L’uomo ha detto: “Questa cosa sarà virtù perché mi serve, quella sarà vizio perché mi nuoce”; queste le futili convenzioni della società dei ciechi in cui le leggi non hanno alcuna realtà intrinseca. Il vero modo di misurare la nostra debolezza riguardo i sublimi misteri della natura è quello di misurare la debolezza degli altri esseri che hanno un senso meno del nostro; i loro errori rispetto a noi sono i nostri rispetto alla natura: il cieco si fabbrica delle convenzioni relative ai suoi bisogni e alla riduzione delle sue facoltà; allo stesso modo l’uomo ha fatto delle leggi relativamente alle sue piccole conoscenze, le sue mediocri concezioni, i suoi limitati bisogni.

Ma nulla di reale, in tutto ciò, nulla che non possa risultare o incomprensibile in una società dotata di facoltà inferiori, o negato formalmente da una società che ci sorpassa perché dotata di organi più precisi o di un maggior numero di sensi. Come sarebbero spregevoli le nostre leggi, le nostre virtù, i nostri vizi, le nostre divinità agli occhi di una società dotata di due o tre sensi in più dei nostri. E perché? Perché essa sarebbe più perfetta e quindi più vicina alla natura; per cui ne risulta che l’essere più perfetto che possiamo concepire sarà quello che si allontanerà di più dalle nostre convenzioni e che le troverà più detestabili, come noi troviamo detestabili quelle di una società a noi inferiore.

Seguiamo la catena e arriviamo alla stessa natura: comprendiamo facilmente in questo modo che tutto quello che diciamo, combiniamo, decidiamo è tanto lontano dalla perfezione delle sue concezioni e tanto inferiore ad esse, quanto lo sono, riguardo a noi, quelle di una società di ciechi. Niente sensi, niente idee; nihil est in intellectu, quod prius non fuerit in sensu, e in una parola il grande fondamento e la grande verità stabiliti dal sistema precedente [13]. È inaudito che Nicole nella sua Logica abbia voluto distruggere questo certissimo assioma filosofico. Egli pretende che il nostro spirito possa acquisire idee diverse da quelle che provengono attraverso i sensi, è una di queste grandi idee che ci arrivano a prescindere dai sensi: Io penso, dunque sono [14]. Questa idea, dice il nostro autore, non ha suono, colore, odore, ecc. dunque non è opera dei sensi. Possiamo dunque attenerci così strettamente ai pregiudizi della scuola fino al punto di fare simili ragionamenti? Senza dubbio questa idea: Io penso, dunque sono, non è della stessa categoria dell’idea: Questa tavola è compatta, in quanto il senso del tatto fornisce al mio spirito la relativa prova. La prima idea non è prodotta da alcun senso particolare, ne convengo, piuttosto essa è il risultato dell’attività di tutti i sensi, e così vivamente che se fosse possibile l’esistenza di una creatura del tutto priva di sensi a questa creatura sarebbe impossibile formulare questo pensiero: Io penso, dunque sono. Dunque siamo davanti al risultato di un’azione coordinata di tutti i nostri sensi, quantunque questo pensiero non possa attribuirsi ad alcun senso in particolare, pertanto esso non può distruggere il grande e infallibile ragionamento fondato sull’impossibilità di acquisire idee a prescindere dai sensi. La religione non è d’accordo, ne convengo, ma la religione è l’unica cosa al mondo che non bisogna consultare in materia di filosofia essendo quella che oscura più di ogni altra cosa i princìpi e che curva vergognosamente l’uomo sotto il ridicolo giogo della fede, distruttore di tutte le verità.

* * * * *

La Filosofia nel Boudoir, l’altra opera dialogata di Sade, è senz’altro una delle sue composizioni più originali. Qui siamo in pieno clima illuministico e dissacratore. All’ostilità tradizionale contro ogni trascendenza qui si unisce felicemente l’ostilità contro ogni tipo di autorità costituita. Il richiamo alla religione del paganesimo deve essere rettamente inteso come la sollecitazione ad un’aspirazione maggiore, più virile, nettamente al di sopra del meschino ideale cristiano, una volta che non si sappia o non si possa fare a meno dell’idea ateista dell’assenza della religione. Comunque questa fiammata paganeggiante si giustifica con l’altro ideale, quello della repubblica, intesa nel senso della romanità rinascente e vigorosa, che si contrappone all’altra romanità, quella dell’Impero che viene intesa come anticamera del crepuscolo.

L’opera si compone di 7 dialoghi. Nel quinto è incluso il brano che porta il famoso titolo: Francesi! ancora uno sforzo e sarete repubblicani! Qui vengono tradotti un brano del terzo dialogo e la prima parte dell’inserto del quinto dialogo, ambedue aventi come oggetto il problema religioso.

La filosofia nel boudoir

(dal terzo dialogo)

Dolmancé: Ti prego di rinunciare alle virtù, cara Eugénie. Esiste qualche sacrificio forse che potrà mai essere paragonato ad un solo minuto dei piaceri che si provano offendendo le false divinità? La virtù è una semplice chimera e il suo culto non è altro che un continuo sacrificio, una continua rivolta contro le inclinazioni della natura. Tali atteggiamenti non possono essere naturali, infatti la natura non può consigliare ciò che l’offende. Non credere a quelle donne che senti definire come virtuose, Eugénie. Forse non saranno soggette alle nostre stesse passioni, ma ne hanno delle altre, anche più spregevoli. L’ambizione, l’orgoglio, gli interessi particolari, e sia pure la sola freddezza d’una natura che non le spinge a nulla, sono all’origine della loro virtù. Perché mai dovremmo considerarci in debito di qualche cosa riguardo simili esseri, dico io? Non hanno forse quelle donne seguito soltanto gl’impulsi del loro amor proprio? Perché dovrebbe essere più saggio sacrificare all’egoismo invece di sacrificare alle passioni? Io penso che una soluzione valga l’altra; e colui che accetta quest’ultima versione è dalla parte della ragione in quanto solo in questa si estrinseca la natura; restando la prima solo la voce della sciocchezza e del pregiudizio. Una sola goccia di sperma uscita da questo membro, Eugénie, vale per me più degli atti più sublimi dettati da una virtù che disprezzo.

Eugénie: Ma possiamo avere diverse specie di virtù; la pietà, ad esempio, che cosa ne dite?

Dolmancé: Che cosa può essere codesta virtù per chi non crede alla religione? E chi può credere alla religione? Vediamo, ragioniamo con ordine. Eugénie: non chiami forse religione il patto che lega l’uomo al suo creatore e che lo impegna a testimoniargli, a mezzo del culto, la riconoscenza per la vita ricevuta da questo sublime autore?

Eugénie: Non si potrebbe meglio definirla.

Dolmancé: Ebbene, è stato dimostrato che l’uomo deve la sua esistenza alle forze irresistibili della natura, è stato provato che è antico quanto la terra stessa [15], per cui egli come la quercia, come il leone, come i minerali che si trovano nelle viscere della terra, non è che una derivazione inevitabile della stessa esistenza del mondo e non deve ad alcuno la sua esistenza. È stato dimostrato che questo Dio che gli ingenui credono unico autore e costruttore di tutto quanto vediamo, è soltanto il nec plus ultra della ragione umana, il fantasma creato nello stesso momento in cui questa ragione non distingue più nulla, allo scopo di facilitare le sue conclusioni. È stato dimostrato che l’esistenza di questo Dio è impossibile e che la natura, sempre in movimento, possiede da per se stessa tutto ciò che gli ingenui cercano di donarle. Certo che, anche ammettendo l’esistenza di questo essere inerte, ci troviamo davanti al più ridicolo di tutti gli esseri, in quanto avrebbe agito soltanto una sola volta, mentre da milioni di secoli resterebbe in una ignominiosa inattività [16]; infatti supponendo che esista, come fanno le religioni che ce lo dipingono, avremmo davanti il più detestabile di tutti gli esseri, in quanto permetterebbe l’esistenza del male sulla terra, quando la sua onnipotenza potrebbe facilmente evitarlo. Essendo, dico io, tutto ciò provato, come senza dubbio lo è, come potete pensare, Eugénie, che la pietà che lega l’uomo a questo creatore imbecille, insufficiente, feroce e spregevole, possa essere considerata una virtù davvero necessaria?

Eugénie: (rivolta a Madame de Saint-Ange) Come? davvero, mia cara amica, l’esistenza di Dio sarebbe una chimera?

Madame de Saint-Ange: Certamente, e delle peggiori.

Dolmancé: Bisogna aver perduto l’intelletto per credervi. Originato dal terrore degli uni e dalla debolezza degli altri, questo abominevole fantasma, Eugénie, è inutile al sistema del mondo; infatti gli nuocerebbe immancabilmente in quanto la sua volontà, che dovrebbe essere giusta, non potrebbe mai accordarsi con le fondamentali ingiustizie delle leggi di natura; egli dovrebbe volere il bene costantemente, mentre la natura non lo desidera che per compensare il male necessario alle sue leggi; egli dovrebbe essere sempre in azione, mentre da canto suo la natura che tra le proprie leggi ha questo continuo movimento, non potrebbe evitare di trovarsi in continua concorrenza ed opposizione con lui. Ma, si potrebbe obiettare, Dio e la natura sono la stessa cosa [17]. Non siamo davanti a un’assurdità? La cosa creata non può essere uguale all’essere suo creatore: è mai possibile che orologio e orologiaio siamo la stessa cosa? Ebbene, si potrà aggiungere, la natura è nulla, Dio tutto. Altra stupidaggine. Vi sono necessariamente due cose nell’universo: l’agente creatore e l’individuo creato. Ora, qual è cotesto agente creatore? Ecco la sola difficoltà da risolvere, l’unica domanda a cui bisogna rispondere. Se la materia agisce, si muove con combinazioni a noi sconosciute, se il movimento è inerente alla materia, se essa sola, in definitiva, può, in forza della propria energia, creare, produrre, conservare, mantenere, bilanciare negli immensi spazi tutti i globi la cui vista ci riempie di meraviglia e il cui movimento uniforme, invariabile è fonte di rispetto e di ammirazione, che bisogno avremo di cercare un agente estraneo a tutto ciò? La facoltà attiva che si trova essenzialmente nella materia stessa è sempre materia in azione. La vostra chimera potrà forse contribuire a chiarire qualcosa? È assai dubbio che si possa provare qualcosa del genere. Anche supponendo che m’inganni intorno alle facoltà intrinseche della materia, almeno ho davanti a me solo una difficoltà. Offrendomi il vostro Dio mi offrite una nuova difficoltà. E come sarebbe possibile ammettere a causa di qualcosa che non si comprende, qualcosa che si comprende meno ancora? Dovrei allora raffigurarmi il vostro spaventoso Dio utilizzando i dogmi della religione cristiana? Vediamo un po’ come essa lo dipinge. Cosa posso mai vedere nel Dio di questo culto infame se non un essere incoerente e barbaro, che prima crea un mondo e dopo si pente di averlo creato? Che cosa posso vedervi se non un essere debole che non riesce a fare prendere all’uomo l’indirizzo voluto? Questa creatura, benché fatta da lui, lo domina: può addirittura offenderlo e per questo meritarsi dei supplizi eterni! Un tale Dio è veramente debole! Ha saputo creare tutto quello che vediamo ma gli è impossibile foggiare un uomo a modo suo! Ma, mi si obietterà, se l’avesse creato tale l’uomo non avrebbe avuto merito alcuno. Che assurdità! Quale necessità potrebbe mai esserci che l’uomo abbia meriti di fronte al suo Dio? Completamente buono l’uomo non avrebbe mai potuto fare del male, e allora l’opera sarebbe stata degna di un Dio. Lasciargli una scelta è stato indurlo in tentazione. Ora, Dio, nella sua infinita prescienza, sapeva benissimo il risultato che ne sarebbe scaturito. Se ne deve dedurre, da ciò, che è per suo diletto che perde la creatura da lui stesso formata. Un Dio simile è veramente orribile! Un mostro! Uno scellerato degno del nostro odio e della nostra implacabile vendetta! Con tutto ciò, non contento di tanta impresa, fa annegare l’uomo per convertirlo, oppure lo brucia e lo maledice. Niente lo può cambiare. Un essere più potente di questo povero Dio, il diavolo, riesce a conservare intatto il suo potere, continuamente in grado di sfidare il suo autore, corrompe senza tregua, con le sue seduzioni, il gregge che l’Eterno aveva riservato per sé. Nulla può vincere il potere che questo demone esercita su di noi. Che cosa immagina allora, secondo voi, l’orribile Dio di cui parlate? Non possiede un figlio, un figlio unico, nato da non si sa quale commercio (dato che l’uomo fotte, così ha voluto che anche la divinità fottesse); egli, dunque, invia dal cielo questa notevole porzione di se stesso. Immaginate forse che la celeste creatura scenda sulla terra contornata di raggi celesti e di angeli, al cospetto dell’intero universo... niente di tutto questo, Dio che viene a salvare la terra nasce dal grembo di una puttana ebrea, viene partorito nel mezzo di un porcile! Ecco la mirabile origine che gli si attribuisce! Ci compenserà forse la sua sublime missione? Seguiamo un momento il personaggio. Che dice? Che fa? Quale meraviglioso messaggio ci invia? Quale mistero ci rivela? Quale dogma ci impone? In quali azioni risplenderà la sua magnificenza? Vedo innanzi tutto un’infanzia oscura, qualche servizio, senza dubbio molto libertino, reso da questo briccone ai preti del tempio di Gerusalemme; poi una scomparsa di quindici anni, durante i quali il cialtrone assorbe tutte le fantasticherie della scuola egizia e che importa in Giudea [18]. Appena riappare in pubblico la sua pazzia gli fa dire di essere figlio di Dio, uguale al padre; e questa unione associa un altro fantasma che chiama lo Spirito Santo, e queste tre persone, afferma, non sono altro che una sola persona! Quanto più questo mistero ridicolo contrasta con la ragione, tanto più questo briccone afferma che vi è del merito ad accettarlo e del pericolo a negarlo. È proprio per salvarci tutti, afferma lo sciocco, che ha preso carne, malgrado sia Dio, nel grembo di una figlia di uomini, mentre i miracoli strepitosi che gli si vedono operare ben presto convinceranno l’intero universo! In una cena di ubriaconi il furbo, a quanto sembra, cambia l’acqua in vino; in un deserto, nutre alcuni sciagurati con delle provviste che i suoi gregari tenevano da parte; uno dei compagni fa il morto, il nostro impostore lo risuscita; si trasferisce poi su di una montagna, e, davanti a pochissimi suoi amici, fa un giochetto di prestigio di cui arrossirebbe il più scadente giocoliere dei nostri giorni [19]. Maledicendo a più non posso tutti coloro che non credono in lui, l’imbroglione promette il regno dei cieli a tutti gli stupidi che crederanno in lui. Non scrive perché ignorante, parla poco perché stupido, agisce ancora meno perché debole, e dopo aver stancato i magistrati con i suoi rari discorsi sediziosi, il ciarlatano si fa mettere in croce, dopo avere assicurato ai furfanti del suo seguito che, ogni volta che lo invocheranno, scenderà tra loro per farsi mangiare. Viene suppliziato e si lascia suppliziare. Il suo signor papà, questo Dio supremo di cui osa dirsi figlio, non gli fornisce il minimo soccorso, per cui il briccone viene trattato alla stregua dell’ultimo degli scellerati dei quali era così degno di essere il capo [20]. I suoi accoliti si riuniscono: “Eccoci perduti”, esclamano, “tutte le nostre speranze sfumano se non ci tiriamo fuori con un colpo di genio clamoroso. Ubriachiamo le guardie che circondano Gesù, trafughiamo il suo corpo, spargiamo la voce che egli è risuscitato: e la soluzione migliore, se riusciamo a far passare questa scellerataggine, la nostra nuova religione si afferma, si diffonde, seduce l’intero universo... mettiamoci al lavoro!”. Il colpo è tentato e riesce bene. In quanti lazzaroni l’audacia non ha sostituito il merito! Il corpo è trafugato, gli ingenui, le donne, i bambini gridano forte al miracolo, mentre proprio in quella città dove tali meraviglie, in quella città macchiata del sangue di un Dio, nessuno vuol credere a questo Dio, nemmeno una sola conversione si verifica. Non c’è che dire, il fatto è così poco importante che nessuno storico ne parla. I soli discepoli di quell’impostore pensano di trarre profitto da quell’inganno, ma non subito. Infatti questa considerazione è di capitale importanza. Fanno passare parecchio tempo prima di mettere a partito la loro furfanteria, così erigono, infine, su di essa il vacillante edificio della loro disgustosa dottrina. Ogni mutamento è gradito agli uomini! Stanchi del dispotismo degli imperatori, s’impone una rivoluzione [21].

Così si dà ascolto a quei bricconi, il loro progresso diventa rapidissimo; è la storia di tutti i traviamenti. Facilmente gli altari di Venere e di Marte vengono mutati in quelli di Gesù e di Maria; si pubblica la vita dell’impostore; questo banale romanzo trova creduli lettori; mille cose alle quali egli non aveva mai pensato gli vengono fatte dire; alcuni dei suoi rozzi discorsi diventano la base della sua morale, e poiché tale novità era rivolta ai ceti più poveri, la carità diventa la virtù principale. Si istituiscono riti curiosi che vengono chiamati sacramenti, dei quali il più indegno e abominevole e quello in forza del quale un prete, magari coperto di delitti, ha, nonostante tutto, solo in forza di qualche parola magica, il potere di fare scendere Dio in un pezzo di pane. Non c’è dubbio che questo culto infame, fin dalla sua stessa nascita, sarebbe stato inevitabilmente distrutto se, come si meritava, contro di esso fossero state impiegate le armi del disprezzo. Si ebbe, invece, l’ottima idea di perseguitarlo, per cui si diffuse come era inevitabile. Anche oggi sarebbe sufficiente coprirlo di ridicolo per vederlo cadere. Il furbo Voltaire usava sempre questo tipo di arma e, tra tutti gli scrittori, resta colui che può vantarsi di avere fatto il maggior numero di proseliti. Concludendo, Eugénie, questa è la storia di Dio e della religione; vedi un poco il merito che queste fantasie hanno e poi decidi.

Eugénie: La scelta è facile, disprezzo tutte queste disgustose chimere e lo stesso Dio, cui restavo legata sia per debolezza che per ignoranza, è ormai solo oggetto di ribrezzo.

* * *

(dal quinto dialogo)

Francesi!
ancora uno sforzo e sarete repubblicani!

La Religione. Eccovi delle grandi idee, ascoltatele, riflettete su di esse, se non vi piaceranno tutte almeno qualcuna vi resterà, ed in questo modo avrò contribuito al progresso dei lumi [22]: ciò mi basterà. Purtroppo non mi nascondo la lentezza con cui ci sforziamo di raggiungere lo scopo, e mi dispiace; mi accorgo con inquietudine che anche questa volta forse lo mancheremo. Forse questo scopo sarà raggiunto quando ci avranno date delle leggi? Nemmeno a parlarne. Che cosa ce ne faremo delle leggi senza una religione? Abbiamo bisogno di un culto, e di un culto adatto al carattere repubblicano. Quello di Roma non può più essere riutilizzato. In un secolo in cui ormai siamo convinti che la religione deve basarsi sulla morale, e non questa su quella, ci vuole una religione che sostenga i costumi, che ne costituisca per così dire lo sviluppo e la continuazione necessaria, che possa, elevando l’animo, mantenerlo sempre all’altezza di questa incomparabile libertà di cui essa oggi fa il suo unico idolo [23].

Per questo io chiedo se è possibile pensare che la religione di uno schiavo di Tito, la religione di un vile istrione della Giudea, possa mai essere utile ad una nazione libera e guerriera in via di rigenerazione. No! cari compatrioti, no! non possiamo neppure supporlo. Se per sua disgrazia la Francia cadrebbe di nuovo nelle fitte tenebre del cristianesimo; da un lato l’orgoglio, la tirannia, il dispotismo dei preti, vizi sempre pronti ad alzare la testa in questa orda impura; dall’altro la bassezza, la grettezza di vedute, la volgarità dei dogmi e dei misteri di questa indegna e fantastica religione, fiaccherebbero la fierezza dell’animo repubblicano, riconducendolo in breve volger di tempo sotto il giogo che la sua grande energia ha saputo abbattere! Non dobbiamo dimenticare che questa assurda religione era una delle armi migliori nelle mani dei nostri tiranni: uno dei suoi dogmi fondamentali era quello di dare a Cesare quel che è di Cesare; ma noi abbiamo cacciato Cesare e non gli dobbiamo più nulla [24]. Francesi, vi illudete inutilmente dando fiducia all’idea che il clero, solo perché legato dal giuramento alla costituzione, non debba più essere reazionario, vi sono dei vizi dai quali non ci si corregge mai. Entro dieci anni, grazie alla religione cristiana, alla sua superstizione, ai suoi pregiudizi, i vostri preti, malgrado tutti i giuramenti e malgrado la loro povertà, riprenderebbero il dominio sulle anime che prima avevano ottenuto con la violenza, incatenandovi un’altra volta ai re, perché dalla potenza di questi hanno sempre avuto sostegno, e il vostro edificio repubblicano rovinerebbe distrutto dalle fondamenta [25].

Oh! voi che potete maneggiare la scure, date l’ultimo colpo all’albero della superstizione, non fermatevi solo al taglio dei rami, sradicate del tutto una pianta i cui frutti sono tanto pericolosi; convincetevi una volta per sempre che il vostro sistema di libertà e di uguaglianza è troppo dichiaratamente in contrasto con i ministri degli altari cristiani, perché ve ne sia uno solo che possa adottarlo in buona fede e che non cerchi tutti i mezzi per farlo crollare una volta in grado di potere utilizzare una qualche autorità sulle coscienze. Qual è il prete che mettendo a confronto la condizione in cui si è ridotto ora a quella di cui usufruiva un tempo, non faccia tutto quello che è in suo potere per riafferrare la fiducia e l’autorità perdute? E quanti esseri deboli e pusillanimi non diventeranno ben presto gli schiavi di questo ambizioso tonsurato? Perché non si riflette sul fatto che i danni di prima possono benissimo rinascere? Ai primi tempi della Chiesa cristiana i preti non erano forse gli stessi di quelli di oggi? Eppure si vede bene dove sono poi arrivati. Che cosa ha potuto condurli tanto lontano? I mezzi che loro forniva la religione: questa è la risposta. Ora, se non la si proibisce in modo assoluto, coloro che la predicano, usufruendo degli stessi mezzi arriveranno ben presto al medesimo risultato. Annientate quindi per sempre ciò che un giorno potrà annientare il vostro lavoro. Tenete presente che il frutto del vostro lavoro è destinato ai vostri discendenti, quindi è vostro dovere, vostra onestà, non lasciare loro nessun germe dannoso che potrebbe farli ricadere nel caos da cui siamo usciti con tante fatiche.

Già i vostri pregiudizi sono caduti, il popolo ha man mano respinto le assurdità cattoliche, ha chiuso i templi, rovesciato gli idoli, ammesso che il matrimonio è un semplice atto civile, fatto a pezzi i confessionali e utilizzata la legna per i focolari domestici, i fedeli hanno disertato il banchetto apostolico e abbandonano ai topi il loro dio di farina. Francesi, non interrompete la vostra opera, l’intera Europa sta per strapparsi dagli occhi la benda. Fate presto, non lasciate il tempo alla santa Roma, che si agita in ogni modo per spezzare la vostra energia, di accaparrarsi qualche proselite. Colpite con ogni decisione la sua testa altera e fremente, fate in modo che entro due mesi l’albero della libertà getti la sua ombra sulle rovine della cattedra di San Pietro, coprendo col peso dei suoi rami vittoriosi tutti gli spregevoli idoli del cristianesimo, innalzati impudicamente sulle ceneri dei Catoni e dei Bruti.

Francesi, lo ripeto, da voi l’Europa attende contemporaneamente la liberazione dallo scettro e dal turibolo. Credete veramente possibile che potete liberarla dalla tirannide dei re senza spezzare nello stesso tempo le pastoie della superstizione religiosa? Le due cose sono troppo ben connesse intimamente perché lasciando in piedi una delle due non si ricada ben presto sotto il suo potere.

Un repubblicano non deve più inchinarsi né davanti a un essere immaginario né davanti ad un vile impostore, egli deve chinarsi solo davanti ai suoi due unici dèi: il coraggio e la libertà. Roma declinò dal momento in cui il cristianesimo vi fu predicato, la Francia sarà perduta se continuerà ad onorarlo ancora.

Esaminate con calma i dogmi assurdi, i misteri spaventosi, le cerimonie mostruose, la morale impossibile di questa disgustosa religione, e vedrete se essa potrà mai impiegarsi in una repubblica. Come potete pensare che io mi lascerei governare dalle idee di un uomo dopo averlo visto gettato ai piedi di un qualsiasi imbecille prete di Gesù? No, certamente no! Quest’ultimo sarà sempre un vile e come tale sarà spinto, per l’irrisorietà delle sue idee, ai soprusi dell’antico regime. Dato che ha potuto sottomettersi alla stupidità di una religione così assurda come quella che siamo stati tanto folli da accettare come vera, non potrà più impormi delle leggi o illuminarmi sulla mia condotta, in lui io non vedrò che un pover’uomo schiavo del pregiudizio e della superstizione.

Osserviamo i pochi individui che restano legati al culto pazzesco dei nostri padri, ci convinceremo facilmente di questa verità, essi sono tutti nemici inconciliabili del presente sistema, tra di loro resta integralmente inclusa la giustamente disprezzata classe dei realisti e degli aristocratici. Lo schiavo di un lazzarone coronato si inginocchi pure davanti ad un idolo di argilla, adattatissimo alla sua anima di fango. Chi può sottomettersi ai re può benissimo servire gli dèi! Ma noi Francesi, miei amati compatrioti, potremmo ancora strisciare sotto così spregevoli gioghi? Se proprio riteniamo necessario un culto, adeguiamoci a quello dei Romani che lodevolmente si fondava sulle azioni, sulle passioni, sugli eroi. Con simili idoli l’anima si eleva, si elettrizza, anzi questi idoli fanno di più, comunicano le identiche virtù dell’essere venerato. L’adoratore di Minerva voleva essere saggio, quello di Marte coraggioso, ogni dio di quei grandi uomini aveva grande energia: tutti questi dèi facevano sorgere il fuoco di cui erano accesi gli animi di chi li adorava. Ognuno, avendo in se stesso la speranza di essere un giorno oggetto di adorazione, aspirava a diventare almeno tanto grande quanto colui che si sceglieva per modello. Invece che bassezze troviamo nei vani dèi del cristianesimo! Che cosa può offrirci questa barbara religione? Forse il triviale impostore di Nazareth fa sorgere in voi qualche grande idea? Forse la sua sporca e disgustosa madre, l’impudica Maria, vi ispira qualche virtù? Che questa assurda religione non possa offrire nulla alle grandi menti è fatto talmente sicuro che nessun artista può servirsi dei suoi attributi nei monumenti che crea. Nella stessa Roma i vari abbellimenti e tutti i fregi dei palazzi dei papi si fondano sempre sul paganesimo. Finché il sole sorgerà su questo mondo soltanto il paganesimo accenderà l’estro dei grandi uomini [26].

Forse nel puro teismo potremo trovare motivi di maggiore grandezza ed elevazione? Oppure sarà l’adozione di una chimera che porterà l’uomo ad amare e praticare le virtù repubblicane dando alla sua anima il grado di necessaria energia? Non sogniamolo neppure. Una volta chiarita la vera sostanza di questo fantasma, ci resta solo l’ateismo oggi come unico sistema possibile per le persone dotate di senno. Più avanti si va e meglio si comprende che essendo il movimento intrinseco alla materia, l’agente ritenuto necessario ad imprimere questo movimento non era altro che un essere fantastico; per cui tutto quello che esiste è costretto dalla sua stessa essenza a muoversi senza bisogno di un qualsiasi motore.

Furono i primi codificatori, prudentemente, ad inventare questo dio fantastico, che nelle loro mani divenne un semplice mezzo per sottometterci; riservandosi essi soltanto il diritto di interpretare le parole di questo fantasma, fecero in modo di non fargli dire altro che ciò che servisse di sostegno alle leggi assurde con cui pretendevano di sottometterci [27].

Licurgo, Numa, Mosè, Gesù Cristo, Maometto, tutti questi grandi bricconi, tutti questi grandi tiranni delle nostre idee, sfruttarono le divinità da loro create a tutto vantaggio della loro sfrenata ambizione. Sicuri di tenere sottomessi i popoli grazie alle minacciate sanzioni divine, essi interrogavano i loro dèi in modo che le loro risposte cadessero sempre a proposito, in modo che in queste risposte si trovasse sempre qualcosa di utile per loro. Disprezziamo dunque oggi tanto l’inutile dio che questi impostori hanno predicato, quanto le sottigliezze religiose che derivano dalla sua assurda adorazione: non è con simili giocattoli che si possono divertire degli uomini liberi. La totale estinzione dei culti deve dunque entrare nei princìpi che diffondiamo nell’intera Europa: non fermiamoci alla distruzione degli scettri, bruciamo per sempre gl’idoli! Soltanto un breve passo separa la superstizione dal giogo della monarchia [28]. E questo è più che naturale, senza dubbio, infatti uno dei primi articoli della consacrazione dei re riguardava proprio l’obbligo di sostenere la religione dominante, interpretata nel suo giusto significato di base politica che meglio delle altre sostiene il trono. Ora essendo stato abbattuto questo trono, e fortunatamente lo è stato per sempre, non si deve avere paura di abbatterne anche il sostegno.

È così, cittadini, la religione è in contrasto con il sistema della libertà: l’avete sentito. Nessun uomo libero si inchinerà mai davanti agli dèi del cristianesimo; giammai i dogmi, i riti, i misteri, la morale di questa religione saranno utili ad un vero repubblicano. Ancora uno sforzo: poiché avete fatto tanto per distruggere tutti i pregiudizi non lasciatene che ne sopravviva qualcuno! Quest’ultimo, infatti, farebbe da culla a tutti gli altri facendoli ritornare in vita. Finiamola di credere che la religione possa costituire qualcosa di utile all’uomo. Diamoci delle buone leggi, solo in questo modo potremo fare a meno della religione. E il popolo, si dice, questi ne ha un bisogno estremo; la religione lo diverte, lo raffrena. Se questo è vero, allora dateci una religione che convenga ad uomini liberi. Che ci vengano restituiti gli dèi del paganesimo. Meglio adorare Giove, Ercole o Pallade, piuttosto che l’immaginario autore di un mondo che si muove da sé. Finiamola dunque con questo dio senza dimensione e che tuttavia riempie tutto con la sua immensità, con questo dio onnipotente che non può fare quello che desidera, quest’essere supremamente buono che è capace di lasciare tutti scontenti, quest’essere che si dice amico dell’ordine ma sotto il cui regno alberga solo il disordine. Come è possibile accettare un dio che sconvolge la natura, che alimenta la confusione, che spinge l’uomo quando questi sta per abbandonarsi agli orrori? Un simile dio ci fa fremere d’indignazione per cui lo respingiamo definitivamente nell’oblio da cui l’infame Robespierre ha cercato di farlo venire fuori.

Francesi, sostituiamo a questo ignobile fantasma gl’imponenti simulacri che resero Roma signora dell’universo. Trattiamo gli idoli cristiani allo stesso modo come abbiamo trattato i nostri re. Gli emblemi della libertà sono stati da noi collocati sulle basi che prima sostenevano i tiranni, così sostituiamo a questi bricconi adorati dal cristianesimo le effigie dei grandi uomini. Perché preoccuparsi degli effetti dell’ateismo nelle nostre campagne? forse i contadini non hanno sentito il bisogno di distruggere la religione cattolica, tanto avversa ai princìpi della libertà? Non hanno visto forse l’annientamento dei loro altari e dei loro presbiteri senza spavento e senza dolore? Allo stesso modo li troverete uniti nel rifiutare il loro ridicolo dio. Le statue di Marte, di Minerva e della Libertà troveranno posto nei più importanti luoghi degli abitati, ogni anno si celebrerà una festa, e la corona civica verrà decretata a favore di un cittadino che avrà meritato dalla patria. Al limite di un solitario boschetto le statue di Venere, Imene e Amore, collocate in un piccolo tempio agreste, riceveranno l’omaggio degli amanti: allora la bellezza per mano delle grazie coronerà la costanza. Non basterà avere amato per essere degni di questa corona, occorrerà averla meritata: l’eroismo, i talenti, il sentimento di fratellanza, la magnanimità, il civismo a tutta prova, solo con questi titoli l’amante potrà presentarsi davanti alla sua donna, solo essi avranno valore non quelli della nascita e delle ricchezze che uno stupido orgoglio prima prediligeva. Almeno qualche virtù verrà fuori da un simile culto, mentre dalla religione professata fino ad ora per debolezza non sono scaturiti che misfatti. Questa religione si unirà al culto per la libertà che professiamo, lo svilupperà, lo rafforzerà, l’accenderà, al contrario del teismo che per sua essenza e natura è dichiarato nemico della libertà. Fu forse versato del sangue quando gl’idoli pagani vennero sostituiti durante il basso Impero? La rivoluzione, attuata dalla stupidità di un popolo ritornato schiavo, si attuò senza il minimo ostacolo. Perché dunque temere che l’azione della filosofia sia più difficile a compiersi di quella dell’oscurantismo? Restano solo i preti a tenere avvinto ai piedi del loro assurdo dio questo popolo che tanta paura avete ad illuminare: cacciateli e il velo cadrà spontaneamente. Non occorre molto per capire che questo popolo, molto più accorto di quanto possiate immaginare, una volta liberatosi dei ferri della tirannide riuscirà assai presto a liberarsi di quelli della superstizione. Voi continuate a temere di liberare il popolo da un simile freno. Che stupidaggine! Tenete per certo, cittadini, che chi non si arresta davanti alla spada ben concreta delle leggi non si arresterà nemmeno davanti alla paura spirituale delle pene dell’inferno, di cui se ne ride appena uscito dall’infanzia. Il teismo ha fatto compiere non pochi delitti ma non è riuscito ad impedirne uno solo. Sappiamo come le passioni accechino producendo l’effetto come di una nube davanti ai nostri occhi, capace di nasconderci i pericoli che ci sovrastano; e allora, come possiamo supporre che delle cose tanto lontane da noi, come le punizioni predette da un dio, possano avere la capacità di dissipare quella nube che nemmeno la terribile spada della legge, sempre pronta a gravare sulle passioni, riesce a fare scomparire? Se è dunque ormai provato che questi freni aggiunti costituiti dall’idea di un dio sono del tutto inutili, se è dimostrato il pericolo che potrebbe derivare, ed in atto deriva, da altri suoi effetti, mi chiedo a che cosa può servire tutto ciò, su quali motivi dobbiamo fondarci per volere prolungarne l’esistenza.

Si potrebbe obiettare che non si è del tutto maturi per condurre la nostra rivoluzione in zone tanto avanzate e in modo così strepitoso. Miei cari cittadini, il percorso che abbiamo fatto dall’89 in poi era di una difficoltà ancora più grande, certo da non paragonarsi a quello che ci resta da fare; adesso ci resta da convincere l’opinione pubblica e sarà un’impresa assai più facile di quella che portammo a compimento quando la convincemmo dopo la presa della Bastiglia. Potete stare certi che un popolo così intelligente e coraggioso, capace di portare un re senza scrupoli dalla grandezza dei suoi fasti ai piedi del patibolo, capace in un breve volger di tempo di rompere tanti freni assurdi e vincere tanti pregiudizi, troverà tanta saggezza che lo renderà capace di immolare al bene dello Stato e alla futura prosperità della repubblica, un fantasma molto più evanescente di quanto in effetti non fosse quello del re.

Francesi, a voi i primi colpi, la vostra educazione nazionale farà il resto. Ma non perdete tempo a mettervi all’opera; sia essa una delle vostre preoccupazioni più determinanti. Si fondi quest’opera soprattutto sulla morale naturale, del tutto trascurata dall’educazione religiosa. Sostituite alle bestialità della religione con cui ottenebravate le giovani menti dei vostri figli, buoni princìpi sociali. Invece di insegnare loro inutili preghiere da recitare, che subitamente si prenderanno cura di dimenticare non appena toccati i sedici anni, istruiteli sui loro doveri verso la società. Insegnate ad amare le virtù che prima accennavate soltanto, le sole capaci di fare la loro felicità, senza alcun ausilio da parte delle vostre favole religiose. Fate loro capire che la felicità consiste nel rendere gli altri tanto fortunati quanto desidereremmo esserlo noi stessi. Fondando queste verità sulle fole cristiane, come ottusamente si è fatto in passato, si otterrà come risultato che non appena i vostri alunni saranno in grado di riconoscere l’assurdità delle basi non ci metteranno molto a fare cadere tutta impalcatura e diventeranno grandi scellerati solo perché in buona fede penseranno di avere distrutto la religione, l’unica cosa che loro vietava di esserlo. Facendo loro sentire l’obbligo della virtù in quanto solo da essa dipende la felicità, essi saranno virtuosi per egoismo, proprio perché è questa la legge che regge tutti gli uomini e nello stesso tempo la più certa.

Evitiamo dunque in ogni modo di impiegare qualsiasi tipo di favola religiosa nell’educazione nazionale. Non dobbiamo dimenticare che formiamo uomini liberi e non miserabili adoratori di un dio. Basta un semplice filosofo per istruire i nuovi alunni sulle sublimi incomprensibilità della natura, una volta che dimostri loro come la credenza in un dio, se spesso risulta assai pericolosa, non serve mai alla loro felicità. La loro felicità non potrà mai dipendere dall’ammettere come causa di ciò che non capiscono qualche cosa che comprendono ancora meno; è molto meno importante capire la natura che non goderne e rispettarne le leggi, che queste leggi sono sagge e semplici, che queste leggi sono incise nel cuore di tutti gli uomini per cui basta interrogare il cuore per interpretarne i reconditi significati. Se proprio insistono per avere spiegata l’esistenza di un creatore, rispondete che, restando le cose allo stesso stato di sempre, cioè non avendo mai avuto principio e non potendo mai avere fine, è del tutto inutile che l’uomo risalga ad un’origine fantastica che non solo non spiegherebbe nulla ma che sarebbe affatto improduttiva. Fate loro capire che gli uomini non possono avere idee precise su di un essere che non colpisce i sensi.

Le nostre idee sono rappresentazioni di oggetti che ci colpiscono, ma l’idea di un dio, priva assolutamente di oggetto, che cosa può mai rappresentarci? Una simile idea diventa impossibile proprio come un effetto senza causa, essendo priva di prototipo un’idea del genere diventa niente affatto diversa da una chimera. Vi sono alcuni dottori, proseguirete, che affermano essere l’idea di Dio un’idea innata, donde gli uomini avrebbero questa idea fin dal grembo della loro madre: ciò non può essere che falso in quanto ogni principio è un giudizio, ogni giudizio è solo il risultato dell’esperienza e quest’ultima non si acquisisce che come risultato dell’esercizio dei sensi. Da ciò si ottiene che i princìpi religiosi non possono menare ad alcuna conclusione, per cui non sono per niente innati. Come mai, direte, si è giunti a convincere degli esseri ragionevoli che la cosa più difficile a capire fosse proprio la cosa, per loro, più essenziale? È stato il terrore in preda a cui gli uomini si trovavano che ha impedito loro di ragionare, in quanto essendo il cervello turbato si finisce per credere a tutto evitando di analizzare le cose. Le basi delle religioni diventano quindi l’ignoranza e la paura. L’incertezza in cui si trova l’uomo nei confronti del suo dio è il principale motivo che lo lega alla religione. Nell’oscurità l’uomo ha paura, fisicamente e moralmente; la paura per lui diventa abituale e finisce per trasformarsi in necessità, quasi sentirebbe di mancare di qualcosa se non avesse più nulla da sperare o da temere [29].

Ritornate successivamente sulla grande utilità della morale, offrite più prove concrete che libri, solo in questo modo avrete buoni cittadini, buoni guerrieri, buoni padri, buoni sposi; uomini così attaccati alla libertà del proprio paese che nessun genere di schiavitù potrà mai ripresentarsi nel loro spirito, come nessuna religiosa paura potrà ottenebrare la loro mente. Solo così il vero patriottismo infiammerà ogni anima, regnando in tutta la sua potenza e purezza, unico sentimento predominante, non impedito da idee estranee di altro genere. In questo modo la vostra successiva generazione sarà forte ed in grado di fare della vostra opera la legge dell’universo. Nel caso che per paura o pusillanimità questi consigli saranno abbandonati, lasciando sussistere le basi dell’edificio che si era creduto di distruggere, che cosa succederà? Quelle basi si riedificheranno e quei colossi si rimetteranno in piedi, con la gravissima differenza che ora saranno resi più forti e né la vostra generazione né quelle successive potranno abbatterli.

Le religioni sono indubitabilmente la culla della tirannia. Il primo di tutti i despoti fu un prete, il primo re e il primo imperatore di Roma, Numa ed Augusto, riunirono nella propria persona dignità regale e sacerdotale; Costantino e Clodoveo [30] furono più abati che sovrani; Eliogabalo [31] fu sacerdote del sole. In tutti i secoli tra il dispotismo e la religione ci sono stati legami tali che ormai non occorrono eccessive dimostrazioni per capire che cacciando l’uno, l’altro si deve immediatamente abbattere in quanto il primo servirà sempre di legge al secondo. Non desidero proporre pene, massacri o esili, orrori che tengo lontano dal mio animo e che non oso concepire nemmeno per pochi istanti. Non bisogna assassinare o esiliare, lasciamo simili atrocità ai re e agli scellerati che li copiano, non bisogna agire come loro per suscitare rimorso nell’animo di coloro che quelle atrocità ebbero a commettere. La forza deve essere usata solo contro gli idoli, per i servitori di queste assurde cose basta il ridicolo; i sarcasmi di Giuliano [32] valsero contro la religione cristiana più di tutte le persecuzioni di Nerone. Abbattiamo quindi ogni idea di Dio e trasformiamo i suoi preti in soldati; alcuni lo sono di già, bene, si attengano a questa nobile attività per un repubblicano e non richiamino più alla mente quell’essere chimerico e la sua ridicola religione, oggetto sommo del nostro disprezzo. Che si condanni ad essere beffeggiato, schernito, coperto di fango in tutte le piazze delle più grandi città di Francia il primo di questi benedetti ciarlatani che ancora ardisca parlarci di dio o della religione, l’ergastolo a chi cadrà due volte nello stesso errore. Poi siano autorizzate le bestemmie più insultanti, le opere più atee, e ciò allo scopo di estraniare dal cuore e dalla memoria degli uomini quei trastulli terribili dell’infanzia [33]. Si indichi un premio per l’opera più capace di illuminare al tal fine gli Europei su di un argomento tanto importante, decretando una considerevole ricompensa a favore di colui che riuscirà a dire tutto e tutto dimostrare su questa materia lasciando agli altri solo una falce per estirpare tutti questi fantasmi e un cuore giusto per odiarli. In sei mesi appena tutto sarà fatto, il vostro infame dio sarà scomparso nel nulla, senza che per questo si cessi di essere giusti e amanti della altrui stima, di temere la legge e di essere uomini onesti. Si sarà finalmente capito che il patriota non deve amare le chimere come lo schiavo dei re. Né l’inutile speranza di un mondo migliore né la paura di mali più gravi di quelli naturali, devono guidare il repubblicano, ma solo la virtù e come unico freno il rimorso.

[1] Qui si adombra evidentemente la stessa figura di Sade, la cui vita fu tutta un continuo susseguirsi di eccessi e di stranezze. Non bisogna dimenticare che tra la vita di quest’uomo e le sue opere si deve operare una distinzione netta, sregolata la prima, razionalmente sregolato il contenuto delle seconde.

[2] Questo principio di totale adesione agli stimoli della natura, era stato formulato, tra gli altri, da D’Holbach nel 1770 col suo gigantesco lavoro Il Sistema della Natura. Anche in molti altri illuministi francesi questo motivo viene rintracciato con facilità trattandosi di uno dei pilastri di tutta la speculazione illuminista. Il rapporto tra natura e ragione fu considerato sempre, dalla filosofia illuminista, un dato di fatto incontrovertibile.

[3] Fausto Socini da Siena (1539-1604), fondatore del socinianismo. Propugnò la necessità dell’interpretazione razionale delle scritture. Su questa base giunse alla negazione dei dogmi cristiani. In particolare, sulle orme di Serveto, negò il dogma trinitario.

[4] All’epoca in cui il lavoro fu scritto gli studi di Galvani erano assai conosciuti come pure quelli di Volta. Specie la polemica tra i due venne conosciuta assai bene in Francia. Nel 1775 Volta inventava l’elettroforo e iniziava gli studi che lo dovevano condurre all’invenzione della pila (1800).

[5] È la vecchia dottrina deterministico-materialista che trova in Sade uno dei suoi propugnatori più fedeli. Questa dottrina che doveva avere tanta fortuna in campo scientifico, dove arrivò fin quasi agli albori del Novecento, si fonda su di una semplice sostituzione metafisica del principio di necessità: dal campo del trascendentale questo principio viene trasferito nel campo della realtà materiale. Tutto qui, il trasferimento comporta anche lo spostamento di tutte le aporie e le curiose interpretazioni di tanti fenomeni naturali distorti dal trascendentalismo e distorti da questo particolare ottuso materialismo. Frequente, oggi, accomunare la vaga condanna contro il materialismo in genere, condanna che tanto spesso suona tronfiamente sulla bocca degli sciocchi e degli imbecilli, alla condanna specifica di questo particolare materialismo ormai fuori del tempo, nessuna distinzione viene fatta, nessun chiarimento fornito all’ascoltatore: conseguenza, una sgradevole confusione e la mancanza di idee chiare.

[6] Nato a Tiana in Cappadocia, vissuto nel I secolo d. C., Apollonio è considerato uno degli iniziatori del neopitagorismo. Le doti taumaturgiche e i miracoli di Apollonio fecero un grande rumore, su invito dell’imperatrice Iulia Domna venne chiamato a corte. Gli si attribuiscono guarigioni e resurrezioni, profezie e magie varie. Filostrato scrisse una Vita di Apollonio.

[7] Dea della giustizia, prima moglie di Zeus, figlia di Urano e di Gea.

[8] Tirata di evidente intonazione nazionalistica e patriottica. Sade non ha ancora le idee chiare sull’argomento politico. Comunque la vera realtà di questa frase si può capire solo pensando a quella lettre de cachet regale che teneva in sospeso la sentenza assolutoria pronunciata dal tribunale di Aix: in questo modo Sade sperava accattivarsi le simpatie del potere costituito. Purtroppo per lui il testo rimase manoscritto e non vide la luce.

[9] Ritorna la strana concezione sadiana di questo periodo. Successivamente Sade abbandonerà del tutto questa posizione legalitaria per una definitiva e completa rottura con qualsiasi tipo di autorità.

[10] Si tratta dei princìpi della morale naturale che venne formulata tra i primi da Bacone, con geniale intuizione; continuata da Grozio, con larga dottrina (cfr. De iure Belli ac pacis, libri tres, 1625); con molte inutili derivazioni religiose da Spinoza, Clarke, Shaftesbury e Hutcheson; con sottile ironia da Montaigne e da Charron; con energia iconoclasta dalla maggior parte degli illuministi. Con questi ultimi da Bayle a d’Holbach si avrà la fondazione della vera scienza della morale naturale.

[11] Sade ha ripreso più volte questo concetto. Sullo stesso argomento cfr. Montesquieu, Pensées, vol. I, molti articoli del Dictionnaire redatti da Voltaire; Diderot, Entretien d’un philosophe avec la Maréchale de ***.

[12] Ovviamente siamo davanti ad una interpretazione che presta il fianco a molte critiche sia da parte realista che idealista, donde poi si spiegherebbe la sostanziale identità di fondamento tra queste due apparentemente opposte tesi filosofiche. Sul piano gnoseologico oggi siamo molto lontani da un puro sensismo, comunque non si può negare un profondo interesse alla recisa affermazione di Sade.

[13] Principio sensista facilmente messo in difficoltà dal realismo illazionistico cartesiano.

[14] Ipotesi fondamentale di tutto il sistema filosofico di Cartesio. Giustamente Sade, combattendo la logica di Nicole, combatte la filosofia di Cartesio in quanto in quest’ultima la stessa ipotesi del Cogito diventa insostenibile se non si ammettesse la presenza catalizzatrice di Dio.

[15] Imprecisione tecnica che comunque non sposta il ragionamento di Sade dal punto di vista della polemica religiosa.

[16] È la condanna che l’aristotelismo, e con esso tutta la filosofia antica, si portava dietro, impossibilitata a far penetrare l’idea di Dio nel mondo. Col cristianesimo questo ostacolo venne superato ottenendo risultati sociali notevoli, ovviamente subito strumentalizzati dalla cricca di potere.

[17] Tesi panteistica espressa, tra gli altri, mirabilmente da Spinoza.

[18] L’ipotesi della trasformazione del culto egizio di Serapide in quello cristiano è molto diffusa in diversi scrittori. Da canto suo Serapide è, tra gli dei solari, quello che più di tutti presenta notevoli analogie con Cristo. Sull’argomento assai utile: L. Ganeval, Jésus, devant l’histoire, n’a jamais vécu, Ginevra 1874.

[19] Critica dei miracoli assai scadente, specie se si tengono presenti altre formulazioni dello stesso Sade della dottrina fondamentale di critica alla tesi cristiana dei miracoli: il contrasto con la natura e quindi con la stessa logica divina. In altri termini in merito ai miracoli le posizioni sono essenzialmente due: la prima rifiuta i miracoli perché manifestazioni di un soprannaturale che non esiste; la seconda accetta i miracoli non in nome di un soprannaturale che anch’essa dichiara inesistente, ma in nome della natura stessa, ritenendo ancora non del tutto conosciuta la potenza di quest’ultima. È ovvio che tutte e due queste posizioni di pensiero sono parimenti accettabili, sebbene la prima abbia scarse attinenze col problema dei miracoli del Cristo. A quest’ultimo proposito si è notato che quasi tutto quello che appare nel Nuovo Testamento è derivato dal Vecchio Testamento o da riflessi di altre dottrine filosofiche presenti all’epoca delle compilazioni che oggi vanno intese come Vangeli. In questo modo avremmo i cenni biografici del Cristo ricalcati sulle profezie contenute nel Vecchio Testamento, facendo passare in seconda linea il problema dei miracoli e facendo sorgere non pochi fondati dubbi sulla stessa validità storica della persona del Cristo.

[20] Ancora una volta il lettore è chiamato a valutare nella loro giusta misura questi passi di Sade. La critica alla religione diventa qui partigianeria e acredine, occorre sempre molta perspicacia per separare ciò che è sostanziale da ciò che è solo apparenza nella produzione antireligiosa di Sade.

[21] Il termine non va inteso nel senso attuale. Il movimento cristiano non prese mai la forma del movimento rivoluzionario, nemmeno in senso concreto. I valori proposti, donde la frequente attribuzione di fondamento rivoluzionario, erano valori di già in lenta maturazione. Il cristianesimo li rifuse semplicemente in un contesto più vivo perché alieno – naturalmente nelle formulazioni primitive – delle degenerazioni della proprietà e della disuguaglianza.

[22] La corrente di pensiero dominante nel XVIII secolo fu appunto l’Illuminismo (ted. Aufklärung, “rischiaramento”), diretta precipuamente a svolgere una serrata critica di tutte quelle istituzioni che non si potevano ricondurre sotto il dominio della ragione. Per questo motivo il XVIII sec. fu anche detto il “secolo dei lumi”.

[23] L’ammissione di Sade, apparentemente irreversibile, viene chiarita più avanti. Il nuovo culto, cui fa riferimento, dovrebbe presentare tutte le qualità positive di una religione per spiriti forti e nessuna delle qualità negative, purtroppo, inalienabili da qualsiasi religione. A nostro avviso, anche nel brano di cui si discute è presente un sottile fondo ironico che accompagna tutta l’esposizione di Sade. Lo scetticismo del nostro autore è chiaramente diretto anche verso la religione di cui apparentemente si fa proponitore: la vecchia religione pagana sfrondata dal vecchiume inutilizzabile.

[24] Il passo dei Vangeli si trova in Marco, XII, 17. Sull’interpretazione di questo passo esiste tutta una letteratura. Cfr. E. Stauffer, Christus und die Cäsaren, Hamburg 1952, pp. 121 e sgg.; E. Buonaiuti, Manuale introduttivo alla storia del cristianesimo, vol. I, Foligno 1925, p. 116; G. Giannelli e S. Mazzarino, Trattato di Storia Romana, vol. II, Roma 1962, 2 ed., pp. 108 e sgg.

[25] Sade ha qui errato appena di pochi anni nella profezia. La Restaurazione in Francia vide la sua massima violenza dal 1815 al 1830, cioè fino alla rivoluzione di Luglio.

[26] È ancora una volta il sogno di un uomo innamorato della romanità. Questo stesso sogno aveva alimentato i classicisti e li continuerà ad alimentare sempre. L’idealizzazione del mito di Roma non è faccenda che si può eliminare facilmente dal cuore di uno studioso, anche quando l’abbia con sforzo eliminato dal proprio cervello.

[27] Cfr. A. M. Bonanno, Saggi sull’ateismo, Ragusa 1970, pp. 61-69. (Seconda edizione, Trieste 2009). La tesi di Sade è molto vicina alla formulazione critica dell’anarchismo. Il marxismo presenterà una tesi leggermente modificata, principalmente per quanto concerne l’origine del sentimento religioso, considerato appunto nella sua sostanza ideologica.

[28] Così Moses Hess: «Religione e politica sono prodotto di una condizione bestiale... schiavitù e tirannia, astratto materialismo e spiritualismo, si condizionano l’un con l’altro – da compiangere sono soltanto coloro i quali non capiscono che unicamente una rottura radicale col passato può spezzare il circolo chiuso della servitù». Riportato in Il Marxismo, vol. I, Milano 1969, pp. 30-31.

[29] Ripresa ed approfondimento del motivo già visto nel precedente passo (cfr. la nota 13).

[30] Sono tre i re merovingi a portare il nome di Clodoveo. Qui Sade si riferisce evidentemente a Clodoveo I, re dei Franchi Salii, posto in relazione a Costantino in quanto anche lui convertitosi al cristianesimo divenne propugnatore della religione cattolica favorendo la fusione tra Gallo-romani e Franchi.

[31] Marco Aurelio Antonino fu detto Eliogabalo perché sacerdote di Elagabal, divinità siriaca, il cui culto cercò di introdurre a Roma. Successore di Caracalla fu uno dei più dissoluti imperatori romani.

[32] Imperatore romano tra i più interessanti Giuliano presenta la caratteristica reazione contro il cristianesimo e il tentativo di ritornare alla religione pagana, però assai modificata, con l’introduzione di motivi caldei, ebraici, e, soprattutto, con una ristrutturazione della gerarchia ecclesiastica pagana ricalcata su quella cristiana. Regnò dal 361 al 363 ma la sua grandissima personalità si estrinsecò anche prima fin dalla sconfitta dei Galli (356).

[33] Questo consiglio giustificherebbe tanta parte della produzione di Sade diretta, appunto, ad una lotta contro la religione in forma virulenta e blasfema.

 
 

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